Enrico Marro – Corriere della sera
27 settembre ’18
Ore decisive per Giovanni Tria. Il ministro
dell’Economia, che ieri ha lanciato l’ultimo drammatico appello a salvaguardare
«la sostenibilità del nostro debito pubblico», impegno sul quale, ha
sottolineato, il governo «ha ottenuto la fiducia in Parlamento», vedrà questa
mattina il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Inoltre, dovrebbe
partecipare al nuovo vertice di governo sulla manovra. Ma soprattutto dovrà
decidere se subire il diktat dei 5 Stelle, che vogliono spingere il deficit
2019 fino al 2,4% del prodotto interno lordo, o gettare la spugna, con
dimissioni che sarebbero clamorose. Probabilmente Conte cercherà di mediare, ma
il premier appare debole se, come pare, anche la Lega vedrebbe con favore il
2,4%, un aumento del deficit che darebbe una decina di miliardi di euro in più
da spendere sì per «reddito di cittadinanza» ma anche per «quota 100» sulle
pensioni.
«Agirò
in scienza e coscienza»
I
tecnici del Tesoro sono intanto in stand by, in attesa di capire se la Nota di
aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) che verrà portata nel
consiglio dei ministri (che pare non si terrà più oggi, viste le nuove
complicazioni) disegnerà un quadro di finanza pubblica come quello immaginato
finora da Tria, con un deficit fra l’1,6% e l’1,9% del Pil, o una situazione
mai neppure presa in considerazione, cioè quella di un disavanzo del 2,4%. Per
il ministro sono ore particolarmente difficili, anche perché ieri si è
volutamente esposto su una posizione che non appare conciliabile con le
richieste di Di Maio e Salvini. Tria infatti, ha scelto di intervenire ieri
mattina in un convegno della Confcommercio in programma da tempo (poteva
benissimo non farlo, visti gli impegni di questi giorni) per lanciare un ultimo
drammatico appello alla ragionevolezza. Il tecnico Tria ha ricordato che al
momento di diventare per la prima volta ministro ha giurato di essere fedele
alla Costituzione e di operare «nell’esclusivo interesse della nazione e non di
altri». Dove «e non di altri» Tria lo ha aggiunto, appunto, alla formula di
rito del giuramento al Quirinale. Non solo. Il ministro ha sottolineato che
«questo giuramento lo abbiamo fatto tutti», cioè Conte e l’intera squadra di
governo, e che lui lo interpreterà «in scienza e coscienza».
«Attenti
al disastro»
Perché
il titolare dell’Economia ha sentito il bisogno di dire queste parole? Non solo
perché appena pochi giorni fa Rocco Casalino, portavoce del premier, ha
insultato e minacciato lo staff tecnico dello stesso ministro, al quale Tria ha
invece ribadito piena fiducia, ma perché martedì sera Di Maio, riunendo i
ministri grillini, aveva appunto preannunciato la richiesta di un deficit ben
oltre il 2%. Un livello che non consentirebbe di ridurre neppure dello 0,1% il
debito pubblico, come il governo ha invece promesso in Parlamento chiedendo il
voto di fiducia. «Attenzione», ha ammonito Tria, a non sfidare i mercati, cioè
gli investitori che prestano denaro allo Stato italiano acquistando i titoli
del debito: «Se si perde fiducia sulla stabilità finanziaria nessuno investe,
se si crede che domani c’è il disastro nessuno compra i nostri titoli». E si
noti la parola disastro.
Il
reddito di cittadinanza? «Un’etichetta»
Detto
questo, Tria, ha spiegato che «gradualmente» verranno avviate le tre priorità
definite da 5 Stelle e Lega. Quelle cioè che vanno, ha detto Tria scegliendo
sempre con cura le parole, «sotto l’etichetta» di «flat tax», «superamento
della Fornero» e «reddito di cittadinanza». Dalle indicazioni che ha dato il
ministro emerge però un quadro decisamente inferiore alle attese di Di Maio e
Salvini. Sotto l’etichetta flat tax il ministro ha fatto capire che per il 2019
ci sarà solo un ampliamento della platea delle partite Iva ammesse al regime
forfettario del 15% . Quanto alle pensioni, non ha mai parlato di «quota 100»,
cioè di una modifica strutturale della legge Fornero, ma di misure per consentire
alle imprese di prepensionare i lavoratori più anziani. Infine, sul reddito di
cittadinanza si è limitato a dire che il provvedimento, «al di là delle
etichette va nella direzione di permettere più facilmente le trasformazioni del
tessuto produttivo che creano problemi transitori nel tessuto sociale».
Sembrerebbe di capire, un sussidio per chi è disoccupato, finalizzato al
reinserimento lavorativo. Infine l’ultimo ammonimento: «Le polemiche con la
commissione europea non hanno senso. Il problema è la fiducia nella stabilità
finanziaria. Se si crea un’area di instabilità e incertezza, nessuno investe e
nessuno consuma. Sono ottimista, nonostante quello che leggo sui giornali.
Cercherò di fare del mio meglio, in base a quello che ho giurato». Di nuovo.
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