Emiliano Fittipaldi – L’Espresso
22 settembre ’18
Il
presidente esecutore. Il premier fantasma. L’uomo invisibile. Un vaso di
coccio. Pinocchio tra il Gatto Di Maio e la Volpe Salvini. Il primo presidente
del Consiglio di cui non si conosce un’idea: Giuseppe Conte, il nuovo capo del
governo italiano, è stato accolto come un oggetto misterioso da quasi tutti gli
addetti ai lavori, che da qualche settimana stanno cercando di riempire i vestiti
sartoriali del professore di contenuto politico e umano. Un compito difficile,
perché è la prima volta nella storia della Repubblica che il Parlamento ha dato
fiducia a un premier di cui non sapeva praticamente nulla.
Issare
l’inesperto Conte a Palazzo Chigi è certamente uno dei principali esperimenti
del laboratorio politico grillo-leghista che sta forgiando gli inizi della
Terza Repubblica. Per i più critici «l’avvocato del popolo» (claim inventato
dalla macchina della comunicazione pentastellata guidata da Rocco Casalino) è
solo un grigio notaio che dovrà attuare un contratto di governo stilato e
firmato dai vicepresidenti del Consiglio che lo affiancavano come due badanti
durante il discorso programmatico di martedì scorso, dall’opposta prospettiva
il professor Conte viene invece descritto come la perfetta incarnazione del sogno
americano in salsa grillina.
Un
premier che viene dalla Puglia, figlio di una famiglia semplice del Sud che
grazie alla tenacia, alle capacità individuali e a una ferrea ambizione è
riuscito a 54 anni a scalare tutta la piramide sociale, fino a sedersi sulla
poltrona più importante della nazione. Come dicono alla Casaleggio, «un self
made man che incarna tutti i valori del M5S», e che ha scritto da solo la
sceneggiatura della sua vita. «Più che un film sembra un miracolo», ripetono
oggi parenti e conoscenti, ancora attoniti nel vedere in televisione l’amico
che ha passato le ultime vacanze di Natale nella casetta di mamma a San
Giovanni Rotondo discutere i destini del mondo al G7, assiso insieme al
presidente americano Trump, il francese Macron e la grande nemica dei populisti
italiani, Angela Merkel.
Il
miracolo, in realtà, inizia quattro anni fa, quando Alfonso Bonafede, nuovo
ministro della Giustizia e uomo ombra di Luigi Di Maio, s’innamora del
cattedratico, che ha conosciuto come studente alla facoltà di giurisprudenza di
Firenze. È lui a chiedere a Conte nel settembre del 2013 di entrare come
componente laico nel Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa in
quota M5S. «Non sono dei vostri, il mio cuore batte a sinistra», avrebbe
chiarito il professore, che alla fine però accetta la corte e il posto da
vicepresidente.
Conte
è così ambizioso («forse troppo», ha confessato il padre al Tg2) che, mentre
flirta con i grillini, fa amicizia anche con pezzi del Pd. Mira in alto, come
ha fatto fin da quand’era piccolo, e punta al Giglio magico di Renzi.
Il
primo link, spiega qualche buona fonte fiorentina, ha le sembianze di Francesca
Degl’Innocenti, avvocato che ha insegnato Diritto civile con Conte alla Scuola
di specializzazione per le professioni legali, e che risulta collaborare con lo
studio Tombari: quello in cui lavorava Maria Elena Boschi. Il nuovo premier non
solo allaccia rapporti con la ministra delle Riforme, ma riesce a conoscere
anche Matteo Renzi in persona. L’incontro è avvenuto qualche tempo fa, in forma
privata. Se qualcuno sorride affermando che Conte si offrì anche ai renziani,
va però ricordato che lo stesso neopremier bocciò la candidatura della
“vigilessa” Antonella Manzione, fedelissima di Matteo, a una poltrona al
Consiglio di Stato per “mancanza di requisiti”.
Le
simpatie piddine, comunque, erano note in parte anche a Di Maio, tanto che nel
M5S qualcuno racconta che il leader di Pomigliano d’Arco lo inserì nella lista
dei possibili ministri grillini (Conte era stato designato alla Pubblica
amministrazione) anche come eventuale pontiere di un’alleanza post voto con i
dem.
