mercoledì 26 settembre 2018

ITALIA/EMERGENZA Chi lo paga questo ponte? Il decreto ancora in bilico


Andrea Fabozzi   – Il manifesto
27 settembre ’18


A un mese e mezzo dal crollo del ponte Morandi siamo costretti a contare le ore, ieri sera alle 21.30 non era ancora arrivato al Quirinale il decreto Genova. Nemmeno il governo lo chiama più «decreto urgenze», il che risparmia almeno le ironie più facili. Ma non le gaffe, grazie al ministro Toninelli che ieri ha sentenziato: «Al massimo entro venerdì ci sarà la firma del presidente della Repubblica». Naturalmente non compete al ministro stabilire quando il capo dello stato deciderà di firmare per l’emanazione. Compito suo sarebbe quello di farlo arrivare, il decreto, sulla scrivania del presidente. Ieri sera era ancora fermo al Mef in attesa del via libera della Ragioneria di stato. Potrebbe venirne fuori oggi. Le coperture pare siano state trovate per le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie e per le nuove assunzioni negli enti locali e al ministero, oltre che per lo stesso super commissario che pure non sarà economico: per lui fino a 200mila euro di compenso, la metà ciascuno per due sub commissari, indennità aggiuntive per venti funzionari delegati da altre amministrazioni. Ma le coperture continuano a mancare per quello che è il primo obiettivo del decreto, l’articolo uno: la ricostruzione del ponte. 
Mentre il ministro Fraccaro deve rimediare all’uscita di Toninelli spiegando che «non dettiamo noi i tempi al Quirinale, è ragionevole che la firma arriverà nel weekend» (il weekend in cui Salvini sarà guarda caso a Genova), Di Maio giura che entro oggi il decreto salirà al Colle. Ma la traduzione in norma di legge dei tweet suoi e di Toninelli si conferma complicata. Lo slogan «Autostrade non deve muovere una pietra ma pagare la ricostruzione del ponte» è diventato, al comma cinque dell’articolo uno, «il concessionario entro trenta giorni dalla richiesta del commissario straordinario pone a sua disposizione le somme necessarie». Per questo i grillini rispondono agli odiati tecnici ministeriali che non serve trovare la copertura per le spese di ricostruzione del ponte sul Polcevera, che ammonteranno secondo il sindaco Bucci tra i cento e i duecento milioni. Tanto paga Autostrade. Peccato che lo stesso comma più realistico di Di Maio aggiunga: «In caso di omesso versamento, il commissario può individuare un soggetto pubblico o privato che anticipi le somme necessarie alla integrale realizzazione delle opere».
Se il soggetto è pubblico, e non passa da Genova un filantropo, le coperture finanziarie sono indispensabili.
Ancora Toninelli. Durante il question time alla camera ha detto, senza fare una piega, che la sorte della revoca della concessione ad Autostrade non c’entra evidentemente nulla con il decreto. Era chiaro da tempo, ma non è quello che avrebbero voluto i 5 Stelle quando Di Maio prometteva una «accelerazione» della revoca. Con la stessa tranquillità apparente, il ministro delle infrastrutture che posando sorridente con il modellino del Morandi aveva annunciato in tv l’appalto per la ricostruzione a Fincantieri (aggiungendo poi Italferr) ha spiegato in parlamento che «il governo non interviene direttamente nella scelta del contraente». Nello schema del decreto l’esclusione di Autostrade sarà affidata al commissario. Che agirà, assicura il ministro, «in osservanza della direttiva europea 24 del 2014». Non può dire il contrario, ma quella direttiva sugli appalti pubblici in almeno due articoli (32 e 50) per appalti del genere indica la strada della gara ed esclude quella della procedura negoziata. Quanto poi al fatto che né Finmeccanica né Italferr hanno le capacità tecniche di costruire un ponte come quello sul Polcevera – non hanno le attestazioni Soa richieste dal codice degli appalti – Toninelli dice che se la vedrà il super commissario. Che tanto potrà derogare qualsiasi legge, escluso il codice penale.
Infine nel decreto, presentato alla stampa esattamente due settimane fa ma ancora “fantasma”, mancherebbero i finanziamenti per completare i lavori del terzo valico ferroviario, grande opera inclusa da Toninelli tra quelle che devono essere fermate in attesa di rivalutarne costi e benefici. La rimozione provoca la protesta dei presidenti delle regioni Piemonte e Liguria – Toti trova altri motivi di polemica con il governo – ma soprattutto dell’alleato leghista. «Il terzo valico è un’opera fondamentale per la Liguria e per il paese, non si può tornare indietro» dice il sottosegretario alle infrastrutture Rixi. E poi aggiunge «pacta sunt servanda», alludendo ad accordi diversi con i 5 Stelle.

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