Andrea Colombo – Il manifesto
27 settembre ’18
Foa ce
l’ha fatta per un pelo: 27 voti a favore, 3 contrari (i 2 di Leu più un
misterioso franco tiratore), 1 scheda bianca e 1 nulla. Il Pd aveva deciso di
non partecipare al voto: una mossa improvvida, anche perché, in questo modo,
non c’era nessuno in ufficio di presidenza a controllare eventuali errori o
irregolarità nel voto.
Forza
Italia invece onora l’accordo di Arcore e non solo concede il semaforo verde ma
rovescia il verdetto dello scorso primo agosto e vota a favore.
Non è
una sorpresa. L’audizione del candidato Foa, ieri all’ora di pranzo, era fatta
apposta per concedere al partito azzurro un alibi e permettere ai berlusconiani
di cambiare voto accampando almeno una esilissima scusa.
Nell’audizione,
Foa esordisce ironizzando, «sono pronto a deporre», poi se la cava bene nei
toni: misurati, quasi umili, ma glissa sugli appunti più acuminati che non
mancano. Il fianco più esposto è quello delle fake news: qui i capi d’accusa
sono davvero troppi per far finta di niente.
Decine
di notizie surreali e allarmiste rilanciati come se niente fosse, inclusi i
riti voodoo e cannibaleschi nella tragedia di Macerata. È che «i social
inducono scelte impulsive».
Comunque
tra ritwittare e scrivere di proprio pugno «c’è una differenza molto netta.
Ritwittare non significa condividere». La teoria è bislacca ma i commissari non
sono convenuti per discutere di comunicazione. Devono assolvere a un rito e la
liturgia è salva anche se a spese della logica.
Dove
non può scivolare, il neo-presidente semplicemente non risponde, come quando De
Petris (LeU), gli rinfaccia l’entusiasta prefazione a un libro nel quale si
rivela come il mondo sia dominato da una setta di discendenti di Carlo Magno,
tra i quali Barack Obama, George Washington e Winston Churchill.
Foa
finge di non sentire. Un capitolo particolarmente spinoso sono gli attacchi
contro il capo dello stato. Equivoci: «Mai stata mia intenzione offendere o
mancare di rispetto al presidente Mattarella». È capitato…
Attento
a calibrare le parole, Marcello Foa incorre in una sola gaffe. Quando, per
sostanziare l’impegno a garantire «un’informazione libera e plurale» aggiunge
che questo è del resto il «mandato del governo». Ma le forme hanno la loro
importanza e il governo non ha facoltà di dare al presidente della Rai alcun mandato.
Il Pd si butta a pesce sul capitombolo, protesta e chiede chiarimenti, Ma
tant’è: a Fi basta e avanza. Mulè si sente «rassicurato» e sulla scorta di
tanta rassicurazione informa che il partito azzurro è «orientato al sì».
Per la
verità il presidente ancora in pectore neppure finge che la riunione abbia
significato più che formale. La lista dei suoi obiettivi è una fiera delle
ovvietà: «Far crescere la Rai, sviluppare un’informazione corretta, premiare
professionalità e meritocrazia, promuovere e ampliare la straordinaria missione
culturale della Rai». Tutto, sia chiaro, senza invadere il campo dell’ad Salini
e «attenendosi scrupolosamente» ai limiti del mandato del presidente.
Unico
guizzo, l’obiettivo di riavvicinare al servizio pubblico i giovani in continuo
esodo, ma senza specificare neppure alla lontana come immagini di centrare
l’ambiziosa meta.
Terminata
la messa in scena, con esplicito tripudio M5s, le altre caselle dei vertici di
viale Mazzini saranno riempite con celerità.
Quella
del Tgr verrà coperta dall’ad con un interim ma passerà poi al Carroccio, che
non è riuscito a strappare la direzione del Tg1, alla quale siederà quasi
certamente Alberto Matano, mentre la direzione di rete sembra già quasi
assegnata a Marcello Ciannamea, quota Carroccio.
Parti
invertite sulla seconda rete, con il Tg2 a un leghista, forse Genny
Sangiuliano, e la rete a una 5S, con Maria Pia Ammirati.
Conclusione
prevista già lunedì. Seguirà brindisi alla fine della lottizzazione.
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