Lorenzo Ferrari – Il Post
25 agosto 2018
Tutte le discussioni e le
reazioni che negli ultimi anni si sono scatenate in Europa sul diritto di
ricevere protezione internazionale si basano sull’idea che i richiedenti asilo
siano quelli che arrivano attraverso il Mediterraneo, provenienti dall’Africa e
dall’Asia. In realtà lo scorso anno tra coloro che hanno fatto domanda d’asilo
nei paesi dell’Unione Europea c’erano quasi 100.000 persone europee o
provenienti da nazioni storicamente e culturalmente associate all’Europa:
albanesi, ucraini, georgiani, armeni e così via.
Questa massa di persone tende a
sfuggire all’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche: forse
perché tra loro ci sono moltissimi minorenni, con cui è più difficile
prendersela, ma probabilmente perché hanno la pelle bianca. Questi richiedenti
asilo vengono percepiti come meno minacciosi rispetto alle presunte orde di
giovani uomini dell’Africa subsahariana che avrebbero invaso le nostre città –
e dunque si prestano meno a essere additati e strumentalizzati.
La Francia ha rappresentato una
delle poche eccezioni a questo generale atteggiamento di disattenzione. Lo
scorso anno gli albanesi sono risultati in assoluto la più corposa comunità di
richiedenti asilo nel paese, e la stampa e la politica hanno dovuto
accorgersene. Gli albanesi in effetti hanno un peso notevole nel complesso
delle domande di asilo presentate da europei nell’Unione Europea. Nel 2017 sono
stati in più di 22mila a chiedere asilo, di gran lunga il numero più alto
rispetto a tutte le altre nazionalità, sia in termini assoluti sia in
proporzione alla popolazione (significa che quasi l’1 per cento dei cittadini
albanesi ha chiesto asilo nell’Unione Europea nel corso di un solo anno).
Nonostante gli stretti legami tra
l’Albania e l’Italia – o forse proprio per quelli – meno di 500 albanesi hanno
fatto richiesta d’asilo nel nostro paese nel 2017, e solo un centinaio l’ha
ottenuta. La più grossa comunità di richiedenti asilo di origine europea in
Italia è formata dagli ucraini, o meglio dalle donne ucraine. Sulle 8.950
domande presentate da cittadini ucraini lo scorso anno, quasi un terzo sono
state avanzate in Italia.
Diffidenza e scoraggiamento
La grande maggioranza degli
europei che fanno domanda d’asilo nell’Unione Europea si rivolge in realtà alla
Germania o alla Francia, ma negli ultimi anni entrambi i paesi hanno adottato una
politica sempre più rigida nei loro confronti. Le conseguenze sono state
l’inserimento dei paesi di provenienza nell’elenco dei “paesi sicuri”,
procedure rapide di valutazione delle domande e percentuali molto basse di
accoglimento, rimpatri forzati, accordi coi governi dei paesi d’origine per
limitare i flussi in uscita e minacce di reintrodurre i visti per l’area
Schengen.
«In Francia le autorità ormai
partono dal presupposto che domande come quelle presentate dagli albanesi siano
infondate, e dunque a questi richiedenti asilo non viene nemmeno offerto un
alloggio. L’idea di fondo è che non si debba essere troppo gentili con loro»,
sostiene Oliver Peyroux, un sociologo che studia l’immigrazione europea in
Francia. «Manca del tutto una riflessione sulle cause che spingono queste
persone a partire, e su cosa si potrebbe fare per aiutarli. Ma molto spesso
manca anche una conoscenza di base: per moltissimi francesi, ad esempio, gli
albanesi rimangono piuttosto misteriosi».
È vero che i paesi dell’Unione
Europea respingevano la maggioranza delle domande di asilo presentate da
cittadini europei anche prima della recente stretta, ed è vero che in molti
casi a chiedere l’asilo non sono persone esposte a pericoli e minacce
specifiche, bensì migranti economici con poche altre opzioni a disposizione per
riuscire a trasferirsi all’estero. Come conferma la giornalista albanese
Fatjona Mejdini, tra i suoi connazionali che partono molti sono giovani e
famiglie che non riescono a trovare lavoro nel loro paese.
Sempre più domande accolte,
nonostante tutto
Anche se le autorità tendono a
considerare strumentali le domande d’asilo presentate dagli europei, i numeri
raccontano una storia un po’ diversa. Nel 2017 i paesi dell’Unione Europea
hanno accolto circa il 18 per cento di queste domande, mentre cinque anni prima
avevano deciso di concedere l’asilo solo all’8 per cento di coloro che avevano
fatto richiesta. Il minore tasso di rigetto delle domande d’asilo non è certo
da attribuirsi a una maggiore generosità dei governi, quanto a un
riconoscimento delle corti locali dell’oggettiva precarietà delle condizioni di
vita in vari paesi europei. A trovare più spesso un esito positivo non sono
solo le richieste di asilo di turchi e ucraini – esposti evidentemente a gravi
rischi – ma anche quelle presentate da quasi tutte le altre nazionalità.
Ad esempio, anno dopo anno i
richiedenti asilo albanesi vedono accolte sempre più domande: all’interno
dell’Unione nel suo complesso, le concessioni di asilo nei loro confronti sono
passate in cinque anni da 500 a 1600. Le motivazioni alla base
dell’accoglimento delle richieste di asilo sono perlopiù legate ai pericoli
costituiti dalla vendetta di sangue, alla violenza domestica, alle
discriminazioni contro le persone LGBT e la comunità rom. Come hanno
evidenziato anche alcuni casi di cronaca, si tratta di pericoli concreti e
reali.
Non è insomma possibile ignorare
il fatto che in molti paesi europei esistono problemi seri di violazione dei
diritti umani, e dunque i paesi UE non dovrebbero partire dal presupposto che
le decine di migliaia di domande d’asilo che ricevono ogni anno da cittadini
europei siano solo strumentali. Per governare il fenomeno, ed eventualmente
ridurre i numeri degli arrivi, servirebbe piuttosto una riflessione sulle
ragioni che spingono così tante persone a lasciare paesi che nel nostro
immaginario sono ormai spesso delle accoglienti mete turistiche e dei futuri
partner all’interno dell’Unione Europea.
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L’articolo originale è stato
pubblicato dall’European Data Journalism Network,
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