Sappiamo
che quel ponte è crollato subito. Per provare a spiegare la genesi
dell’incredibile scalata a Palazzo Chigi bisogna dunque percorrere altre
strade. Quando a inizio maggio è ormai chiaro che Di Maio e Salvini, a causa
dei veti incrociati, devono obbligatoriamente individuare un terzo nome per il
premier, gradito ad entrambi ma appartenente all’entourage del partito più
votato, Di Maio, Grillo e i maggiorenti della Casaleggio (su tutti Davide,
Casalino e Pietro Dettori) individuano in lui il profilo migliore. Un avvocato
ambizioso ma pacato, un tecnico con un viso pulito, sufficientemente incolore
per non offuscare il leader politico. Dopo il sì di Salvini, propongono
(ufficiosamente) il nome di Giuseppe Conte a Mattarella e al suo principale
consigliere Ugo Zampetti.
I
due, che preferiscono un premier politico e di spessore, non l’hanno mai
sentito in vita loro. Chiedono così informazioni ai loro fedelissimi. In primis
al presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, legatissimo al
presidente della Repubblica, che negli ultimi quattro anni ha visto Conte
all’opera tra i corridoi di Palazzo Spada; poi al gruppo di professionisti e
grand commis di Stato capeggiato da Giulio Napolitano, figlio del presidente
emerito Giorgio, e dall’avvocato Andrea Zoppini, entrambi grandi amici del
figlio di Mattarella, Bernardo Giorgio. I primi feedback sono positivi, così a
Conte - seppur privo di qualsiasi esperienza amministrativa - viene dato l’ok.
Il
suo profilo viene preferito ad altri più prestigiosi (come quello
dell’economista Giulio Sapelli) ipotizzati da Di Maio e Salvini: la speranza
del Quirinale è che un premier alle prime armi e politicamente debole possa
accettare qualche consiglio sugli alti burocrati da piazzare nei gabinetti,
nelle segreterie di Palazzo Chigi e di altri ministeri. Non è detto che Conte
colga i suggerimenti. Nessuno, in fondo, conosce davvero la sua indole, ne sa
quale potrà essere il suo livello di autonomia rispetto ai diktat dei due firmatari
del contratto di governo.
DALLA
PUGLIA A VILLA NAZARETH
Analizzando
la sua biografia, parlando con civilisti e amici, l’enigma Conte può essere
almeno in parte sciolto. Perché il presidente ha un passato interessante, e una
rete relazionale sotterranea e trasversale. Con contatti nel Pd e qualcuno
persino dentro Forza Italia. Conte, soprattutto, ha un “maestro” a cui deve
moltissimo e su cui fa ancora affidamento per suggerimenti di ogni tipo, il
professor Guido Alpa, e cura una carriera accademica a cui tiene forse più di
ogni cosa: L’Espresso ha scoperto che ha fatto da poco domanda per un concorso
“ex articolo 18” per essere chiamato alla Sapienza, e che all’ateneo qualcuno
dei suoi concorrenti parla già - nel caso dovesse vincere proprio lui - di lampante
conflitto d’interessi.
Conte
è nato a Volturara Appula, un paese di 416 anime in provincia di Foggia. I
genitori, fedeli di Padre Pio, appartengono alla piccola borghesia impiegatizia
del Sud: il padre Nicola è stato impiegato del minuscolo Comune per anni, la
madre Lillina faceva la maestra elementare. Dopo pochi anni passati a
Volturara, la famigliola si sposta a San Giovanni Rotondo.
Giuseppe,
ragazzo riservato e sgobbone, finisce le medie e il liceo classico con il
massimo dei voti. È il 1982. Conte vuole laurearsi in legge e si trasferisce a
Roma, alla Sapienza. I soldi della famiglia non bastano a vivere nella
Capitale, così nel 1983 il neopremier partecipa al concorso del Collegio
universitario “Villa Nazareth”, un ente ecclesiastico che accoglie
gratuitamente nelle camerate gli studenti che hanno curriculum scolastici
eccellenti e provenienti, spiegano dalla Santa Sede «da famiglie che, per condizione
socio-economica o culturale, non siano in grado di sostenerli negli studi: è
dal 1946 che al Nazareth aiutano i talenti a sbocciare».
Anche
se Conte non viene ufficialmente ammesso, al Nazareth diventa di casa. Nei
giorni scorsi i giornali avevano raccontato delle entrature vaticane del
presidente del Consiglio: se l’appartenenza all’Opus Dei è una bufala, il
rapporto con il cardinale Achille Silvestrini è invece forte e radicato. La
porpora, 95 anni a ottobre, è infatti dal 1986 il capo della fondazione che
controlla Villa Nazareth: i rapporti cordiali con il giovane Conte iniziano
allora, e nel corso del tempo si intensificano, fino a diventare strettissimi.
