In
Italia vengono considerate carenti circa 1.500 medicine e la loro mancanza
ritarda o rinvia la possibilità di curarsi. Il motivo? Rivenderle ai paesi del
Nord Europa è più remunerativo
Fabrizio Gatti- L’Espresso
26 agosto 2018
Se non trovate la medicina che il
medico vi ha prescritto, prendetevela con le regole del libero mercato o con le
autorità che non sono in grado di domarle: perché probabilmente le vostre
confezioni di pillole e di iniezioni sono state esportate in Germania o in
Inghilterra o in Olanda dove valgono molto di più.
Sono 1.556 i farmaci carenti in
Italia, secondo l’elenco settimanale pubblicato il 28 giugno scorso da Aifa,
l’agenzia di autorizzazione e controllo del ministero della Salute: di questi,
410 non hanno alternative equivalenti. Significa che la cura necessaria rischia
di essere ritardata o rinviata. Mancano perfino alcuni preparati importanti per
la sopravvivenza destinati alle unità di pronto soccorso degli ospedali.
Nella lista dei vuoti di
magazzino appaiono anche trentacinque vaccini. Alcuni sono tra quelli previsti
dalla campagna in corso che, secondo la tabella, non possono contare su formule
equivalenti: gli anti-Haemophilus influenzae di tipo B diventati rari per
problemi produttivi, l’Infanrix contro difterite-tetano-pertosse per cessata
commercializzazione temporanea, l’Engerix contro l’epatite B per problemi
produttivi, l’Imovax polio contro la poliomielite per problemi commerciali,
l’Imovax tetano contro il tetano per problemi commerciali e il Varilrix contro
la varicella per problemi produttivi. Si tratta di preparati delle
multinazionali Sanofi-Pasteur-Europe e GlaxoSmithKline.
La denuncia di Francesca
Mannocchi “Io, la mia malattia e il patto spezzato” , pubblicata su L’Espresso
la scorsa settimana, non riguarda soltanto le terapie a lungo termine. Ne siamo
tutti coinvolti. E giugno si conclude con un ulteriore record. Soltanto una
settimana prima, il 20 del mese, i farmaci carenti (tra i quali sono comunque
incluse le cessate produzioni) erano 1.527, ventinove di meno. E quelli senza
alternative equivalenti 398.
L’esportazione di medicinali dai
magazzini italiani verso il Nord Europa è una distorsione del mercato in corso
da qualche anno. Tanto che all’inizio del 2018 la Federazione delle
associazioni degli informatori scientifici del farmaco e del parafarmaco ha
rilanciato l’allarme sul suo sito: “Carenza e speculazione sui farmaci: quando
la salute vale meno di una mazzetta”
Sotto accusa è il mercato parallelo,
considerato il principale responsabile della scarsità di medicinali in
circolazione: cioè la possibilità legale per grossisti, grandi farmacie e a
volte perfino ospedali di rivendere in altri Paesi dell’Unione europea, dove
pagano di più, i farmaci destinati a noi. La convenienza, per gli esportatori
paralleli, è data dal prezzo stabilito dagli accordi tra Aifa e le case
farmaceutiche sulle medicine rimborsabili: prezzo che per Italia, Spagna e
Grecia, tutti Paesi afflitti dalla carenza, è tra i più bassi in Europa.
Questo mercato fantasma, i cui
effetti però si vedono benissimo, riguarda soltanto i farmaci dispensati
interamente o parzialmente dal servizio sanitario nazionale: sia quelli di
fascia A, disponibili in farmacia su presentazione della ricetta del medico,
sia quelli di fascia H il cui impiego, tranne casi particolari, è riservato a
ospedali, ambulatori o strutture assimilabili. L’esportazione non riguarda
ovviamente le medicine in libera vendita il cui prezzo, anche nei Paesi del
Nord Europa, è determinato dal rapporto diretto tra produttore o grossista e
venditori.
Se la farmacia, anche
ospedaliera, non è in grado di fornire i farmaci prescritti dal medico, il
cittadino può impugnare i commi 3 e 4 dell’articolo 105 contenuto nel Decreto
legislativo 219 del 24 aprile 2006. È uno strumento legale fondamentale che di
fronte ai rischi per la salute non va dimenticato. Stabilisce il comma 3: «La
fornitura alle farmacie, anche ospedaliere, o agli altri soggetti
autorizzati... dei medicinali di cui il distributore è provvisto deve avvenire
con la massima sollecitudine e, comunque, entro le dodici ore lavorative
successive alla richiesta...». E il comma 4: «Il titolare dell’Aic
(Autorizzazione all’immissione in commercio, cioè la casa farmaceutica) è
obbligato a fornire entro le 48 ore, su richiesta delle farmacie, anche
ospedaliere, un medicinale che non è reperibile nella rete di distribuzione
regionale».
