Giulia Mietta – Il manifesto
26 settembre ’18
«Mio
fratello credeva profondamente nell’Italia mentre io ho preferito tornare in
Colombia, lui è morto nel crollo del ponte e ora dal processo mi aspetto
coerenza, lo Stato dice di voler difendere i cittadini ma fino a ieri è stato
dalla parte del boia». Manuel Diaz è il fratello di Henry Diaz, una delle 43
vittime del viadotto sul Polcevera. 30 anni, studiava ingegneria ed era attivo
nel volontariato. Manuel ieri mattina si è messo in fila davanti a palazzo di
Giustizia insieme ad altre 145 parti offese, familiari delle vittime, persone
vicine ai feriti, e i relativi avvocati, ma anche alcuni dei 20 indagati.
Si
è aperto, nell’aula bunker, a porte chiuse l’incidente probatorio nell’ambito
dell’inchiesta sul disastro di ponte Morandi. Questa fase del processo consiste
nell’assunzione anticipata dei mezzi di prova, rispetto alla fase
dibattimentale, per evitare che la prova non si possa deteriorare. E davanti al
tribunale, preso d’assalto da giornalisti, non solo chi direttamente è stato
chiamato in causa dal disastro ma anche chi, da cittadino, ha voluto esserci.
Persone che non riconoscono, o comunque non reagiscono al suo passaggio, il
provveditore Roberto Ferrazza, già membro della commissione ispettiva del Mit.
«Sono sereno e tranquillo» ha detto, entrando a palazzo. Poco distante, quasi
mescolandosi, la zia di Samuele Dobbiamo, il bambino di 8 anni morto insieme ai
genitori. «I miei assistiti non hanno mai avuto istanze di carattere
vendicativo o risarcitorio – spiega l’avvocato Andrea Martini – auspicano che
emergano le cause e le responsabilità: non un colpevole ma il colpevole».
Tra
le parti offese è stato inserito dai giudici il Codacons, «a tutela degli
interessi della collettività», ma non l’Anpi o la Cgil. Non ci sono neppure gli
sfollati, per una questione tecnica, visto che sono «parte danneggiata» e non
offesa. Dopo circa tre ore di seduta, il giudice per le indagini preliminari
Angela Nutini ha dato l’incarico ai periti Giampaolo Rosati del Politecnico di
Milano, Massimo Losa dell’Università di Pisa e Bernhard Helsener
dell’università di Università di Zurigo di svolgere le operazioni di analisi
dei reperti. I periti hanno quindi chiesto 60 giorni di tempo per svolgere le
operazioni e il primo sopralluogo in contraddittorio è stato fissato per il 2
ottobre, martedì prossimo, presso il deposito Amiu di Campi, ovvero dove
insiste il pilone del ponte che si è sgretolato. Al termine dei 60 giorni, che
scadono dunque il 2 dicembre, i tecnici discuteranno le conclusioni della
perizia in un’udienza fissata per il 17 o il 18 dello stesso mese. La
demolizione potrà partire solo dopo.
Tra
le istanze presentate dagli avvocati, ma difficilmente praticabile, quella di
velocizzare le pratiche dell’appello: per espletarle ieri ci è voluta un’ora e
mezzo di udienza, tempo prezioso che tuttavia non è potuto essere ricalibrato a
causa del legame indissolubile tra codice di procura penale e burocrazia.
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