Ilaria Sesana – Altreconomia
24 settembre ’18
A
Cerreto Alpi, un paesino in provincia di Reggio Emilia, non nascevano bambini
da almeno sei anni. Una sessantina gli abitanti registrati all’anagrafe, la
maggior parte anziani e le loro badanti. Alle spalle una storia di oltre mille
anni (Cerreto viene nominato in un documento datato 835 ed è uno dei territori
comunali più ricchi di storia dell’intero appennino emiliano) e davanti a sé un
futuro incerto. Un piccolo paese che come tanti rischiava di scomparire,
svuotato. Fino a quando un gruppo di ragazzi, poco più che ventenni, hanno
deciso di riscrivere questo destino. “L’ultimo bar aveva chiuso nel 1995
-ricorda Erika Farina-. Eravamo un gruppo di amici nati e cresciuti a Cerreto,
ci univa l’amore per questo paese e per il territorio. Non volevamo trasferirci
in città”. Così nel 2003, con una piccola quota di 100 euro a testa, hanno fondato
la cooperativa di comunità “Briganti del Cerreto” (ibrigantidicerreto.com) che
oggi conta dieci dipendenti, di cui sette a tempo indeterminato.
Le
risorse vengono dal turismo (circa 1.500 pernottamenti in antiche strutture
recuperate), eventi (tra cui il “Campionato mondiale del fungo” che attrae
visitatori anche dal Giappone) e attività di forestazione e cura dei boschi.
“L’obiettivo
era fermare lo spopolamento di Cerreto. Credo che siamo riusciti ad arginare il
fenomeno: alcuni sono tornati, sono nati dei bambini. D’estate il paese
esplode: tanti che avevano qui delle seconde case le hanno ristrutturate”, dice
Erika. Esperienze come quella di Cerreto possono essere un modello positivo per
altri territori che si trovano nella stessa situazione. Valli montane lontane
dal turismo di massa, territori distanti dalle grandi città e dalla costa. Aree
fragili dove la mancanza di servizi e di lavoro ha spinto nel tempo sempre più
persone a partire, per trovare impiego e migliori opportunità nelle città.
Ma
questi modelli non possono essere calati dall’alto: ricopiare uno statuto e
mettere a disposizione dei fondi non basta. “Nel deserto non si semina. Servono
una buona comunità, una minoranza visionaria, folle e sognatrice che sappia
riconoscere le potenzialità di un luogo. Oltre a un contesto istituzionale
favorevole che accompagni il percorso”, spiega Giovanni Teneggi, responsabile
del progetto “Cooperative di comunità” di Confcooperative. Ingredienti che si
trovano anche a Dossena, 921 abitanti in provincia di Bergamo, un’area nota fin
dall’antichità e sfruttata dal 1800 per l’estrazione di minerali ferrosi.
Proprio attorno alle miniere ormai abbandonate, si è sviluppato il progetto di
rilancio del paese portato avanti da un gruppo di ragazzi. Un percorso avviato
nel 2014, con i primi interventi di pulizia delle miniere abbandonate e che ha
portato, l’anno successivo, alla fondazione dell’associazione “Miniere di
Dossena”.
“Nel
2017 abbiamo portato a Dossena circa 2.800 visitatori con le visite guidate”,
spiega Paolo Alcaini che, con i suoi 32 anni, è uno dei volontari più anziani.
Ma i giovani di Dossena non si sono fermati qui e nel 2016 hanno dato vita a
una cooperativa di comunità (“I raìs”, le radici). “Facciamo manutenzione del
verde, pulizia degli spazi comunali, consegna pasti a domicilio -racconta
Paolo-. E abbiamo attivato un bar negli spazi di un albergo abbandonato da una
decina d’anni. Complessivamente diamo lavoro a cinque persone”.
Negozi
di comunità, attivazione di servizi di base per i residenti, promozione del
turismo sostenibile sono alcuni degli ingredienti del progetto “AttivAree”
promosso da Fondazione Cariplo per “riattivare le aree marginali di riferimento
della Fondazione” in Lombardia e nel Verbano-Cusio-Ossola. Dieci milioni di
euro messi a disposizione dal 2016 al 2018 per contenere lo spopolamento delle
aree interne dell’Oltrepò Pavese (con il progetto “Oltrepò biodiverso”), della
Val Trompia e della Val Sabbia (“Valli resilienti”), creare una rinnovata
identità locale, offrire servizi alla popolazione e promuovere il turismo
sostenibile.
