Giovanni Masini – Gli
occhi sulla guerra
01 Ottobre 2018
La “Raca” è stata per decenni la pattumiera
dell’enorme acciaieria che domina Zenica, 100mila anime a un’ora di auto da
Sarajevo. Dalle colline che dominano la città si nota la selva di ciminiere
che giorno e notte vomitano nell’aria fumi di ogni colore
Zenica è legata all’acciaio sin dal 1892, quando
la prima fabbrica aprì i battenti, ai tempi dell’imperatore Francesco
Giuseppe. Gli impianti siderurgici attraversarono più o meno indenni le
turbolente vicende dei Balcani del primo Novecento e fiorirono sotto il regime
comunista. A fine anni Ottanta l’acciaieria contava oltre 20mila operai e
rappresentava il motore economico dell’intera regione. Nel giorno di paga dei
dipendenti i prezzi dei generi alimentari al mercato subivano regolarmente
un’impennata.
Quindi venne la guerra e l’acciaieria dovette
sospendere la produzione. Nel 1999 lo Stato bosniaco, economicamente stremato
dal conflitto, accettò di privatizzare la fabbrica, cedendola a fondi
stranieri. Ora i prezzi del mercato sono alimentati dalle pensioni degli ex
operai, non più dagli stipendi. I lavoratori della fabbrica sono un decimo di
quelli che erano trent’anni fa. Attualmente la fabbrica appartiene ad
ArcelorMittal, nuovo acquirente dell’italiana Ilva.
I
miserabili dell’acciaio
La miseria ha spinto molti a procacciarsi da
vivere con ogni mezzo. Fra i più disperati ci sono i “raccoglitori di ferro”:
uomini che ogni giorno alle uscite dell’acciaieria attendono i camion diretti
alla “Raca”, sperando di recuperare gli scarti ferrosi da pulire e rivedere
alla stessa fabbrica. È un lavoro sporco e pericoloso, compiuto senza alcuna
protezione. Un lavoro che per giunta è pagato una miseria: un grosso blocco di
scorie ferrose frutta dai 15 ai 20 centesimi, che qui non bastano a comprare un
panino.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’acciaieria ha
iniziato a ripulire le scorie ferrose all’interno della fabbrica e i disperati
che vivevano della raccolta del metallo hanno perso anche quell’ultima,
estrema, fonte di sostentamento. I più poveri muoiono letteralmente di fame.
Livnjak Sedin vive con la moglie invalida e i tre
figli a Tetovo, un sobborgo di poche case stretto fra l’acciaieria e la Raca.
La sua abitazione diroccata sorge proprio all’ombra della recinzione del
colosso siderurgico. Fino a qualche tempo fa raccoglieva le scorie ferrose ma
ora non trova più di che sfamare la propria famiglia. Lo Stato gli passa 22,5
euro al mese per tutti e tre i figli, ma non bastano. Riesce a racimolare
qualche spicciolo vendendo al mercato le cipolle del proprio orto ma non è
abbastanza per sfamare cinque bocche. Infagottato in una maglietta troppo
grande, racconta. “Non ho lavoro, sono inserito nelle liste di collocamento. A
volte faccio dei lavoretti a chiamata ma ho bisogno di 180 euro per poter
operare mio figlio al braccio: è caduto a scuola e si è fatto male.” La mutua
copre solo la metà delle spese mediche e per il resto bisogna arrangiarsi.
I ragazzi avrebbero bisogno di proteine e così
Livnjak dà loro le uova delle galline del proprio pollaio, nonostante sappia
benissimo che sono tossiche. Un’ordinanza delle autorità locali ha vietato ai
cittadini di Tetovo di consumare uova e verdure a foglia larga: l’aria e il
terreno sono troppo inquinati.
Inquinamento
tre volte oltre la soglia d’allarme
Un’inchiesta giornalistica del The Guardian accusa
l’acciaieria di produrre emissioni inquinanti oltre i limiti. La direzione
della fabbrica ha risposto rigettando tutte le accuse e sottolineando gli
investimenti fatti nei programmi di protezione dell’ambiente, superiori a 45
milioni di euro: attualmente è in corso un procedimento giudiziario, ancora
aperto.
Il quotidiano britannico punta il dito fra l’altro
sul fatto che in un anno l’acciaieria ha utilizzato ben 16 volte la quantità
di carbone consumato dalle case private, postulando un nesso con l’inquinamento
dell’aria e le sue conseguenze per ambiente e residenti, ma l’azienda ha
puntualizzato che ben un terzo del carbone consumato è destinato agli impianti
di riscaldamento domestici della città, che insieme al traffico veicolare sono
responsabili della cattiva qualità dell’aria.
Samir Lemes, presidente dell’associazione
ambientalista “EkoForum”, chiede un intervento più restrittivo della politica
per contenere le emissioni ma lamenta la scarsa efficienza dei controlli
ambientali: “Abbiamo organizzato degli incontri per raccogliere tutti i
soggetti interessati ma a ogni riunione c’era un assente: o il rappresentante
del governo federale, o di quello cantonale… E ogni volta la colpa era da
attribuire agli assenti”, spiega parlando con Gli Occhi della Guerra.
Ad aggravare la situazione c’è la mancanza di
controlli adeguati. Nel 2013, dopo imponenti proteste dei cittadini, il Comune
fece installare dei rilevatori della qualità dell’aria ma nel giro di pochi
anni la mancata manutenzione li ha già messi tutti fuori uso. In una delle
poche misurazioni effettuate, nel dicembre 2013, vennero rilevati 1392 μm di
anidride solforosa per ogni metro cubo d’aria.” In Italia la soglia considerata
sufficiente a fare scattare un allarme è di 500 μm/metro cubo.
La
mancanza di dati
Alla penuria di dati ufficiali sull’inquinamento
dell’aria fa peraltro da contraltare una totale mancanza di numeri esaustivi
per quello che riguarda lo stato di salute della popolazione.
“Non ci sono dati ufficiali sul tasso di malattie,
li tengono nascosti – prosegue Lemes – Sappiamo solo che l’inquinamento aumenta
in parallelo alla produzione. La politica di tutti i partiti, senza eccezioni,
è quella di non parlare dell’inquinamento: nascondere i numeri, perché
l’industria alimenta l’occupazione. Non potremmo avere altre industrie, quindi
si tengono queste”.
Il quadro è così complicato dalla mancanza di
dati precisi e completi sull’inquinamento e sullo stato di salute della
popolazione nella regione. Quello che è certo, invece, è che l’unica
speranza, per Zenica e per i suoi abitanti, è affidata alla collaborazione dei
gruppi ambientalisti con alcune ambasciate straniere (fra le tante, quella
svizzera e quella svedese) per promuovere programmi di sensibilizzazione della
popolazione. Ma la strada per liberare Zenica dalla dipendenza dalle industrie
è ancora lunga.
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