Davanti alle distorsioni e allo
strapotere del mercato, noi pazienti siamo completamente soli. E anche quando
le autorità nazionali di controllo hanno provato a intervenire, l’Unione
europea ha difeso sia il mercato, sia le sue distorsioni. L’ha fatto nel 2003,
con questa comunicazione della Commissione di Bruxelles: «L’importazione
parallela di medicinali è una legittima forma di scambio in seno al mercato
interno, fondata sull’articolo 28 del Trattato sul funzionamento dell’Ue
(libera circolazione delle merci) e soggetta a deroghe relative alla tutela
della salute e della vita...».
Il business è cresciuto, le
deroghe sono svanite. Tanto che Polonia, Romania e Slovacchia, quando hanno
tentato di limitare l’esportazione parallela di farmaci dai loro magazzini,
sono state denunciate proprio da Bruxelles. Le procedure di infrazione sono
state archiviate il 17 maggio scorso, finalmente con un nuovo convincimento:
«La Commissione», è scritto nel provvedimento di archiviazione, «riconosce che
il commercio parallelo dei medicinali può essere uno dei motivi per cui si
verificano carenze di una serie di medicinali per uso umano. Conciliare il
rispetto della libera circolazione delle merci con il diritto dei pazienti di
accedere all’assistenza sanitaria è un compito particolarmente delicato. Dopo
un’attenta valutazione, la Commissione ha riconosciuto la necessità di
esaminare altre vie diverse dalle procedure di infrazione...».
Sembra incredibile: ma per
Bruxelles il libero mercato e migliaia di cittadini che rischiano la vita per
mancanza di medicine in Europa hanno lo stesso peso. Tanto che è necessaria una
“conciliazione”.
L’obiettivo della Commissione ora
è quello di «raccogliere maggiori informazioni dagli Stati membri e dalle altre
parti interessate per discutere l’attuazione dell’obbligo di servizio pubblico
e le restrizioni all’esportazione nell’ambito del gruppo di lavoro...». Proprio
così: basterebbe attribuire a tutta la filiera gli obblighi del pubblico
servizio. Con le associazioni di produttori, distributori e farmacisti, tra cui
Farmindustria, Adf e Federfarma, il ministero della Salute, Regione Lazio,
Regione Lombardia e Aifa avevano firmato un patto già nel settembre 2016. «La
sottoscrizione di questo documento testimonia l’impegno capillare e profuso di
tutte le istituzioni coinvolte nella filiera farmaceutica», diceva in quei
giorni Mario Melazzini, allora presidente e oggi direttore generale di Aifa:
«Non posso non sottolineare e apprezzare il grande senso di responsabilità
dimostrato da tutti i soggetti intervenuti oggi a firmare questo accordo».
Tanto ottimismo aveva spinto il Sole24Ore a titolare: «Mai più carenza di
farmaci».
I tempi cordiali delle trattative
ovviamente sono molto diversi da quelli che separano vita e morte nelle unità
di pronto soccorso. Prendiamo il Flebocortid Richter prodotto dalla Sanofi: «È
indicato nelle situazioni di emergenza che richiedono rapidamente un’elevata
disponibilità nel sangue di idrocortisone... importante ai fini della
sopravvivenza», spiega il foglietto illustrativo. Viene impiegato per gli stati
anafilattici che non rispondono alla terapia tradizionale o per gli shock
gravi, chirurgici, traumatici, emorragici, cardiogeni, da ustioni, resistenti
alla terapia standard. Il farmaco risulta carente dal 22 maggio 2018 al 30
giugno 2018: «Problemi produttivi - Si rilascia autorizzazione all’importazione
alle strutture sanitarie per analogo autorizzato all’estero», prescrive
l’elenco delle carenze di Aifa. All’estero il prezzo del Flebocortid sarà
quello di solito ben maggiore, dettato dalla situazione di emergenza.