Anche
dopo la laurea il futuro premier continua a collaborare come volontario con
l’istituto ecclesiastico. Diventa una sorta di consigliere giuridico di
Silvestrini, e dal 1992 aiuta l’ente agevolando gli interscambi culturali tra i
nuovi ospiti del collegio e alcune facoltà straniere. È Silvestrini, dunque, a
nominarlo nel cda del trust intitolato al Cardinal Domenico Tardini (il
fondatore del Nazareth) con sede a Pittsburgh, ed è sempre al Nazareth che
Conte conosce l’attuale segretario di Stato Pietro Parolin. «In effetti si sono
incontrati quando Sua Eminenza è stato direttore della scuola, alla fine degli
anni Novanta. Al tempo si sono incrociati qualche volta, ma non si vedono da
vent’anni», dicono Oltretevere. Di altri rapporti con le sfere ecclesiastiche
non esistono evidenze.
IN
CORDATA CON IL MAESTRO ALPA
Con
la laurea in tasca, Conte comincia a cercare lavoro. Sia nell’università sia
negli studi legali della Capitale. Inizialmente i suoi referenti sono il
relatore della sua tesi Giovan Battista Ferri, ordinario di diritto privato di
cui diventa assistente, e l’avvocato Renato Scognamiglio, un pezzo da novanta
che ha lavorato anche all’Iri, al ministero del Tesoro e all’Acquedotto
pugliese. «Fino al 1998 Conte aveva questi due riferimenti. Nello studio di
Scognamiglio gli avevano dato una stanza minuscola, strapiena di fascicoli:
quando entravi a Giuseppe nemmeno riuscivi a vedergli il ciuffo. Lavorava dalla
mattina alla sera, ogni tanto si concedeva una partita di calcetto in un
circolo sul Tevere. Pensavamo tutti che sarebbe andato all’Università di
Sassari, dove teneva lezioni, ma alla fine fece il concorso di ricercatore
anche a Firenze, lo vinse e decise di andare in Toscana. Era il 1998. Da allora
i rapporti con Ferri e Scognamiglio si sono via via diradati, e la sua guida è
diventata Guido Alpa», ricorda chi lo conosce da sempre.
Il
professore ordinario, 70 anni, è la figura chiave della rete di relazioni del
nuovo presidente del Consiglio. Genovese doc, “maestro” di una prestigiosa
scuola giuridica, allievo di Stefano Rodotà, presidente per lustri del potente
Consiglio nazionale forense, una lista di incarichi sterminati (l’ultimo è
quello avuto nel 2014, quando è diventato membro del board di
Leonardo-Finmeccanica anche grazie alla segnalazione, raccontano le cronache,
dell’amico Denis Verdini), anche Alpa è uno che si è fatto da solo. È figlio di
un ferroviere e nel giovane Conte il maestro, che non ha mai avuto figli,
rivede se stesso.
I
due diventano inseparabili, e iniziano a lavorare insieme: prima al Cnr (nel
1999 il trentacinquenne Giuseppe cura parte di un progetto diretto da Alpa; in
quell’anno il futuro premier riesce anche a comprare una bella casa a via
Giulia da 450 milioni di lire, quella ipotecata da Equitalia nel 2009 per 52
mila euro di tasse non pagate), poi nell’avviatissimo studio del luminare, di
cui Conte dal 2002 diventa il collaboratore preferito.
A
quarant’anni la sua carriera spicca il volo. Dinamico e intraprendente, stimato
dalla categoria dei civilisti come un «buon giurista» (tra i tanti colleghi
avvocati ed esperti di diritto intervistati da L’Espresso nemmeno i più
sfavorevoli hanno usato parole negative su questo argomento), il neopremier
diventa professore associato a Firenze nel 2001 (verrà chiamato come ordinario
nel 2012) e comincia ad accumulare incarichi accademici importanti, spesso in
progetti coordinati da Alpa in prima persona. Il mentore, che ancora oggi lo
consiglia, è un appassionato lettore di Dostoevskij, non a caso citato da Conte
nel suo primo discorso alle Camere.
