Redazione di Un ponte per …
26 agosto 2018
Circa 500 giovani si sono ritrovati
il 12 agosto, in un parco pubblico di Mosul, per celebrare la Giornata
internazionale della gioventù, indetta dall’Onu nel 1999, quest’anno sul tema
“Spazi sicuri”. “Favorire la nascita di spazi riservati allo sviluppo dei
giovani in tutte le zone del mondo” è, infatti, uno dei principali obiettivi
indicati dalle Nazioni Unite e, per questo, inserito nella sua Agenda 2030 per
lo Sviluppo Sostenibile. Un segnale forte quello lanciato dai giovani di Mosul,
città occupata da Daesh (Stato islamico) per tre anni, dal 2014, e liberata
definitivamente solo a giugno dello scorso anno ma che ancora non può essere
ritenuta uno “spazio sicuro”. Si è trattato del primo evento pubblico
all’aperto, dalla fine dell’occupazione delle bandiere nere del Califfo, che i giovani
tutti appartenenti a diverse comunità e fedi, yazidi, turcomanni, shabak,
caldei, assiri, sunniti, sciiti, hanno organizzato grazie all’apporto dell’Ong
“Un Ponte Per…” (UPP), nell’ambito di un progetto di “peacebuilding”, e al
contributo finanziario dalla cooperazione tedesca (Giz).
Tornare a vivere. “La città vuole
tornare a vivere in tutti i sensi – spiega al Sir la Capo missione di UPP per
l’Iraq, Eleonora Biasi – e per questo motivo abbiamo cercato di attivare
progetti anche di tipo culturale”. Nel Paese mediorientale l’Ong è attiva con
oltre 200 operatori, in gran parte locali, e con uffici a Baghdad,
Sulaymaniyya, Dohuk, Erbil e Mosul. Nella città più importante del
Governatorato di Ninive, Upp è presente dal giugno 2017 con progetti rivolti
soprattutto alle donne traumatizzate e vittime di violenze sotto Daesh (ISIS).
“Mosul – afferma Biasi – è stata una città deumanizzata a causa della guerra,
dei bombardamenti, delle violenze dello Stato Islamico. Da qui la decisione di
lavorare sulla coesione sociale tra le comunità anche alla luce del fatto che a
Mosul e in tutto il Governatorato di Ninive sono presenti molte minoranze. Ora
che la fase di emergenza può dirsi chiusa, ci accorgiamo che la città vuole
tornare a vivere. Da questa voglia di riscatto è nato il Festival della
gioventù, voluto espressamente da un nutrito gruppo di giovani che ci ha
chiesto di essere sostenuti nell’organizzazione”. Significativo il tema scelto
per l’evento, “La nostra differenza rafforza la nostra esistenza”, con cui i
giovani hanno sottolineato “l’importanza della coesione tra comunità e religioni,
sentita dai giovani come una vera e propria urgenza dopo che tre anni di Daesh
aveva imposto un’uniformità totale della città”.
Un giorno di festa e di impegno.
Il 12 agosto i giovani si sono riuniti così in un parco pubblico di Mosul messo
a disposizione dalla Municipalità che ha fornito anche la sicurezza poiché,
ricorda Biasi, “per quanto la situazione possa dirsi sotto controllo,
permangono ancora dei rischi. Al Festival – aperto da un minuto di silenzio per
tutte le vittime del Sinjar, di Mosul e di tutto l’Iraq per mano dell’Isis –
hanno preso parte 500 giovani, un numero importante data la situazione della
città. È stato il primo evento pubblico all’aperto dalla liberazione della
città che con la guerra ha perduto molti dei suoi luoghi di aggregazione e di
ritrovo. Questo vale maggiormente per le ragazze che durante lo Stato Islamico
erano obbligate a stare in casa”. Tra i giovani anche dei volontari di UPP che
operano nei villaggi della Piana di Ninive, e una giovane yazida, Suzan, che
guida la Dak – Ezidi Women Organization. La giovane è stata la prima donna
della sua etnia a rientrare a Mosul dopo Daesh e lo ha fatto significativamente
proprio il 12 agosto. Dal palco giovani rappresentanti delle varie etnie e fedi
hanno portato la loro testimonianza e il loro messaggio di pace e di
convivenza. “Sono state lette alcune poesie su Mosul – racconta la capo
missione UPP – e abbiamo premiato alcuni gruppi di giovani che nei tre anni di
occupazione Isis si sono resi protagonisti di azioni socialmente utili. Tra
loro anche dei volontari che, dopo la liberazione dall’Isis, raccoglievano i
cadaveri, anche di combattenti del Califfo, che nessuno rimuoveva, e alcuni
giovani giornalisti rimasti attivi nonostante le proibizioni dello Stato
islamico”. Il tutto condito da dibattiti, musica, danze e giochi sportivi.
Giovani resilienti. “Da Mosul è
partito un messaggio chiaro: i giovani sono il motore della coesione sociale –
afferma Biasi -. Una missione che i giovani non hanno nessuna intenzione di
delegare ad altri. Essere giovani a Mosul è difficile perché non si hanno
scuole dove andare, non c’è lavoro, la guerra ha distrutto tutto, non esistono
luoghi di aggregazione. Ciò che vedo – conclude la capo missione – è che i
giovani non si arrendono e ognuno, secondo le proprie capacità, si è rimboccato
le maniche per creare qualcosa di importante e così far rivivere la propria
città. Non sono fermi ad attendere qualcuno, lo Stato per esempio, che faccia
ripartire scuole e fabbriche. Sono i primi a darsi da fare. Hanno grande
energia e non vogliono perdere altri anni della loro vita, dopo i tre passati
sotto l’Isis. Si stanno riprendendo la loro vita”. Un impegno che sta già
portando un primo frutto: “L’apertura di un centro giovanile a Mosul per
proseguire su questa strada di rinascita”.
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