Andrea
Fabozzi – Il
manifesto
27 settembre ’18
A un mese e mezzo dal crollo del ponte Morandi
siamo costretti a contare le ore, ieri sera alle 21.30 non era ancora arrivato
al Quirinale il decreto Genova. Nemmeno il governo lo chiama più «decreto
urgenze», il che risparmia almeno le ironie più facili. Ma non le gaffe, grazie
al ministro Toninelli che ieri ha sentenziato: «Al massimo entro venerdì ci
sarà la firma del presidente della Repubblica». Naturalmente non compete al
ministro stabilire quando il capo dello stato deciderà di firmare per
l’emanazione. Compito suo sarebbe quello di farlo arrivare, il decreto, sulla
scrivania del presidente. Ieri sera era ancora fermo al Mef in attesa del via
libera della Ragioneria di stato. Potrebbe venirne fuori oggi. Le coperture
pare siano state trovate per le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie
e per le nuove assunzioni negli enti locali e al ministero, oltre che per lo
stesso super commissario che pure non sarà economico: per lui fino a 200mila
euro di compenso, la metà ciascuno per due sub commissari, indennità aggiuntive
per venti funzionari delegati da altre amministrazioni. Ma le coperture
continuano a mancare per quello che è il primo obiettivo del decreto,
l’articolo uno: la ricostruzione del ponte.
Mentre il ministro Fraccaro deve rimediare
all’uscita di Toninelli spiegando che «non dettiamo noi i tempi al Quirinale, è
ragionevole che la firma arriverà nel weekend» (il weekend in cui Salvini sarà
guarda caso a Genova), Di Maio giura che entro oggi il decreto salirà al Colle.
Ma la traduzione in norma di legge dei tweet suoi e di Toninelli si conferma
complicata. Lo slogan «Autostrade non deve muovere una pietra ma pagare la
ricostruzione del ponte» è diventato, al comma cinque dell’articolo uno, «il
concessionario entro trenta giorni dalla richiesta del commissario
straordinario pone a sua disposizione le somme necessarie». Per questo i
grillini rispondono agli odiati tecnici ministeriali che non serve trovare la
copertura per le spese di ricostruzione del ponte sul Polcevera, che
ammonteranno secondo il sindaco Bucci tra i cento e i duecento milioni. Tanto
paga Autostrade. Peccato che lo stesso comma più realistico di Di Maio
aggiunga: «In caso di omesso versamento, il commissario può individuare un
soggetto pubblico o privato che anticipi le somme necessarie alla integrale
realizzazione delle opere».
Se il soggetto è pubblico, e non passa da Genova
un filantropo, le coperture finanziarie sono indispensabili.
Ancora Toninelli. Durante il question time alla
camera ha detto, senza fare una piega, che la sorte della revoca della
concessione ad Autostrade non c’entra evidentemente nulla con il decreto. Era
chiaro da tempo, ma non è quello che avrebbero voluto i 5 Stelle quando Di Maio
prometteva una «accelerazione» della revoca. Con la stessa tranquillità
apparente, il ministro delle infrastrutture che posando sorridente con il
modellino del Morandi aveva annunciato in tv l’appalto per la ricostruzione a
Fincantieri (aggiungendo poi Italferr) ha spiegato in parlamento che «il
governo non interviene direttamente nella scelta del contraente». Nello schema
del decreto l’esclusione di Autostrade sarà affidata al commissario. Che agirà,
assicura il ministro, «in osservanza della direttiva europea 24 del 2014». Non
può dire il contrario, ma quella direttiva sugli appalti pubblici in almeno due
articoli (32 e 50) per appalti del genere indica la strada della gara ed
esclude quella della procedura negoziata. Quanto poi al fatto che né
Finmeccanica né Italferr hanno le capacità tecniche di costruire un ponte come
quello sul Polcevera – non hanno le attestazioni Soa richieste dal codice degli
appalti – Toninelli dice che se la vedrà il super commissario. Che tanto potrà
derogare qualsiasi legge, escluso il codice penale.
Infine nel decreto, presentato alla stampa
esattamente due settimane fa ma ancora “fantasma”, mancherebbero i
finanziamenti per completare i lavori del terzo valico ferroviario, grande
opera inclusa da Toninelli tra quelle che devono essere fermate in attesa di
rivalutarne costi e benefici. La rimozione provoca la protesta dei presidenti
delle regioni Piemonte e Liguria – Toti trova altri motivi di polemica con il
governo – ma soprattutto dell’alleato leghista. «Il terzo valico è un’opera
fondamentale per la Liguria e per il paese, non si può tornare indietro» dice
il sottosegretario alle infrastrutture Rixi. E poi aggiunge «pacta sunt
servanda», alludendo ad accordi diversi con i 5 Stelle.
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