mercoledì 29 agosto 2018

MIGRANTI Hotspot Migranti di Messina. Disumano e abusivo


Antonio Mazzeo - Pressenza

Una vera e propria baraccopoli superaffollata con decine di container di lamiere di zinco accatastate, tendostrutture, recinzioni e cancellate divisorie; pochi bagni fatiscenti e tre saloni con centinaia di letti a castello, uno attaccato all’altro, invadenti, soffocanti. Un moderno e infame lager per le politiche di “contenimento” e controllo dell’immigrazione dell’Unione europea e di tutti i governi succedutisi alla guida del Paese dall’agosto 2014, quando è stato aperto il Centro di prima accoglienza presso l’ex caserma “Gasparro” di Bisconte, Messina, ampliato l’estate 2017 con un’area zoo-hotspot per le procedure di identificazione, detenzione ed espulsione dei migranti “indesiderati”, in ossequio alle campagne elettoral-sicuritarie di Minniti-pd prima e di Salvini e pentastellati oggi.
Condizioni di vita insostenibili, disumane; per tanti, troppi, temporalmente sconfinate, mesi e mesi in attesa di un trasferimento in un centro degno e vivibile o per conoscere l’esito della propria richiesta di asilo. Un inferno invisibile, ben protetto dagli occhi della città da invalicabili mura. Ignoto ai potenti della Messina che conta, volutamente dimenticato da amministratori, politici, gruppi consiliari. Si è dovuto attendere l’epilogo della vergognosa odissea dei migranti sequestrati sulla nave Diciotti della Guardia Costiera perché l’esistenza del centro-hotspot di Bisconte ottenesse un po’ di attenzione mediatica. La nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Cateno De Luca, buon emulo del fascioxenobo padre-padrone del Viminale, ha così potuto “scoprire” l’hotel “Gasparro” per chiederne l’immediata chiusura e il trasferimento coatto degli “ospiti” nelle innumerevoli baracche che popolano le periferie peloritane. Nella sua smisurata foga demagogica, il sindaco De Luca un merito l’ha però avuto. Quello di scoprire negli archivi del Comune un documento sino ad oggi incomprensibilmente secretato, che proverebbe però l’insanabile abusivismo della zincobaraccopoli realizzata un anno fa a Messina.
L’atto in questione è stato redatto dal Dipartimento di Edilizia del Comune in data 10 maggio 2017 (due mesi prima cioè dell’avvio dei lavori per l’hotspot); reca in calce la firma della direttrice (l’architetta Antonella Cutroneo) ed è indirizzato alla “Tomasino Metalzinco Srl” di Cammarata, Agrigento, la ditta vincitrice dell’appalto per la “realizzazione di una struttura temporanea per l’accoglienza dei migranti” all’interno dell’ex infrastruttura militare. “Si rappresenta in via preliminare che dall’istruttoria tecnica di massima, effettuata sulla scorta della documentazione prodotta, risulta che l’intervento, proposto ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 380/01 lett. b), contrasta con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie del P.R.G. (Piano Regolatore Generale) e del P.P.R. (Piano Paesaggistico Regionale) Bisconte, ricadendo l’area in questione in zona V.p.u. – Verde pubblico e parco urbano”, annota la dirigente Cutroneo, dichiarandosi comunque disponibile ad incontrare i responsabili del progetto congiuntamente all’architetto Salvatore Parlato, altro funzionario del Dipartimento di Edilizia del Comune.
A supporto delle gravi considerazioni espresse, la dirigente allega una specifica relazione a firma del tecnico comunale Ignazio Collura, consegnata al Dipartimento il 9 maggio. “Dall’esame della documentazione trasmessa emerge che l’area interessata dall’intervento occupa una superficie di circa 3.800 mq all’interno della caserma “Gasparro”, in parte della particella 218 del foglio di mappa catastale 119 e ricade nel P.R.G. e nel P.P.R. attrezzature e servizi pubblici o di uso pubblico, in zona V.p.u Verde pubblico e parco urbano, art. 22, così come si evince nella cartografia fornita dall’Ufficio Pianificazione”, riporta il geometra Collura. “L’area sarà suddivisa in quattro zone, mediante l’utilizzo di recinzioni metalliche alte metri 2, distinguendosi così una zona destinata agli addetti del cento e promiscui; una zona alloggi; una zona mensa; un’area tecnologica. Sono previsti opere che riguardano: la sistemazione interna dell’area compresa la recinzione e la rimozione di un albero del quale si prevede il trapianto in un’altra area da determinare; lo spostamento del cancello d’ingresso; la collocazione di prefabbricati per ospitare i migranti costituiti da 22 moduli abitativi; la collocazione di prefabbricati per servizi (polizia, infermeria, vigilanza portineria, spogliatoi, docce, w.c….) a singola e doppia elevazione; una tendo-struttura da adibire a mensa”.
Seccamente negativa la valutazione complessiva del progetto. “Si rileva che la documentazione in atti, per quanto possa riportare una relazione dettagliata delle opere da realizzare, non risulta adeguatamente supportata da un grafico progettuale dettagliato”, spiga il tecnico del Dipartimento di Edilizia. “Considerato quanto sopra si rileva una incompatibilità del tipo di intervento con la zona di ricadenza del P.R.G., che comunque prevede il mantenimento delle alberature. Resta da valutare se il tipo di insediamento rispetta, oltre ai requisiti igienico-sanitari regolamentari, gli standard relativi al rapporto mq/utente, tale da garantire la vivibilità e la permanenza di persone”.
