Andrea Colombo - Il Manifest0
01 Settembre 2018
01 Settembre 2018
Il momento della verità ormai è dietro l’angolo. Che
il primo vero scoglio sulla rotta del vascello gialloverde sarebbe stata la
legge di bilancio era chiaro sin dall’inizio. Ma ormai il tempo stringe e le
condizioni ambientali non sono certo le migliori. Lo spread a 293 punti ancora
prima che la partita si apra ufficialmente indica che il rischio di una
tempesta nei mercati è concreto ed è un elemento che peserà sulla scelte del
governo.
L’EUROPA CONFERMA i suoi moniti. Lo fa, con
l’abituale diplomazia, il commissario per gli affari economici e monetari
Pierre Moscovici. Promette che, «nonostante il tono in alcuni casi scortese»
dell’Italia, la commissione sarà «costruttiva». Ma con paletti rigidi: «Una
correzione corposa dei conti per il 2019 sarà necessaria». Moscovici promuove
il ministro dell’economia Giovanni Tria ma boccia senza appello qualsiasi
velleità di sforare il tetto del 3%, ipotesi avanzata soprattutto da Luigi Di
Maio: «Lo sforamento provocherebbe difficoltà che neppure voglio immaginare.
L’1,3% del Pil non è un target ma un tetto». Con perfetta sintonia, un alto
funzionario Ue, nell’anonimato, rincara la dose: «Se le regole non verranno
seguite mi preoccupo io ma potrebbero preoccuparsi anche i mercati».
LA COMMISSIONE ASPETTA la nota di aggiustamento al
Def per il 27 settembre. L’eventuale rottura del parametro equivarrebbe a
innescare una crisi senza ritorno. Sull’argomento ieri è tornato il
sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti, il Gianni
Letta di questo governo. Anche lui ipotizza lo sforamento «se necessario per
mettere in sicurezza il Paese e nell’interesse di tutta l’Europa». Negli ultimi
vent’anni, spiega, «non si è fatta una spesa per investimenti seria,
soprattutto sotto l’aspetto del capitale infrastrutturale. Ci sono le scuole e
gli edifici pubblici a rischio, non solo i ponti».
L’argomentazione non convince il Mef. Via XX
settembre ricorda, in via informale, che i fondi per il risanamento ci sono
già, diverse decine di miliardi da ripartire in 10 anni stanziati dal governo
Gentiloni e già fuori bilancio. Solo che non vengono spesi per via dei lacci e
lacciuoli burocratici, dalle norme sugli appalti al patto di stabilità interno,
dagli ostacoli burocratici alla necessità di trattare con le comunità locali.
Violare il parametro senza nemmeno essere riusciti a spendere i soldi che già
ci sono sarebbe assurdo.
NATURALMENTE GIORGETTI questo lo sa benissimo. E’
probabile che stia solo replicando la strategia già messa in opera negli anni
scorsi dai governi di centrosinistra: chiedere e ottenere flessibilità
sbandierando interventi d’emergenza, all’epoca l’immigrazione, la minaccia del
terrorismo e la ricostruzione post sisma, salvo poi devolvere quei fondi a
tutt’altro scopo. In questo caso lo scopo sarebbero quelle riforme che il
governo vuole assolutamente avviare, senza poterne però garantire la copertura
se non ricorrendo al deficit: il reddito di cittadinanza, la Flat Tax,
l’intervento sulla legge Fornero.
Tria però non è disposto a concedere molto. Non solo
non vuole che il debito aumenti: è deciso ad abbassarlo. Per lui, come per
Moscovici, l’1,3% è il tetto. In realtà al Mef sono convinti che la trattativa
con Giorgetti e con la Lega non sarà proibitiva. La stessa mossa del
sottosegretario, che ha sì parlato di possibile sforamento ma citando solo la
messa in sicurezza del territorio senza insistere sulle riforme economiche, sembra
più un ponte che una sfida.
LE COSE STANNO diversamente con il pentastellato Di
Maio. M5S e il suo leader al governo hanno bisogno di risultati tali da poter
controbilanciare la campagna anti migranti di Matteo Salvini in termini di
consenso. Per questo devono forzare le resistenze di Tria. Non fino al punto di
infrangere il parametro: quella in realtà è solo una minaccia che tutti sanno
irrealizzabile. Ma al punto di allargarsi ben più di quanto il ministro
dell’Economia vorrebbe certamente sì.
Il braccio di ferro si riflette sul rischio
principale, quello di un attacco speculativo. Per fermare la corsa dello spread
sarebbe utile dire parole chiare e anticipare, come ha chiesto ieri il forzista
Renato Brunetta, la nota di aggiustamento. Ma questa mossa il governo non è in
grado di farla perché la trattativa è appena all’inizio. Deve rischiare, nelle
prossime settimane, una tempesta sui mercati che cambierebbe tutte le carte in
tavola.
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