Dandy
fissato con la moda inglese e le camicie su misura, appassionato di auto
d’epoca (una Jaguar, pagata pochi soldi, è spesso in garage perché sempre
rotta) e di vecchi orologi a corda di valore modesto, Conte viene chiamato nel
Comitato scientifico della Scuola superiore dell’avvocatura del Consiglio
nazionale forense (presieduto dal solito Alpa), poi alla Luiss e da
Confindustria come membro della commissione Cultura. La partecipazione a
conferenze e convegni è assidua, e la produzione di saggi e pubblicazioni a
getto continuo.
Proprio
per aver voluto elencarli tutti Conte ha scritto il curriculum monstre da 12
pagine , che passerà alla storia, più che per i ritocchini e gli abbellimenti,
come esempio plastico di chi venuto dalla provincia profonda vuole dimostrare
al mondo - e, paradossalmente, all’establishment che i grillini aborrono - di
avercela fatta davvero.
Un
curriculum che presto sarà letto con attenzione anche dai tre membri della
commissione del dipartimento di scienze giuridiche della Sapienza, che presto
dovrà sancire il vincitore della procedura selettiva voluta dall’ateneo romano
per un posto da ordinario di diritto privato e civile. Il neopremier ha
presentato domanda a fine 2017 (insieme a competitor di peso come il giovane
ordinario Giovanni Perlingeri, figlio del giurista Pietro, e a Mauro Orlandi,
considerato tra i migliori allievi di Natalino Irti, altro mammasantissima del
diritto italiano) e risulta ancora tra i candidati.
La
cattedra è ambitissima, per un altro anno sarà ancora in mano al pensionando
Alpa, ma per Conte metterci i gomiti sopra rappresenterebbe il coronamento
della cavalcata accademica. Il rischio, ora, è che il sogno possa sfumare a
causa della nuova avventura politica. Se la Sapienza scegliesse proprio lui, i
rischi sono due: le polemiche sul possibile conflitto di interessi, definito
dal professore «un tarlo che mina il nostro sistema economico-sociale fin nelle
sue radici... noi rafforzeremo la normativa attuale in modo da estendere le
ipotesi di conflitto fino a ricomprendervi qualsiasi utilità, anche indiretta»;
e il fatto che Conte dovrebbe mettersi subito in aspettativa. I gravosi impegni
didattici richiesti dalla procedura di chiamata non sarebbero certo compatibili
con quelli istituzionali.
RAGNATELA
BIPARTISAN
Compulsando
amici e colleghi, incrociando vecchi arbitrati e incarichi pubblici, si
scoprono altri dettagli della vita privata e della rete relazionale del premier
misterioso.
Se
è noto che è stato sposato con Valentina Fico, avvocato di Stato con cui ha
avuto un figlio che ha oggi dieci anni («è legatissimo a lui, una volta lo
portò pure a una cena annuale dei civilisti, cosa rara a un evento tanto
formale», racconta chi era presente), se è un fatto che non esce quasi mai
dalla sua casa di 80 metri quadri al centro di Roma se non per andare nello
studio Alpa in piazza Cairoli o nel pied-à-terre di Firenze, in pochi sanno che
Giuseppe è stato padrino di battesimo del figlio di Stanislao Chimenti.
Chimenti
è un avvocato molto affermato, partner di Delfino e Associati, e grande
collezionatore di incarichi pubblici: oltre ad essere stato ex commissario
straordinario della Tirrenia e della Siremar, fu al timone anche del fallimento
Ittierre, la grande azienda tessile molisana che ha guidato fino al 2015.
Quest’ultimo mandato è stato foriero di molte amarezze: Chimenti è stato
infatti rinviato a giudizio a gennaio del 2016 perché accusato di aver affidato
all’avvocato Donato Bruno (onorevole di Forza Italia scomparso tre anni fa,
vicinissimo a Cesare Previti e a Berlusconi) consulenze per ben 3,7 milioni di
euro, talvolta secondo l’accusa «superiori ai massimi tariffari». Il problema
principale, però, è la presunta presenza di un interesse privato tra i due: i pm
scrivono infatti che «con Donato Bruno Chimenti coltivava da anni rapporti di
collaborazione professionale, in forza dei quali usufruiva gratuitamente» degli
uffici e dei servizi «dello studio Bruno», oltre a percepire «periodicamente
compensi dallo stesso studio». Ora, risulta a L’Espresso che Conte e Chimenti
avrebbero legato proprio tramite l’avvocato forzista morto nel 2015: il
neopremier ha in effetti bazzicato lo studio di Bruno quando quest’ultimo collaborava
con quello di Alpa.
