i boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano
Francesca Panfili – Antimafia 2000
31 Agosto 2018
Ai vertici dei clan dell’area ionico etnea rimangono
i Brunetto, anche dopo la morte di Paolo Brunetto avvenuta nel 2013. Questa
dinastia ha origini lontane e rappresenta un’articolazione della famiglia
Santapaola-Ercolano che opera lungo la fascia ionica tra Mascali, Giarre,
Riposto e Fiumefreddo di Sicilia, con importanti ramificazioni anche nell’area
pedemontana di Randazzo, Castiglione di Sicilia e nella Valle dell’Alcantara.
Negli anni ‘80 e ‘90 era Sebastiano Sciutto, detto
Nuccio Coscia, il referente dei Santapaola nell’area ionica, ma in pochi anni
Paolo Brunetto era riuscito a divenire interlocutore diretto della mafia
catanese. Riuscì a conquistare l’egemonia in questa zona attraverso usura,
estorsioni, traffico di droga e di armi e ad accumulare denaro attraverso due
aziende di Mascali, come è risultato dalle inchieste della Dda etnea. Si tratta
di due società, una di autotrasporti (Ambra Transit) e una di costruzioni
(Cosma Costruzioni), legate al settore dell’edilizia. Con queste attività
Brunetto e gli uomini del suo clan ripulivano il denaro sporco e allo stesso
tempo continuavano lo spaccio di cocaina, eroina e marijuana lungo tutta la
costa ionica, compresa Taormina.
Nonostante le precarie condizioni di salute che
hanno caratterizzato gli ultimi anni di vita di Paolo Brunetto, la sua
leadership era rimasta ben salda fino alla morte. Come si evince da alcune
intercettazioni telefoniche, la sua parola nei confronti di affiliati e
famiglie mafiose locali era tenuta in grandissima considerazione.
Dopo la morte prematura, a ricevere la sua eredità è
stato Pietro Olivieri, meglio noto come ‘Carmeluccio’, che acquisì la reggenza
del mandamento. Negli ultimi mesi della malattia di Brunetto, Carmeluccio si
occupava di risolvere i dissidi interni e si faceva strada prendendo il posto
di Salvatore Brunetto, fratello del boss che però non godeva della stessa
fiducia da parte dei Santapaola. A confermarne lo scenario è il pentito Santo
La Causa, che svelò ai magistrati i dettagli di questa successione mafiosa.
Il pentito racconta che dopo la morte di Angelo
Santapaola avvenuta nel 2007, fu Saro Tripodo il reggente del gruppo di
Picanello, nonché colui che manteneva i contatti con Fiumefreddo di Sicilia ed
in particolare con Melo, soggetto di spicco del clan Fiumefreddo. In questo
modo Tripodo attirò le invidie di Salvatore Brunetto, che voleva essere
riconosciuto come successore di Paolo. Secondo La Causa, Salvatore Brunetto non
era ritenuto affidabile e per questo non era a conoscenza degli affari della
famiglia. Anche i suoi atteggiamenti attirarono spesso le ire di altri uomini
del clan, come Enzo Aiello.
Le precarie condizioni di salute di Paolo Brunetto e
i continui ricoveri consentirono a Pietro Olivieri, alias Carmeluccio, di
ottenere il riconoscimento e l’investitura del clan, avvenuta, secondo gli
inquirenti, nel giorno del funerale del boss, quando il feretro è stato
sollevato in aria ed indirizzato verso di lui, come a simboleggiare un
passaggio di consegne.
Oltre ai Brunetto, si spartiscono il territorio
ionico etneo altre due famiglie: la prima fa riferimento a Paolo Di Mauro detto
“u’ Prufissuri”, che per gli inquirenti è il referente dei Laudani in quest’area,
mentre l’altro è Antonino Cintorino, alla guida del clan Cintorino, vicino alla
famiglia dei Cappello. Una convivenza a tre che non è mai sfociata in scontri
sanguinari.
Di Mauro controlla l’aerea di Piedimonte Etneo sin
dagli anni ‘80. Come per Brunetto, anche a lui viene riconosciuta autorevolezza
e una buona arte di mediazione. Nel tempo ha costruito legami solidi con i
gruppi dell’Est Europa, con i quali ha alimentato traffici di droga ed armi.
Come ha rivelato il super pentito Giuseppe Laudani, nipote dello storico boss
Iano Laudani, ‘u Prufissuri era l’uomo a cui ci si rivolgeva se si aveva
bisogno di armi. La maxi inchiesta “I Vicerè” ha però portato allo
smantellamento del clan Laudani in tutta la provincia di Catania, fiaccando il
potere di Paolo Di Mauro.
Antonino Cintorino è invece il boss che si spartisce
il potere all’interno di un cosiddetto triumvirato. Ha doti meno diplomatiche
di Di Mauro e per questo ha dato vita negli anni ad una faida interna per il
controllo del clan che opera tra Calatabiano e la provincia di Messina.
Mantiene la sua egemonia attraverso attività illecite che vanno dal traffico di
droga, alle estorsioni e alla gestione degli appalti pubblici. Dopo il suo
arresto le ultime inchieste, come “Fiori di Pesco”, rivelano dei cambiamenti di
equilibri tra i clan nella gestione delle estorsioni e dei traffici illeciti,
specie nei comuni della Valle dell’Alcantara.
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