Silvio Messinetti – Il manifesto
25 agosto 2018
Vista da Acquaformosa, Firmoza in
arbrèshe, sui contrafforti del Pollino che scivolano verso il Mar Jonio,
l’immigrazione non è «un problema», men che meno «un’emergenza». Vista da
Acquaformosa l’immigrazione è una ricchezza che si declina alla voce
integrazione. Da 10 anni Acquaformosa accoglie, include, si apre a chi fugge da
guerre, dittature, carestie. Dal 2008 è operativo un progetto Sprar che gli
ispettori del Viminale hanno giudicato nel 2017 il migliore in Italia: 0 punti
di penalità messi a referto dal ministero degli Interni, ora guidato da
Salvini.
GIÀ, SALVINI. Nel dedalo di
viuzze dai nomi bilingue italo-albanesi che si inerpicano fino a mille metri di
altitudine, vanno a ruba le magliette, non proprio benevole, dedicate al capo
del Viminale: No Salvini, Sì Ong. D’altronde, Acquaformosa dal 2012 è il primo
comune «deleghistizzato» d’Italia, si legge nel cartello di benvenuto
all’entrata del borgo, seguìto dal mega striscione bilingue
«Qui nessuno è straniero».
Salvini, quando ancora era solo segretario della Lega, definì una «cazzata» il
modello Acquaformosa, parlando di utilizzo illegale di fondi pubblici. Il
sindaco di allora, attuale vicesindaco e delegato regionale ai fenomeni
migratori, Giovanni Manoccio, lo invitò invano a venire in Calabria per
scoprire un esempio virtuoso di trasparenza e onestà e «per vaccinarsi di
cultura che gli manca» . Oggi tutto è cambiato da allora e Manoccio preferisce
rispondere alla tracotanza del ministro snocciolando i numeri di accoglienza
diffusa del suo paese: 120 migranti su 1120 abitanti di cui 57 adulti e 24
minori non accompagnati inseriti nel progetto Sprar oltre a 15 stanziali,
rimasti anche al termine del progetto, e 10 stagionali che tornano in estate.
TRA GLI STANZIALI incontriamo
Issiaka Tapsoba, ivoriano, sarto in una famiglia di sarti. Nel centro di
accoglienza dedicato a Roberta Lanzino, cosentina uccisa dalla violenza
maschile 30 anni fa, Issiaka cuce i vestiti che italiani e stranieri gli commissionano.
«Il mio sogno è di aprire una bottega qui in paese dove sono benvoluto, tutti
mi rispettano e c’è solidarietà reciproca. Per questo ho preferito restare al
termine del progetto. Mio padre e mio nonno erano sarti ad Abidjan e mi
piacerebbe esportare questa tradizione familiare qui in Calabria». Nella via
principale che porta nella piazza centrale dedicata a Papàs Vincenzo
Matrangolo, prete del paese ricordato per aver fondato un centro di assistenza
preventiva giovanile che diede assistenza a oltre mille giovani, un cartello
affisso all’ingresso di una trattoria recita: «Non serviamo pasti a i
razzisti». Emilio Marchese detto don Mimì racconta: «Ho lavorato per 20 anni in
Germania dagli anni ‘70 in poi, trovavo locali ‘pubblici’ dove era vietato l’ingresso
‘ai negri e agli italiani’. Nelle discoteche gli spaghettifresser, come con
disprezzo ci chiamavano, li sbattevano fuori. E io mi chiedevo perché io non
potevo entrare a divertirmi e un tedesco sì. Salvini, lo stesso che poco tempo
fa ci chiamava tutti terroni, è venuto al sud e ha promesso tante cose ma vende
solo odio e propaganda. Qui con i rifugiati abbiamo una risorsa, arrivano
periodicamente, diventano miei clienti, sono benvoluti e davvero trovo
inspiegabile perché tale cattiveria e rancore siano così generalizzati in
Italia».
IN CALABRIA SONO ATTIVI oltre 100
progetti Sprar «che funzionano anche da un punto di vista economico, danno
lavoro a giovani laureati, con buone capacità, con titoli di studio acquisiti
nei paesi d’origine. E fanno bene anche culturalmente ai paesi che si
ripopolano – ci spiega la ricercatrice all’Università della Calabria Checca
D’Agostino – non cedono alla rassegnazione, all’oblio, alla periferizzazione.
In 15 anni di sperimentazione gli Sprar calabresi sono diventati apripista per
un nuovo modello d’accoglienza, di cui Riace e Acquaformosa sono i fiori agli
occhiello. Grazie ad essi vengono mantenuti i servizi pubblici come scuole e
uffici postali. Purtroppo già con Minniti il Viminale aveva ridotto i fondi
Sprar distraendone parte a favore del controllo sociale e della repressione».
Dal 2011 ad Acquaformosa in
estate si radunano attivisti, volontari e realtà antirazziste per il Festival
delle Migrazioni, quest’anno dedicato alle Ong. «C’è proprio una bella
atmosfera qui, in controtendenza rispetto alla cappa d’odio – ci dice Veronica
Alfonsi della Ong spagnola Proactive Open Arms – Contro di noi hanno imbastito
una campagna diffamatoria e ostracista senza precedenti. E hanno ottenuto
quello che volevano: non avere testimoni scomodi in mare e legittimare la Libia
come stato sicuro». «Dobbiamo spiegare bene il prezioso lavoro che queste
organizzazioni svolgono in mare. Dobbiamo tenere aperti le menti e i porti
anche con un’opera certosina di controinformazione di massa» spiega Manoccio.
Il risultato è confortante: centinaia di persone da tutta Italia per dibattiti,
concerti, laboratori. Dal vivo, nella piazza reale, lontana dai proclami
quotidiani su Facebook di un bullo esagitato.
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