domenica 23 settembre 2018

ITALIA/ECONOMIA Microcosmi appassionati che resistono allo spopolamento


Ilaria Sesana  – Altreconomia
24 settembre ’18


A Cerreto Alpi, un paesino in provincia di Reggio Emilia, non nascevano bambini da almeno sei anni. Una sessantina gli abitanti registrati all’anagrafe, la maggior parte anziani e le loro badanti. Alle spalle una storia di oltre mille anni (Cerreto viene nominato in un documento datato 835 ed è uno dei territori comunali più ricchi di storia dell’intero appennino emiliano) e davanti a sé un futuro incerto. Un piccolo paese che come tanti rischiava di scomparire, svuotato. Fino a quando un gruppo di ragazzi, poco più che ventenni, hanno deciso di riscrivere questo destino. “L’ultimo bar aveva chiuso nel 1995 -ricorda Erika Farina-. Eravamo un gruppo di amici nati e cresciuti a Cerreto, ci univa l’amore per questo paese e per il territorio. Non volevamo trasferirci in città”. Così nel 2003, con una piccola quota di 100 euro a testa, hanno fondato la cooperativa di comunità “Briganti del Cerreto” (ibrigantidicerreto.com) che oggi conta dieci dipendenti, di cui sette a tempo indeterminato.

Le risorse vengono dal turismo (circa 1.500 pernottamenti in antiche strutture recuperate), eventi (tra cui il “Campionato mondiale del fungo” che attrae visitatori anche dal Giappone) e attività di forestazione e cura dei boschi.

“L’obiettivo era fermare lo spopolamento di Cerreto. Credo che siamo riusciti ad arginare il fenomeno: alcuni sono tornati, sono nati dei bambini. D’estate il paese esplode: tanti che avevano qui delle seconde case le hanno ristrutturate”, dice Erika. Esperienze come quella di Cerreto possono essere un modello positivo per altri territori che si trovano nella stessa situazione. Valli montane lontane dal turismo di massa, territori distanti dalle grandi città e dalla costa. Aree fragili dove la mancanza di servizi e di lavoro ha spinto nel tempo sempre più persone a partire, per trovare impiego e migliori opportunità nelle città.

Ma questi modelli non possono essere calati dall’alto: ricopiare uno statuto e mettere a disposizione dei fondi non basta. “Nel deserto non si semina. Servono una buona comunità, una minoranza visionaria, folle e sognatrice che sappia riconoscere le potenzialità di un luogo. Oltre a un contesto istituzionale favorevole che accompagni il percorso”, spiega Giovanni Teneggi, responsabile del progetto “Cooperative di comunità” di Confcooperative. Ingredienti che si trovano anche a Dossena, 921 abitanti in provincia di Bergamo, un’area nota fin dall’antichità e sfruttata dal 1800 per l’estrazione di minerali ferrosi. Proprio attorno alle miniere ormai abbandonate, si è sviluppato il progetto di rilancio del paese portato avanti da un gruppo di ragazzi. Un percorso avviato nel 2014, con i primi interventi di pulizia delle miniere abbandonate e che ha portato, l’anno successivo, alla fondazione dell’associazione “Miniere di Dossena”.

“Nel 2017 abbiamo portato a Dossena circa 2.800 visitatori con le visite guidate”, spiega Paolo Alcaini che, con i suoi 32 anni, è uno dei volontari più anziani. Ma i giovani di Dossena non si sono fermati qui e nel 2016 hanno dato vita a una cooperativa di comunità (“I raìs”, le radici). “Facciamo manutenzione del verde, pulizia degli spazi comunali, consegna pasti a domicilio -racconta Paolo-. E abbiamo attivato un bar negli spazi di un albergo abbandonato da una decina d’anni. Complessivamente diamo lavoro a cinque persone”.

Negozi di comunità, attivazione di servizi di base per i residenti, promozione del turismo sostenibile sono alcuni degli ingredienti del progetto “AttivAree” promosso da Fondazione Cariplo per “riattivare le aree marginali di riferimento della Fondazione” in Lombardia e nel Verbano-Cusio-Ossola. Dieci milioni di euro messi a disposizione dal 2016 al 2018 per contenere lo spopolamento delle aree interne dell’Oltrepò Pavese (con il progetto “Oltrepò biodiverso”), della Val Trompia e della Val Sabbia (“Valli resilienti”), creare una rinnovata identità locale, offrire servizi alla popolazione e promuovere il turismo sostenibile.