Clexane, nel comune dosaggio
iniettabile di 4.000 UI (unità internazionali) da sei siringhe preriempite, è
invece un farmaco diventato raro dal 26 aprile 2018, sempre per problemi
produttivi. Blocca la formazione di coaguli nel sangue e serve a prevenire la
trombosi venosa profonda in chirurgia generale, in chirurgia ortopedica e nei pazienti
a rischio trombosi costretti a letto per lunghi periodi. Il prezzo concordato
da Aifa con il produttore Sanofi e pagato dal servizio sanitario nazionale è di
32,70 euro a confezione: 5,45 euro a dose. In Germania il prezzo rimborsato
dallo Stato sale fino a 11,65 euro a dose, a seconda del tipo di confezione.
L’elenco delle carenze contiene anche l’Igantet, farmaco importante per la
terapia contro il tetano, antiemorragici efficaci e antireumatici.
«L’importazione parallela di
farmaci, consentendo l’acquisto di medicinali a prezzi inferiori», spiega
Fabrizio Gianfrate nella ricerca “Il Parallel Trade dei farmaci in Europa”,
«rappresenta in potenza un vantaggio per i pagatori, pubblici e privati, ovvero
i sistemi sanitari e le famiglie». Si stima un giro d’affari di circa
quattordici miliardi di euro, il sette per cento di tutto il mercato
farmaceutico europeo. Per alcuni medicinali specifici, in Germania, Gran
Bretagna, Danimarca e Norvegia, l’importazione parallela rifornisce tra il 55 e
il 63 per cento dei consumi. Mentre si calcola che il 16 per cento dei farmaci
venduti in Grecia sia dirottato verso Paesi europei più ricchi.
Anche in Italia qualunque
grossista o distributore, che paga la merce al prezzo nazionale concordato, può
trovare più redditizio vendere un certo farmaco sui canali dell’esportazione
parallela piuttosto che distribuirlo ai farmacisti suoi clienti: ai quali basta
dichiarare che il farmaco è mancante senza spiegarne la ragione. A questo punto
la rete delle farmacie segnala la carenza alla Regione. E alla fine il farmaco
finisce nell’elenco di Aifa. Anche se alle case farmaceutiche spesso risulta
regolarmente distribuito.
Il meccanismo permette così un
risparmio sulla spesa sanitaria agli Stati del Nord Europa, che in base al loro
Pil (Prodotto interno lordo) hanno contrattato prezzi ufficiali più alti con i
produttori. Una scorciatoia che lo studio di Gianfrate mette a nudo. In
Germania il farmacista deve vendere almeno il 7 per cento di farmaci importati
parallelamente e il medicinale parallelo ha un prezzo di almeno il quindici per
cento inferiore al listino nazionale. In Olanda i farmacisti sono incentivati a
vendere farmaci importati parallelamente poiché vengono rimborsati al 94 per
cento dell’intero prezzo nazionale e possono trattenere tutta la differenza tra
il valore rimborsato e quello di acquisto dal grossista, mentre il governo
olandese recupera circa il 7 per cento dei ricavi del farmacista.
In Danimarca il farmacista deve
informare il paziente di tutte le alternative inclusi i medicinali di
importazione parallela e in Norvegia i medici sono incoraggiati a prescriverli.
In Svezia le farmacie sono statali, i farmacisti devono fornire il farmaco più
economico tra le alternative equivalenti e i medicinali paralleli sono i meno
tassati.
Nel Regno Unito a guadagnarci
sono soprattutto i farmacisti: possono trattenere la differenza tra il prezzo
rimborsato dallo Stato e il prezzo scontato di acquisto del farmaco parallelo,
mentre il governo recupera una parte dei ricavi dei grossisti in base alla
quota nazionale di importazione. Per la Gran Bretagna sottrarre legalmente
farmaci da altri Paesi europei permette un risparmio di un miliardo di sterline
all’anno: un miliardo e centotrenta milioni di euro.
Il processo prevede che i medicinali
siano riconfezionati per tradurre scatole e fogli illustrativi nella lingua di
destinazione, senza però la supervisione delle case farmaceutiche. «Questo
introduce rischi di sicurezza e qualità per il riconfezionamento, se viene
effettuato inadeguatamente», avverte la ricerca di Fabrizio Gianfrate, «e
favorisce il crescente fenomeno della contraffazione». Lo scorso anno Aifa ha
annunciato che i furti di farmaci in Italia sono crollati dalle ottocentomila
confezioni rubate nel 2013 alle ottantamila del 2016. Senza nulla togliere
all’azione di contrasto messa in campo dall’agenzia e dal Nucleo
antisofisticazioni dei carabinieri, potrebbe non essere una buona notizia:
significa che il mercato parallelo è ormai perfino più redditizio e facile di
quello illegale.
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