Mauro Favale– Micromega
27 settembre ’18
Quando a luglio, in gran segreto, l'hanno convocata
in Campidoglio per farle "il processo", ha capito che ormai la strada
verso il suo licenziamento era tracciata. Volevano che chiedesse scusa, che
accettasse di mettersi in aspettativa non retribuita per due mesi, che cambiasse
mansione, da autista a "verificatrice". E a chiederglielo, era
proprio Marcello De Vito, il presidente dell'Aula Giulio Cesare per il quale
lei aveva fatto campagna elettorale con tanto di audio che circolava alla
vigilia delle elezioni, giugno 2016. Quoque tu, M5S?
Già, perché nel licenziamento di Micaela
Quintavalle dall'Atac, formalizzato ieri dall'azienda con una lettera, c'è lo
svelamento dei 5 Stelle "di governo", alla guida di Roma da quasi 2
anni e mezzo tra infiniti problemi, promesse disattese e grandi delusioni. Una
storia piccola, quella della "pasionaria dell'Atac", così era stata
ribattezzata la Quintavalle, 38 anni, studentessa di Medicina, ma soprattutto
autista e sindacalista (a capo della battagliera sigla M410) nella scalcagnata
azienda dei trasporti di Roma, attualmente sotto procedura di concordato
preventivo.
Una storia piccola che però racconta molto del
"metodo M5S", all'opposizione sempre pronto a benedire il
"whistleblower", chi denuncia reati e situazioni incresciose nei
luoghi di lavoro, salvo scaricarlo quando si trova dall'altra parte della
barricata. Così è accaduto alla Quintavalle che a maggio aveva raccontato in
tv, alle Iene, quello che anche la procura di Roma, mesi dopo, avrebbe
confermato: sugli autobus che circolano nella capitale non si fa la
manutenzione necessaria.
Ci sarebbe questo (e non presunti sabotaggi
denunciati dall'azienda) alla base delle fiamme che, dall'inizio di quest'anno,
hanno avvolto 21 autobus. La Quintavalle l’aveva spiegato alle Iene, indossando
la divisa dell'Atac, prima di cominciare il suo turno di lavoro, pochi giorni
dopo il rogo che aveva avvolto un mezzo in via del Tritone, a 300 metri da
Palazzo Chigi. Parole che le erano costate un provvedimento disciplinare e una
sospensione, durata, fino a ieri, 128 giorni.
In altre situazioni, i 5 Stelle avrebbero
capitalizzato elettoralmente quella denuncia, così come avevano fatto tre anni
fa, quando le battaglie della Quintavalle (tra scioperi più o meno selvaggi)
erano state cavalcate da Virginia Raggi, De Vito e company in funzione
anti-Marino. Stavolta, invece, nessuna voce si è alzata a difendere l’ex
sostenitrice che ieri, in lacrime, ha annunciato in diretta Facebook il suo
licenziamento: non Raggi (che da tempo evita accuratamente di esprimersi su
questioni ben più scivolose, dal bilancio comunale ai destini di Ama), non De
Vito (che pure, a maggio, si era schierato dalla parte della sindacalista per
trasformarsi poi in singolare mediatore, a luglio, delle richieste dell’azienda
per il reintegro della Quintavalle), né, tantomeno, i big nazionali che tre
anni fa si sbracciavano per sostenere le battaglie dei dipendenti Atac.
Come Alessandro Di Battista che nel 2015 spese
tutto il suo carisma per chiedere (con successo) il reintegro di un altro autista,
Christian Rosso, all’epoca sospeso come lo era fino a due giorni fa la
Quintavalle, per aver raccontato sui social i disservizi dell’azienda. Altri
tempi, appunto, quando i 5 Stelle erano all’opposizione. Al governo, dal
Campidoglio a Palazzo Chigi, è tutta un’altra musica.
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