Andrea Colombo – Il manifesto
26 settembre ’18
Le ultime ore sono le più convulse: contatti,
telefonate incrociate, incontri, riunioni, inclusa quella dei ministri 5S sul
reddito di cittadinanza convocata da Di Maio per la serata di ieri. Ma a 24 ore
dal momento della verità, la presentazione della nota aggiuntiva al Def, non
c’è alcuna chiarezza sulle cifre della manovra. Sembra certo che il tetto
proibitivo del deficit all’1,6% sarà sfondato, ma senza che il ministro Tria
abbia mai convalidato l’ipotesi ufficialmente. Forse nella notte di lunedì si è
davvero rassegnato, non senza combattere, a rosicchiare un paio di decimali in
più, contando sul fatto che fino al 2% la Ue chiuderà un occhio. Ma quei pochi
miliardi in più dovrebbero essere destinati agli investimenti. I fondi a
disposizione soprattutto dei 5S per reddito di cittadinanza e aumento delle
pensioni minime, così, continuerebbero a non esserci.
DI MAIO PERÒ INSISTE: «Ci saranno sia l’intervento
sulla Fornero che l’aumento delle pensioni minime a 780 euro. La manovra del
popolo è un atto concreto perché prima vengono gli ultimi». Poi, da Porta a
Porta, il vicepremier fissa anche l’agenda: «L’aumento delle pensioni minime
sarà il primo gennaio 2019. Il reddito di cittadinanza sarà erogato a metà
marzo e si partirà con la riforma dei centri di impiego». L’ipotesi sul tavolo
ieri, per definire la platea del reddito, era di legarlo all’Isee. Il leader
dei 5S evita di battere ancora sul tasto francese, maciullato ieri da critiche
centrate sulla differenza tra il quadro italiano e quello d’oltralpe. Ci pensa,
scherzando, il ministro Savona, che negli ultimi tempi si è dato da fare per
scrollarsi di dosso l’immagine di dinamitardo antieuropeo: «Staremo di sicuro
molto al di sotto della Francia». Già, ma quanto al di sotto?
TRA LE MISURE PRESE in considerazione nello
scorcio finale c’è una diminuzione delle accise, passaggio utile anche per
poter affermare di aver almeno messo mano a tutte le misure promesse in
campagna elettorale. Sarebbero a disposizione 250-300 milioni, pari a 3 centesimi
in meno sulla benzina oppure a 1 centesimo sul gasolio. La Lega intanto insiste
con la pace fiscale e cerca di allargarla alle partite Iva. Qui però non si
tratterebbe di un condono sul dovuto ma solo sulle eventuali sanzioni e sugli
interessi.
IL PIATTO FORTE della manovra resta la sforbiciata
alla Fornero. I sondaggi confermano che la misura più attesa e più gradita
dagli italiani è quella. Ma il costo resta alto, forse troppo per la tolleranza
di Tria e dietro di lui della Ue. Le misure per contenere l’esborso sono due:
la limitazione del minimo degli anni di contributo necessari per quota 100 a
36, il che non permetterebbe la pensione con 65 anni di età e 35 di contributi
e l’introduzione della penale dell’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67
fissati dalla Fornero. Rimane aperta anche l’ipotesi di far partecipare alle
spese le aziende. Così in effetti la spesa scenderebbe dagli 8 miliardi
inizialmente preventivati a 6 ma il complesso delle misure in campo appare
esagerato per quell’1,8% che Tria già concederebbe controvoglia. Di qui la
tentazione di fissare una cifra contenuta nel Def per poi trattare con la Ue,
puntando a raggiungere una spesa maggiore con gli emendamenti parlamentari alla
manovra.
RESTA PERÒ UNA GIGANTESCA incognita. Il nodo della
revisione della Fornero non è solo economico ma politico, anche per
l’inevitabile valenza simbolica che l’intervento assumerebbe. La maggiore o
minore disponibilità di Bruxelles (e della Bce) potrebbe dipendere proprio da
considerazioni dettate politica più che dal semplice bilancio.
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