“La
Val Trompia e la Valle Sabbia hanno una vocazione industriale e agricola nel
fondovalle, al confine con Brescia”, spiega Giulia Corsini, responsabile della
cooperativa “Andropolis” e coordinatrice dei “Negozi di vicinato” del progetto
“Valli resilienti” in 25 Comuni della zona. Per contrastare lo spopolamento, si
è deciso di investire sulle botteghe “che nei borghi di montagna spesso sono
l’unico punto d’incontro comunitario -spiega Corsini-. Da qui l’esigenza di
offrire una pluralità di servizi all’interno di un singolo spazio”. La bottega
di Livemmo a Pertica Alta e la formaggeria Trevalli a San Colombano di Colio
sono i primi due negozi dove si sperimenterà il progetto. Oltre alla rivendita
di prodotti alimentari e di consumo, saranno offerti diversi servizi come il
ritiro delle ricette mediche e dei farmaci o il disbrigo di piccole
commissioni. Il tutto attraverso un’app. E non c’è paese che si rispetti senza
un bar.
Ma
a Lavenone (BS), l’ultimo aveva chiuso i battenti nel 2016. A prendere il suo
posto è stato il bar “Co. Ge.S.S.” (gestito dall’omonima cooperativa sociale),
dove lavorano persone con disabilità: “Siamo diventati l’unico punto di
aggregazione per la comunità, poco più di 500 abitanti. E siamo parte del
tessuto sociale: tanti cittadini del paese si sono attivati per aiutare i
nostri ragazzi”, spiega Alessandra Bruscolini, referente della cooperativa, che
dopo il bar ha avviato anche la gestione dell’ostello di Lavenone.
La
biodiversità, invece, è al centro del progetto promosso da Fondazione Cariplo
nelle aree interne dell’Oltrepò Pavese, che coinvolge 19 enti no profit e
altrettanti Comuni. Sono previste diverse azioni: dal recupero delle terre
abbandonate alla tutela di coltivazioni pregiate, dall’incremento della qualità
dei pascoli all’allevamento dell’unica razza bovina autoctona della Lombardia.
“Invertire
la tendenza non sarà facile, c’è un po’ di rabbia per questo. Ma ci sono anche
la passione e la determinazione a non mollare”. Gianni Andrini è il sindaco di
Valverde (PV), uno dei Comuni coinvolti nel progetto dell’Oltrepò dove -grazie
al contributo di Fondazione Cariplo- è stato possibile aprire il “Sentiero delle
farfalle”, in un’area dove se ne contano oltre 60 specie. “La nostra è una
bella zona, ricca di biodiversità. L’obiettivo è attirare il turismo proponendo
escursioni e attività di butterfly watching -spiega il sindaco-.
Ma
il turismo si può fare solo tenendo la gente sul territorio ed evitando la fuga
dei contadini che presidiano la montagna. E offrendo servizi”. Uno di quelli
proposti è il maggiordomo rurale. Un factotum che si mette a disposizione degli
abitanti per una serie di azioni quotidiane: andare a fare la spesa, prenotare
visite in ospedale, consegnare medicinali o recuperare i bambini al doposcuola.
“Abbiamo pensato a questa figura e a questo tipo di servizio da un questionario
agli abitanti -spiega Valeria Colombi-. Avevamo notato l’esigenza della
popolazione di avere servizi integrativi rispetto alla città. In corso d’opera
abbiamo aggiunto altri servizi, come l’aiuto agli anziani a spalare la neve,
riordinare la legnaia e sistemare l’orto. Azioni semplici, ma molto utili in un
territorio dove i collegamenti sono difficili”.
Più
a sud, nel 2013 Slow Food ha convocato gli “Stati generali delle comunità
dell’Appennino”. Agricoltori, allevatori, artigiani e rappresentanti di
consorzi che, l’anno successivo, si sono dati un manifesto con obiettivi
chiari: lanciare una nuova stagione di rinascita sociale, economica e di
riconquista del tessuto culturale e delle tradizioni dell’Appennino.
“Oltreterra
- Nuova economia per la montagna” è il progetto di Slow Food Emilia Romagna che
promuove, tra l’altro, un servizio per portare il cibo delle piccole aziende
agricole locali nelle mense scolastiche dei Comuni del Parco delle Foreste
Casentinesi. “L’economia della montagna può ripartire solo dalle sue origini e
per farlo serve una gestione consapevole del patrimonio boschivo, anche da un
punto di vista economico”, spiega Gabriele Locatelli di Slow Food Emilia
Romagna. E all’indomani del terremoto del 2016, Slow Food ha lanciato un
progetto per tutelare quelle aree già fragili e colpite dal sisma: “La filiera agroalimentare
di qualità è sostenuta dal turismo. Ma il sisma ha portato un calo del 30%
delle presenze”, spiega Ugo Pazzi, presidente di Slow Food Marche. È stato
quindi fatto un percorso per dare vita a una cooperativa di comunità ed è stato
avviato il progetto “La buona strada”, che prevede l’acquisto e l’allestimento
di furgoncini che d’estate porteranno le eccellenze alimentari delle Marche
verso le località turistiche della costa. Inoltre è stato creato il “Mercato
della terra” di Comunanza (AP), per dare una volta al mese una nuova
opportunità di vendita ai produttori locali. “È una dichiarazione d’amore per
il nostro territorio. Un modo per dire che lottiamo per rimanere”, conclude
Pazzi.
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