Ma
c’è un altro esponente di Forza Italia che può vantare un’amicizia di lunga
data con Conte: si tratta di Maurizio D’Ettore, un ex socialista originario di
Locri diventato, come il premier, ordinario di diritto privato a Firenze, che
da qualche anno si è buttato tra le fila dei berluscones diventando
coordinatore provinciale di Arezzo del partito. Se il professore pentastellato
non ha mai preso un voto, alle ultime elezioni il collega è stato invece eletto
alla Camera in pompa magna. I bene informati dicono che sia stato proprio
D’Ettore a rassicurare il suo capo Berlusconi sulle capacità (e sulla
moderazione) di Conte. Non ci sono controprove, ma un fatto è certo: il
grillino e il berlusconiano vantano un rapporto d’amicizia decennale, e forse
non sarà facile per D’Ettore fare opposizione dura e pura a chi stima da sempre.
I
FEDELISSIMI DI GIUSEPPE
Altra
vecchia conoscenza di Conte è il consigliere di Cassazione Fabrizio Di Marzio,
che con il presidente del Consiglio dirige la rivista online “Giustizia Civile”
(dove Alpa ha firmato molti articoli) e che siede dal 2016 nella delicata
Commissione di garanzia per il controllo dei rendiconti dei partiti politici
del Parlamento.
Qualche
giorno fa in un editoriale sul sito della rivista Di Marzio ha omaggiato il
presidente del Consiglio con parole definitive («sono davvero contento,
Giuseppe è una persona seria e perbene, questa scelta merita la fiducia di
tutti»), e forse ora Pd, Forza Italia e gli altri partiti di opposizione (i cui
conti Di Marzio deve radiografare annualmente) potrebbero sollevare contro di
lui il tema, così caro al M5S e allo stesso premier, del conflitto di
interessi.
La
ragnatela di Conte comprende anche Ugo Grassi, professore all’Università
Parthenope di Napoli e neosenatore grillino («Quello di Sergio Mattarella è un
attentato alla Costituzione. Dirò di più, è anche una forma di alto
tradimento... Io non sono un costituzionalista, sono un collega di Conte, ma
sto studiando il merito della questione», annunciò Grassi qualche ora prima della
giravolta del suo capo Di Maio), e Giovanni Bruno, altro docente di diritto
privato con cui il premier si è conosciuto alla Fondazione Tardini del
cardinale Silvestrini, e con cui ha codifeso Francesco Bellavista Caltagirone
in un difficile contenzioso con il Comune di Imperia per la vicenda del porto.
Se
con Chimenti, Bruno, Di Marzio e D’Ettore i rapporti sono ottimi, il suo amico
più intimo, oltre ad Alpa, è Luca Di Donna. Anche lui giovane allievo del
maestro, è riuscito a entrare alla Sapienza come ricercatore a soli 29 anni (il
presidente della procedura comparativa era Stefano Rodotà). Di Donna due
settimane fa è stato tra gli animatori di un appello pubblico in difesa di
Giuseppe, massacrato - si legge - come «una vittima sacrificale» per la vicenda
del curriculum da «un giornalismo che per la propria sopravvivenza è alla
spasmodica ricerca di scoop».
Il
primo firmatario della lettera era Alpa, e oltre a quelli di Di Donna in calce
si trovano altri nomi della rete di Conte: come i professori Raffaele Di Raimo
e Claudio Rossano, e come Francesco Capriglione, esperto di arbitrati bancari
ed ex potente condirettore centrale addetto alle consulenze legali della Banca
d’Italia.
Anche
il premier ha ottenuto più di una consulenza da Via Nazionale: nel 2012 è stato
infatti nominato tra i componenti del Collegio di Napoli dell’Abf (Arbitro
bancario finanziario), l’ente che deve risolvere le controversie tra istituti e
correntisti italiani. «Per fare quei lodi bisogna eccellere nell’arte della
mediazione, e Giuseppe è uno dei più bravi in assoluto. Capriglione è un grande
amico di Alpa, ma stima Conte innanzitutto perché è uno capace di suo», chiosa
chi al premier vuole bene.
Vedremo
solo nei prossimi mesi se il premier marziano è stato assunto da Di Maio e
Salvini solo per conciliare possibili crisi politiche tra i due leader, o se al
contrario riuscirà a imporsi dimostrando autonomia di azione e di pensiero.
Valori che la Costituzione italiana pretende da chi siede sulla poltrona più
importante della presidenza del Consiglio.
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