“La Val Trompia e la Valle Sabbia hanno una vocazione industriale e agricola nel fondovalle, al confine con Brescia”, spiega Giulia Corsini, responsabile della cooperativa “Andropolis” e coordinatrice dei “Negozi di vicinato” del progetto “Valli resilienti” in 25 Comuni della zona. Per contrastare lo spopolamento, si è deciso di investire sulle botteghe “che nei borghi di montagna spesso sono l’unico punto d’incontro comunitario -spiega Corsini-. Da qui l’esigenza di offrire una pluralità di servizi all’interno di un singolo spazio”. La bottega di Livemmo a Pertica Alta e la formaggeria Trevalli a San Colombano di Colio sono i primi due negozi dove si sperimenterà il progetto. Oltre alla rivendita di prodotti alimentari e di consumo, saranno offerti diversi servizi come il ritiro delle ricette mediche e dei farmaci o il disbrigo di piccole commissioni. Il tutto attraverso un’app. E non c’è paese che si rispetti senza un bar.

Ma a Lavenone (BS), l’ultimo aveva chiuso i battenti nel 2016. A prendere il suo posto è stato il bar “Co. Ge.S.S.” (gestito dall’omonima cooperativa sociale), dove lavorano persone con disabilità: “Siamo diventati l’unico punto di aggregazione per la comunità, poco più di 500 abitanti. E siamo parte del tessuto sociale: tanti cittadini del paese si sono attivati per aiutare i nostri ragazzi”, spiega Alessandra Bruscolini, referente della cooperativa, che dopo il bar ha avviato anche la gestione dell’ostello di Lavenone.

La biodiversità, invece, è al centro del progetto promosso da Fondazione Cariplo nelle aree interne dell’Oltrepò Pavese, che coinvolge 19 enti no profit e altrettanti Comuni. Sono previste diverse azioni: dal recupero delle terre abbandonate alla tutela di coltivazioni pregiate, dall’incremento della qualità dei pascoli all’allevamento dell’unica razza bovina autoctona della Lombardia.

“Invertire la tendenza non sarà facile, c’è un po’ di rabbia per questo. Ma ci sono anche la passione e la determinazione a non mollare”. Gianni Andrini è il sindaco di Valverde (PV), uno dei Comuni coinvolti nel progetto dell’Oltrepò dove -grazie al contributo di Fondazione Cariplo- è stato possibile aprire il “Sentiero delle farfalle”, in un’area dove se ne contano oltre 60 specie. “La nostra è una bella zona, ricca di biodiversità. L’obiettivo è attirare il turismo proponendo escursioni e attività di butterfly watching -spiega il sindaco-.

Ma il turismo si può fare solo tenendo la gente sul territorio ed evitando la fuga dei contadini che presidiano la montagna. E offrendo servizi”. Uno di quelli proposti è il maggiordomo rurale. Un factotum che si mette a disposizione degli abitanti per una serie di azioni quotidiane: andare a fare la spesa, prenotare visite in ospedale, consegnare medicinali o recuperare i bambini al doposcuola. “Abbiamo pensato a questa figura e a questo tipo di servizio da un questionario agli abitanti -spiega Valeria Colombi-. Avevamo notato l’esigenza della popolazione di avere servizi integrativi rispetto alla città. In corso d’opera abbiamo aggiunto altri servizi, come l’aiuto agli anziani a spalare la neve, riordinare la legnaia e sistemare l’orto. Azioni semplici, ma molto utili in un territorio dove i collegamenti sono difficili”.

Più a sud, nel 2013 Slow Food ha convocato gli “Stati generali delle comunità dell’Appennino”. Agricoltori, allevatori, artigiani e rappresentanti di consorzi che, l’anno successivo, si sono dati un manifesto con obiettivi chiari: lanciare una nuova stagione di rinascita sociale, economica e di riconquista del tessuto culturale e delle tradizioni dell’Appennino. 


“Oltreterra - Nuova economia per la montagna” è il progetto di Slow Food Emilia Romagna che promuove, tra l’altro, un servizio per portare il cibo delle piccole aziende agricole locali nelle mense scolastiche dei Comuni del Parco delle Foreste Casentinesi. “L’economia della montagna può ripartire solo dalle sue origini e per farlo serve una gestione consapevole del patrimonio boschivo, anche da un punto di vista economico”, spiega Gabriele Locatelli di Slow Food Emilia Romagna. E all’indomani del terremoto del 2016, Slow Food ha lanciato un progetto per tutelare quelle aree già fragili e colpite dal sisma: “La filiera agroalimentare di qualità è sostenuta dal turismo. Ma il sisma ha portato un calo del 30% delle presenze”, spiega Ugo Pazzi, presidente di Slow Food Marche. È stato quindi fatto un percorso per dare vita a una cooperativa di comunità ed è stato avviato il progetto “La buona strada”, che prevede l’acquisto e l’allestimento di furgoncini che d’estate porteranno le eccellenze alimentari delle Marche verso le località turistiche della costa. Inoltre è stato creato il “Mercato della terra” di Comunanza (AP), per dare una volta al mese una nuova opportunità di vendita ai produttori locali. “È una dichiarazione d’amore per il nostro territorio. Un modo per dire che lottiamo per rimanere”, conclude Pazzi.

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