Giulia Mietta – Il manifesto
25 settembre ’18
Lo
chiamano «decreto urgenze» ma evidentemente tanto urgente non è, per il
governo, se 41 giorni dopo il crollo del ponte Morandi ancora non è stato
pubblicato in gazzetta ufficiale. Un’attesa lunghissima, estenuante, surreale.
Ma soprattutto «inaccettabile» secondo Luca Fava, uno dei portavoce degli
sfollati. «Inaccettabile se dovuta a liti politiche nelle quali non vogliamo
neppure entrare, e dannosa» spiega. «Tutto, dalla demolizione, ai risarcimenti,
alla ricostruzione, alla riapertura delle strade, siamo sotto scacco di logiche
incomprensibili».
Era
il 13 settembre scorso, il giorno prima della manifestazione di piazza a un
mese dal disastro, quando il premier Giuseppe Conte aveva annunciato che il
decreto per Genova (e per altre questioni, come il terremoto a Ischia o nel
centro Italia) era stato approvato dal consiglio dei ministri e che sarebbe
bastata «qualche limatura». Nel frattempo, del decreto, sono uscite bozze su
bozze ma nessuna ha sciolto i nodi fondamentali. Primo: come sostenere
finanziariamente gli interventi che vanno dal supporto al trasporto pubblico a
quello per l’assunzione di vigili urbani e delle aziende colpite dalle
conseguenze del crollo. Secondo: chi dovrà essere a farlo, dal punto di vista
di demolizione e ricostruzione, e da quello di risarcimenti e indennizzi, visto
che il governo è intenzionato a tenere fuori il concessionario Autostrade.
L’ipotesi che alla base dello stallo ci siano innanzitutto problemi di
copertura finanziaria è stata confermata dallo stesso presidente del consiglio.
«Sul decreto – le parole di Conte, ieri – aspettiamo i riscontri del Mef e poi
confidiamo di inviarlo al presidente della Repubblica se i riscontri si
chiuderanno in giornata».
Diversamente
da quanto annunciato venerdì dal ministro dei Trasporti Toninelli, peraltro,
non c’è stato alcun secondo passaggio nell’ultima riunione del consiglio del
ministri che, invece, ha dato il via libera al salvinano decreto sicurezza. A
questo proposito è il vicepremier leghista a dare per primo un indizio di
cronoprogramma: «Il decreto sicurezza sarà presentato a Mattarella un’ora dopo
rispetto a quello per Genova». Poi seguito dal suo gemello diverso Di Maio.
«Domani al Quirinale, poi in Gazzetta – ha detto al termine del vertice
sull’Ilva di Cornigliano – servirà per fare anche un po’ di giustizia.
Autostrade non metterà neppure una pietra, ma i soldi sì».
Che
sia domani, dopodomani o tra qualche giorno, sarà comunque tropo tardi. Il
governatore ligure Giovanni Toti scalpita. Ieri al Salone Nautico, dopo aver
avuto conferma dal capo dello Stato il decreto era ancora creatura fantasma, ha
definito «Inquietanti il moltiplicarsi di indiscrezioni intorno a qualcosa di
cui non c’è traccia» e ha attaccato il governo: «Stiamo perdendo tempo e
l’unica cosa che non è consentita a nessuno è giocare con il tempo e la pelle
dei genovesi». Fonti vicine al presidente dicono che Toti sarebbe anche
particolarmente preoccupato dai nomi di tecnici che starebbero circolando come
papabili commissari. «I grillini mi dovrebbero spiegare perché hanno scelto di
trovare un professore a cui dare 200 mila euro – avrebbe detto – invece di
scegliere gratis non dico me ma quantomeno il sindaco di Genova Bucci». E
proprio sul nome del commissario Conte prova a sedare le polemiche: «Dissi 10
giorni e intendevo 10 giorni dall’entrata in vigore del decreto». Ma fino a
giovedì sarà a New York per l’assemblea generale dell’Onu. Difficile che il
decreto per Genova sia fatto uscire in sua assenza. A breve, a brevissimo, tra
pochi giorni. La risposta compare sui muri dei vicoli, ancora prima che su
quelli virtuali dei social network. Decine di manifesti stampati in ciclostile:
«Genova è ferita, non stupida».
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