Redazione Rassegna sindacale
1 Agosto 2018
1 Agosto 2018
321 mila poveri in più in un solo anno, questo è ciò
che è capitato nel 2017 alle regioni del Sud secondo l'Istat. Il tutto in un paese
in cui la povertà ha ormai sfondato il tetto di 5 milioni di individui. “A
incidere su questi dati c'è anche la mancanza di occupazione femminile,
soprattutto per il Meridione d'Italia. Lavorare in due all'interno di una
famiglia, infatti, rende possibile tamponare una situazione di difficoltà
dovuta a redditi particolarmente bassi. Il fatto che il reddito familiare delle
famiglie del Sud si basi spesso soltanto sul salario di una sola persona
aumenta ovviamente il rischio di povertà”. A dirlo, ai microfoni di
RadioArticolo1, è la docente di Statistica Linda Laura Sabbadini.
Questa dinamica vale anche per la classe media. “Il
problema esiste non solo per chi ha un lavoro di tipo operaio, ma anche per chi
ha un lavoro da impiegato – continua Sabbadini –. Quindi l'occupazione
femminile è di per sé una sorta di protezione dalla povertà, soprattutto al
Sud. Certo, nel Meridione registriamo dei tassi di occupazione molto bassi
anche per gli uomini. In alcuni casi, il tasso di occupazione femminile nelle
regioni del Nord ha superato il tasso di occupazione maschile di quelle del
Sud”. Il problema è insomma duplice: “C'è una bassa occupazione femminile ma
anche un declino dell'occupazione maschile. La forbice tra il Settentrione e il
Meridione è poi aumentata ulteriormente con la crisi”.
Quella delle donne al Sud, però, è una situazione
“particolarmente critica”, perché ci sono “poche donne che lavorano e quelle
che lo fanno sono molto sovraccariche, perché oberate anche dal lavoro di
cura”. La divisione dei ruoli all'interno delle famiglie meridionali è infatti
“più asimmetrica rispetto al resto d'Italia”. Le poche lavoratrici, dunque,
hanno anche “una maggiore probabilità di perdere il lavoro”, in un contesto in
cui i servizi sociali vivono una situazione di difficoltà.
C'è poi un problema di inserimento nel mercato del
lavoro da parte delle donne. “Complessivamente la situazione è critica perché
gli stereotipi sono più forti al Sud e la precarietà del lavoro è più
accentuata. Le difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro sono tali da
impedire l'accesso alle donne, anche perché si entra nel lavoro in un'età più
avanzata rispetto a quello che succede in altri paesi europei”.
“L'unica eccezione – spiega Sabbadini – riguarda le
laureate, che sono le uniche che in maggioranza riescono a lavorare nel Sud e
che raggiungono un tasso di occupazione del 65%”. Anche se “molto spesso il
lavoro che trovano è precario e magari non è attinente al titolo di studio
ottenuto”.
Anche per questo la formazione diventa fondamentale.
“Chi più investe in istruzione, e al Sud s'investe di meno, in realtà ha più
probabilità di trovare un lavoro”. Questo vale anche per gli uomini e anche per
altre latitudini. “Chi possiede un titolo di studio più elevato è stato molto
più protetto dalla crisi, I giovani più colpiti sono stati quelli di titolo di
studio più basso”. Insomma, conclude Sabbadini, “investire in formazione, in
cultura, in un titolo di studio paga molto di più, perché permette con più
facilità di trovare un posto di lavoro”.
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