Vittorio Malagutti e Andrea Palladino – L’Espresso
22 settembre ’18
Lo
aspetta un futuro da «avvocato del popolo italiano», come ha promesso in
diretta tivù. Finora però il nuovo premier Giuseppe Conte si è distinto
soprattutto per aver difeso gli interessi milionari di grandi aziende. E in
almeno un caso Conte è diventato il professionista di fiducia di un uomo
d’affari come Giuseppe Saggese, arrestato con l’accusa di essersi arricchito
facendo la cresta sulle tasse, quelle pagate dai cittadini ai loro comuni di
residenza.
Nel
2009, il futuro presidente del Consiglio ha rappresentato Saggese in alcuni
collegi arbitrali. Tempo pochi mesi e l’imprenditore viene travolto dalle
perdite e nel 2012 finisce la sua carriera in carcere. Le accuse sono pesanti:
decine di milioni di euro spariti, intascati da chi si è tenuto le tasse
reclamate da centinaia di amministrazioni locali. Tributi Italia, la società di
Saggese, offriva un servizio chiavi in mano per riscuotere le imposte comunali,
dall’Imu alla tassa per i rifiuti, fino alle concessioni per l’occupazione
dello spazio pubblico.
Un
successone, da principio. Per quasi un ventennio, come hanno ricostruito le
indagini, Tributi Italia ha goduto di ottimi appoggi anche a Roma, al vertice
dell’amministrazione fiscale. Il castello di carte cade miseramente nel 2012,
quando l’imprenditore viene arrestato con l’accusa di peculato e appropriazione
indebita. Prima del crack, tra il 2009 e il 2010, Saggese era già finito in
rotta di collisione con alcuni comuni, a cui chiedeva un aumento dell’aggio
cioè dei compensi per la riscossione. La controversia venne affidata a un
collegio arbitrale e in almeno tre casi, ad Alghero, a Partinico (Palermo) e
Acate (Ragusa) il professionista chiamato a rappresentare Tributi Italia fu
proprio Conte. Nel 2009, quando il futuro presidente del Consiglio prese le
parti di Saggese, il suo cliente aveva già alle spalle più di un incidente con
la giustizia. Nel 2000 e poi ancora nel 2009, due diverse procure della
Repubblica, prima Roma e poi a Velletri, avevano chiesto e ottenuto il suo
arresto, in entrambi i casi poi revocato dal Gip. del Consiglio.
Con
l’inchiesta penale del 2012, nata a in Liguria, a Chiavari, e in seguito
trasferita a Roma, si chiude la parabola di Tributi Italia, che va in
fallimento, mentre il presidente e fondatore dell’azienda, a oltre sei anni di
distanza dal crack, risulta ancora in attesa di giudizio.
Navigano
invece con il vento in poppa le società della famiglia pugliese Marseglia, con
cui il presidente del Consiglio vanta stretti rapporti personali e
professionali. Partito come produttore di olio, Leonardo Marseglia, 72 anni,
salentino di Ostuni, adesso tira le fila di un gruppo con quasi un miliardo di euro
di attivo che viaggia al ritmo di 50 milioni di euro l’anno di profitti. Non
solo oleifici, quindi, ma alberghi, centri turistici, immobili di pregio in
diverse città italiane, comprese Roma e Milano. Gran parte degli utili
provengono dalla produzione di energia, grazie a numerose centrali elettriche,
alcune delle quali alimentate a biomasse, soprattutto oli vegetali.
La
rincorsa dei Marseglia ha preso velocità nel 2010 quando la famiglia pugliese,
grazie a una complessa operazione finanziaria, ha riportato in patria il
controllo di attività per un valore di circa 190 milioni. Si parte ad aprile
2010: la Kirkwall Corporation, con base nel paradiso fiscale delle Antille
olandesi, trasferisce la propria sede in Lussemburgo per poi scomparire dopo la
fusione con la propria controllata Ludvika immobiliers di Amsterdam. Il cerchio
si chiude a fine 2010 quando quest’ultima società olandese viene assorbita
dalla holding dell’imprenditore di Ostuni.
Più
di recente, nel 2015, i Marseglia (insieme a Leonardo c’è il figlio Pietro) si
sono conquistati un posto al sole a livello nazionale. Le cronache finanziarie
si sono accorte di loro grazie all’acquisto del Molino Stucky di Venezia, il
lussuoso hotel sull’isola della Giudecca rilevato tre anni fa dal fallimento del
gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. A novembre del 2015
Marseglia ha nominato Conte, pure lui di origini pugliesi, nel consiglio di
amministrazione della Ghms (Grand Hotel Molino Stucky), la società che gestisce
l’albergo veneziano. È un consiglio extra small, solo tre membri: insieme al
premier e allo stesso Marseglia troviamo l’amministratore delegato Antonio
Giannotte, manager di fiducia dell’azionista.
Intervistato
nei giorni scorsi da “la Repubblica”, l’imprenditore ha minimizzato i suoi
rapporti con Conte, descrivendo l’incarico in Ghms come il frutto di una
conoscenza occasionale nata sulle spiagge di Rosa Marina, la località turistica
non lontana da Ostuni dove tra l’altro Marseglia possiede un resort di lusso.
«Una nomina proforma», ha spiegato il proprietario dell’hotel Molino Stucky.
Conte, ha detto, «non è mai venuto nemmeno a una riunione». I documenti
ufficiali contraddicono questa versione dei fatti. Il 25 settembre dell’anno
scorso il futuro presidente del Consiglio ha partecipato in audioconferenza
all’assemblea di Ghms che aveva all’ordine del giorno, tra l’altro,
l’approvazione del bilancio 2016 della società.
Carte
alla mano, si può dire che l’assistenza di un legale con l’esperienza di Conte
faceva molto comodo a Marseglia, per mesi impegnato nelle complesse trattative
che hanno portato all’acquisto del lussuoso hotel veneziano. Alla fine è
arrivato il via libera delle banche creditrici di Bellavista Caltagirone, a
cominciare da Unicredit, esposte in totale per circa 250 milioni di euro. Il
compratore si è fatto carico di parte dei debiti e come garanzia gli istituti
di credito si sono presi in pegno le quote di Ghms, proprietaria dell’albergo.
Questo
però è solo il primo tempo di una partita che vale in totale quasi mezzo
miliardo. L’anno scorso, infatti, Unicredit aveva sponsorizzato anche un’ altra
importante acquisizione di Marseglia. Siamo sempre a Venezia e questa volta
l’imprenditore puntava al Ca’ Sagredo, hotel di lusso ospitato da Palazzo
Morosini sul Canal Grande. L’operazione si è però fermata per cause di forza
maggiore, dopo che l’hotel veneziano è stato messo sotto sequestro su richiesta
della procura di Monza che indaga su Giuseppe Malaspina, imprenditore di
origini calabresi residente in Brianza e finito agli arresti il 21 maggio
scorso. Il Ca’ Sagredo faceva capo proprio a Malaspina ed era stato messo in
vendita dopo il fallimento delle sue società, indebitate con Unicredit.
Niente
da fare allora, almeno per il momento. Marseglia sarà costretto ad attendere
che si sblocchi la partita giudiziaria. Non è solo questione di hotel, però. Come
detto, i profitti del gruppo Marseglia derivano in buona parte dalla produzione
di elettricità da fonti cosiddette pulite. Un’attività che gode di generosi
incentivi statali, fissati per legge. Difficile immaginare, allora, che
all’occorrenza non possa far comodo un amico a Roma, seduto addirittura sulla
poltrona di presidente del Consiglio.
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