Luciana Castellina – Il manifesto
29 Agosto 2018
È davvero una bella notizia che
nel mese di agosto, al centro di Milano – a San Babila – siano scese in piazza
molte migliaia di persone, frutto di una mobilitazione improvvisata, cui tanti
hanno offerto il loro impegno senza diplomatici accorgimenti,- per contestare
Orbán e Salvini che in quella città capoluogo della Regione Lombardia culla
della Lega avevano deciso di abbracciarsi ufficialmente.
Qualche giorno fa El Pais ha
ospitato un articolo sulla situazione italiana che mi era stato sollecitato per
la pagina “opinioni”del quotidiano spagnolo. Sono stata molto contenta di registrare
che il titolo assegnato al mio pezzo sia stato: «La sinistra invisibile»,
perché ha colto quello che vorrei cogliessero anche i tantissimi che appena li
incontri scuotano la testa in segno di disfatta e dicono «mamma mia che
disastro».
E vanno a casa a leggere i
giornali, affogando sconsolatamente nelle mille terribili notizie che
raccontano ovunque il nostro paese. Intendiamoci: non ho preteso di nascondere
ai lettori spagnoli i nostri guai e penso che nessuno debba minimizzare il
rischio della situazione in cui ci troviamo. Non però fino al punto di ritenere
che la grande sinistra italiana sia potuta sparire da un giorno all’altro senza
lasciare traccia di sé. C’è ancora, e però resa invisibile e paralizzata dalla
sua frantumazione, dallo scetticismo, dal senso di disinganno che ormai pervade
i più. Ma quel titolo, di cui ringrazio El Pais, accompagnava un articolo in
cui cercavo di dar conto di quanti siano tutt’ora le persone, ma anche i
gruppi, le reti, che un po’ da per tutto in Italia, al nord come al sud, sono
impegnati in qualche lotta sacrosanta, sul terreno ecologico così come su
quello sindacale, o in iniziative di solidarietà e di antirazzismo. L’Italia,
insomma, non è un paese inerte, conserva un suo dinamismo sociale, che tuttavia
non si traduce in collettiva iniziativa politica. Visibile.
NON HO CERTO ricette per indicare
come, ripartendo da questa sinistra territorializzata e sminuzzata, sia
possibile tornare a far vivere anche da noi un movimento e, perché no? anche un
partito nuovamente visibile. Né sono fra coloro che ormai teorizzano che va
bene così, che il localismo è il nuovo modo di far politica del secondo
millennio. Penso tuttavia che almeno sulle questioni su cui siamo tutti
d’accordo – l’accoglienza dei migranti e la protesta contro lo sceriffo Salvini
– si possa e si debba fare uno sforzo ed agire collettivamente. Senza farci
paralizzare dalla diplomazia delle sigle in grado di convocare un’azione di
dimensioni adeguate. So bene che se – per esempio – a convocare una grande
manifestazione nazionale di protesta contro Salvini e c. si formasse uno
schieramento composto da tutti i gruppi e le associazioni importanti, laiche e
cristiane, le tantissime che sono d’accordo a protestare ma sono paralizzate da
quella frantumazione che affligge la sinistra italiana, sarebbe possibile dar
vita ad una enorme significativa manifestazione. Visibile.
CHE RIDAREBBE fiducia, e voglia
di fare, alla crescente «sinistra sfiduciata»( o meglio sfigata, pardon). E
allora viva l’iniziativa de il manifesto, che ha rotto il silenzio e forse ha
fatto anche uno strappo diplomatico per non aver atteso che si raggiungesse un
accordo fra le famose sigle autorevoli, usando il fatto di essere solo un
giornale, e perciò dicendo: fatevi vivi tutti, noi siamo qui ad aiutare come
possiamo, e cioè offrendo uno spazio per raccogliere le intenzioni di chi,
individualmente o collettivamente, dice: muoviamoci. Poi vedremo come e quando.
IL MANIFESTO si è rivolto ai
tanti che sappiamo condividere in questo tempo il nostro stesso dolore e la
nostra stessa rabbia per l’emergere, in una parte via via crescente di
italiani, di una brutalità razzista che nemmeno immaginavamo potesse covare
nelle viscere della nostra società. Io non credo sia così diffusa come appare,
ma poiché le cronache di ogni giorno inducono tutti a pensare si tratti di un
atteggiamento generalizzato, urge dare un segnale forte e diverso. Non per
riscattare l’onore della «nostra patria» ( ma anche per questo, in fondo ), ma
perché se dovesse affermarsi l’idea che sia davvero possibile un ritorno
fascista finirebbe per prevalere scoramento e passività. Verrebbe gettata via
l’energia, che invece c’è ancora, necessaria a cercare, ciascuno nei propri
modi e secondo le proprie diverse culture, le strade atte a creare un mondo più
uguale e solidale.
IL RISCHIO è che ognuno di noi
viva da solo amarezza e indignazione. Scriveva don Milani 50 anni fa: «Ho
scoperto che il mio problema è uguale a quello degli altri. Uscirne tutti
assieme è politica. Uscirne da solo è avarizia». Il più meschino e sordido dei
vizi.
CERCHIAMO di non vivere in
solitudine questo brutto momento della nostra storia, proviamo a dimostrare che
crediamo ancora alla forza del fare collettivo. Scrolliamoci da dosso la
paralizzante idea che manifestare assieme non serva. Non è vero. Troviamoci
tutti nella capitale, tutti quelli che vogliono cercare di «uscire tutti
assieme» dall’angoscia che in questo momento ci pervade.
Possiamo provarci? Se le risposte
saranno molte, forse sarà più facile indurre le grandi organizzazioni, ciascuna
delle quali non può muoversi da sola senza dare l’impressione di voler ignorare
le altre, a coalizzarsi per riempire le strade di Roma e dire che non è vero
che siamo tutti razzisti, siamo solo invisibili e abbiamo il dovere di
ridiventare visibili. L’iniziativa presa ieri a Milano, il modo in cui si è
arrivati a convocarla, è un incoraggiamento.
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