giovedì 30 agosto 2018

SINISTRA Profitti privati e sacrifici pubblici, Italia campione di privatizzazioni grazie anche alla sinistra blairiana


Rinaldo Gianola – La striscia rossa
31 Agosto 2018

Ci volevano il crollo di un ponte, 43 morti, centinaia di sfollati, una città spezzata in due perché si tornasse a parlare del ruolo dello Stato in economia, delle privatizzazioni realizzate, delle liberalizzazioni, della concorrenza, del mercato. Dispiace dirlo, ma sono stati i grillini, con tutto il loro carico di demagogia, strumentalizzazioni e incompetenza, a riaprire la questione dello Stato-padrone e imprenditore, del passaggio di enormi ricchezze pubbliche in mani private, della voracità di un capitalismo privato straccione e predatore. Forse i Cinque Stelle vogliono solo alzare un gran polverone perché non hanno idea di cosa stanno parlando, ma è ora che il Paese faccia i conti con trent’anni di privatizzazioni e di retorica sul mercato e la prevalenza dei privati come motore di sviluppo.
La concessione Autostrade è uno scandalo: non si può garantire a un privato che gestisce un’infrastruttura di interesse pubblico un rendimento del 7%, dividendi per miliardi generati dagli aumenti delle tariffe, senza imporre controlli severi con opportune sanzioni in caso di errori e negligenze su mancati investimenti e sicurezza. E adesso qualcuno si offende perché lo Stato, che ha grandi responsabilità, vuole togliere la concessione e nazionalizzare le Autostrade. Allora diteci: qual è il prezzo minimo che devono pagare i Benetton e i loro soci che hanno intascato profitti giganteschi per la strage di Genova?

La presenza dello Stato in economia, anzi il ritorno deciso della mano pubblica nella proprietà e nella conduzione di parti rilevanti dell’industria, dei servizi, delle infrastrutture, è un tema tornato di moda, oggetto di discussioni politiche, di progetti, di studi accademici negli ultimi anni, in coincidenza con gli effetti più gravi della crisi. In America è stato Obama a mettere mano al portafogli e a organizzare salvataggi pubblici di grandi imprese. In Francia e in Germania la presenza pubblica ha mantenuto una rilevanza preponderante nelle attività strategiche. In Germania la presenza delle regioni nel capitale dei grandi gruppi, dalla Volkswagen in giù, è garanzia di stabilità proprietaria, di successo e di rispetto dei diritti dei lavoratori i quali sono rappresentati nei consigli di sorveglianza. Quando Sergio Marchionne si presentò con lo zainetto in spalla davanti alla cancelliera Merkel per chiedere il permesso di comprare la Opel, fu messo alla porta perché in Germania nessuno poteva accettare un sistema di relazioni industriali come quello di Pomigliano d’Arco o Melfi. Da noi invece Fassino e Chiamparino dicevano che Marchionne era un “socialdemocratico”. E ancora: l’economista Mariana Mazzucato ha avuto un buon successo con il suo libro “Lo Stato imprenditore” in cui riabilita e valorizza il ruolo del pubblico spiegando che senza lo Stato non ci sarebbero oggi Internet, il Gps, la ricerca più avanzata, gli algoritmi di Google e così via.
Pur avendo storicamente basato il nostro sviluppo economico sulla combinazione di pubblico e privato, con un ruolo guida, decisivo dello Stato, siamo diventati campioni delle privatizzazioni. A noi italiani anche Margaret Thatcher ci fa un baffo, abbiamo venduto tutto, nessuno può darci lezioni. Le prime privatizzazioni vere sono degli anni Ottanta, con la Cementir venduta al gruppo Caltagirone (governo Andreotti) e poi con il passaggio dell’Alfa Romeo alla Fiat nel 1986 (governo Craxi, Prodi presidente dell’Iri). Stendiamo un velo pietoso sull’Alfa Romeo, ricordiamo solo che persino Luca di Montezemolo e lo stesso Prodi in anni successivi dissero che sarebbe stato meglio venderla a un produttore straniero.
Ma è con gli anni Novanta che l’Italia diventa il campione delle privatizzazioni. Siamo costretti a vendere: il debito pubblico galoppa, l’economia è in caduta, la prima Repubblica è sull’orlo del collasso, Mani pulite trionfa. L’Europa ci impone i sacrifici, cedere banche e industrie pubbliche per restare aggrappati al percorso comunitario. Sono i leader progressisti, del centrosinistra Amato, Ciampi, Prodi a mettere mano alle privatizzazioni. Si parte con il Credito Italiano, poi la Banca Commerciale, l’Ina e l’Imi. E ancora l’industria agroalimentare Sme, Autogrill, e anche Mediobanca. Viene privatizzato l’acciaio di Stato, l’Ilva passa al gruppo di Emilio Riva che da Taranto spremerà tanti di quei profitti da essere costretto a nasconderli in Svizzera, ma dimenticando di investire in bonifiche e aggiornamento tecnologico. A fine decennio lo Stato vende pure Telecom Italia, un gioiello, la più bella impresa italiana. Fallito il “nocciolino” di controllo degli Agnelli, Generali e soci la compagnia è scalata dall’Olivetti di Roberto Colaninno e dalla “cordata padana” (governo D’Alema) che si scioglie nel 2001 (governo Berlusconi) per passare la mano alla Pirelli di Tronchetti Provera e ai Benetton, sempre loro. Oggi Telecom è contesa tra un bullo francese, Vincent Bollorè, e un fondo avvoltoio americano, Elliott. Ci sarebbe da ricordare Alitalia, quante volte è stata venduta ai privati e poi salvata dai soldi pubblici?


Negli ultimi vent’anni quelli di sinistra “innovatori”, infatuati di Blair e vittime inconsapevoli del trionfo del neoliberismo, spiegavano che una modernizzazione era necessaria, che le privatizzazioni servivano a tagliare il debito pubblico, a stimolare la nascita e la competizione di nuovi gruppi industriali, rendendo così il mercato più democratico e aperto. Bisognerebbe chiamarli uno a uno a rendere conto di questi obiettivi (mancati). Il debito non è mai stato così alto, lo Stato ha in larga misura trasferito i settori “tariffati”, quindi sicuri come una rendita, ai privati senza pretendere nulla, solo nelle banche come nel caso di Intesa Sanpaolo sono stati creati dei campioni nazionali anche se la maggioranza del capitale, è bene ricordarlo, è in mano a fondi internazionali.
In Inghilterra il laburista Jeremy Corbyn, su cui ironizzava Matteo Renzi, ha nel suo programma la statalizzazione dell’energia elettrica, delle ferrovie, della gestione dell’acqua. In America il democratico Bernie Sanders teorizza un intervento organico della mano pubblica nell’assistenza, nella sanità, propone investimenti pubblici nelle infrastrutture. In Italia? I leader Pd – Renzi, Letta e Gentiloni e vedremo i prossimi – a quanto si capisce restano sulla vecchia strada. Restano convinti che lo Stato deve uscire dall’economia. E così capita che finanziamo l’Alta Velocità ferroviaria e in nome del progresso economico consentiamo ai privati di gestire i treni. E loro cosa fanno? Alla prima occasione vendono Italo agli americani, così i leggendari Montezemolo, Della Valle, Bombassei, Cattaneo e compagnia si spartiscono centinaia di milioni di profitti. Fenomeni dell’imprenditoria, benefattori del Paese. Avanti così.

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