Ed è proprio sul tema “vivibilità” del lager-hotspot di Bisconte che la relazione tecnica del Comune esprime le sue riserve maggiori. “I moduli previsti in progetto sono collocati in linea ed accostati uno all’altro, posti lungo il perimetro dell’area di sedime, adiacenti al muro di confine alto circa 4/5 metri e a distanza di circa metri 1,00 (misura grafica); tale collocazione oltre a non essere regolamentare, non permette l’areazione dei locali”, spiega il geometra Collura. “I moduli abitativi sono composti da un monoblocco delle dimensioni di metri 5×6 da 12 posti letto, sprovvisti di idonee aperture per la ventilazione e l’illuminazione naturale…”.
Opere dunque in contrasto con le normative urbanistiche e del tutto “disumane”. Chi e che in modo ha poi autorizzato l’avvio dei lavori, ma soprattutto come mai l’allora sindaco Renato Accorinti e l’assessore competente ingegnere Sergio De Cola (a parole contrari all’hotspot) non hanno ritenuto di impedirne la realizzazione o rilevarne l’eventuale abusivismo e la comprovata violazione degli standard minimi di abitabilità ed accoglienza? E perché la politica dell’intera amministrazione del tempo si è caratterizzata per l’assoluta indisponibilità ad ascoltare le denunce degli operatori antirazzisti sull’insostenibilità e le incompatibilità del progetto di ampliamento del centro-lager di Bisconte?
Sin dal suo avvio, l’iter progettuale del megacentro semidetentivo di Messina era stato segnato da tortuosi passaggi burocratici e inattesi colpi di scena. Il bando per la “fornitura e posa in opera, comprensiva di trasporto, installazione, montaggio, manutenzione e smontaggio finale per la realizzazione di una struttura  temporanea costituita da tendostrutture e moduli prefabbricati, recinzioni  e cancelli, pensiline, arredi e cartellonistica per l’accoglienza dei migranti” era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 13 giugno 2016. In autunno c’era stato un primo affidamento dei lavori ad una nota azienda modenese di prefabbricati in legno, seguito da due ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale di Catania da parte delle imprese escluse, la loro riammissione, un secondo affidamento poi sospeso per l’offerta anomala della nuova azienda risultata vincitrice e, infine, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 2017 dell’’assegnazione definitiva dell’appalto alla “Tomasino Metalzinco” con un ribasso  di circa il 35,3% rispetto al valore complessivo a base d’asta di 1.932.000 euro. Per l’avvio dei valori a Bisconte si è dovuto attendere l’1 luglio 2017; buona parte delle opere in subappalto sono state appannaggio di altre piccole aziende con sede nel comune di Cammarata (la Siciliana Costruzioni Srl e la Focolari Srl), mentre la consegna della zincobaraccopoli è avvenuta ai primi di settembre 2017.
Un’ispezione a metà novembre da parte di un’equipe di Borderline Sicilia forniva un quadro dettagliato degli effetti dei nuovi lavori di ampliamento sulle condizioni di vivibilità e agibilità dei migranti all’interno del Centro. “Nonostante i lavori siano finiti da poco, anche dall’esterno è possibile constatare come le norme di sicurezza siano evidentemente inadeguate: si nota infatti l’esistenza di un’unica uscita di sicurezza, e se pensiamo che gli ospiti sono arrivati ad essere anche più di 600, possiamo facilmente immaginare l’impossibilità di gestione in caso di pericolo”, denuncia Borderline Sicilia. “L’inefficienza dei lavori risulta ancora più evidente ascoltando i racconti di molti ospiti del CAS: a causa di forti allagamenti degli spazi in seguito alle recenti piogge, molti di loro sono stati costretti a dormire su brandine collocate all’interno di grandi tendoni. La precarietà organizzativa della struttura è facilmente percepibile sin dal primo impatto visivo esterno: gli spazi sociali sono nulli, i migranti sono obbligati a stendere i panni sulla rete divisoria, alcuni dei bagni sono chimici; l’acqua calda è disponibile solo in pochi momenti della giornata. Inoltre i vestiti e le calzature vengono distribuiti solamente al momento dell’ingresso e rimangono i medesimi per l’intero arco dell’accoglienza”.
“Gli ospiti dell’ex caserma sono, dunque, costretti a sopravvivere quotidianamente sotto il peso di un’accoglienza che fa acqua da tutte le parti e in un limbo di attesa senza data di fine; attesa che ha evidentemente il risultato, se non l’obiettivo, di incentivare la maggior parte degli ospiti a scappare da quest’apatia allontanandosi dal centro, complicando sempre di più il percorso del riconoscimento della protezione e il conseguente percorso di inclusione”, conclude l’organizzazione non governativa. “Siamo di fronte ad un circolo che si autoalimenta e che non fa altro che produrre da un lato irregolarità e dall’altro odio, xenofobia e pregiudizio. Specchio di questa realtà sono le diversificate proteste portate avanti sia dai dei residenti del Rione Bisconte sia dai migranti, che in numerose occasioni hanno provato a far sentire il proprio malcontento. Nonostante il silenzio mediatico, l’ultima contestazione da parte dei migranti è stata il 6 novembre 2017, in seguito all’allagamento di una parte del campo. La protesta non ha avuto effetti in quanto le condizioni sono rimaste le medesime…”.

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