mercoledì 29 agosto 2018

CGIL «Dopo 30 milioni di migranti italiani, ora aiutiamo gli altri»


Redazione Rassegna stampa
29 Agosto 2018


"Vorresti che tuo figlio fosse su un barcone? Certamente no, allora non permettere che altri bambini siano sui barconi". Così Moni Ovadia, in un'intervista oggi (28 agosto) a RadioArticolo1, sulla questione dei migranti dopo il caso della nave Diciotti.
"Penso che sia semplice da capire - afferma -: il vero cortocircuito dell'uomo è il mancato riconoscimento dell'alterità, una storia che comincia da Caino e Abele secondo la versione biblica. Caino non è 'cattivo', ma non riesce a contenere l'arrivo dell'altro: Abele è l'altro, pone dei problemi e porta un bagaglio proprio. Noi invece vorremmo che l'altro servisse a noi e poi restasse nascosto".
L'attore ha sottolineato quindi la necessità di "accogliere nell'alterità". "Occorre prendere l'altro per come è fatto, non per come ti piacerebbe che fosse. Oggi abbiamo un grande nemico a cui bisogna opporsi: la violenza contro l'altro, che è veramente inaccettabile". Ovadia ha ricordato la sua provenienza: "Appartengo a un popolo trans-confinante per definizione: sono arrivato in Italia da giovane profugo, avevo una nazionalità italiana anche se ero di famiglia ebraica, ma ho sempre sentito di appartenere a un altrove".
"C'è un noto politico che sventola il Vangelo - ha proseguito l'artista -: ma il pilastro del Vangelo è andare verso l'ultimo fra gli ultimi, se togliamo questo principio allora è solo carta straccia". Sulla questione dei migranti, poi, va ricordata anche la storia del nostro Paese: "I migranti italiani sono stati in un secolo 30 milioni, la maggioranza è emigrata dal 1870 al 1970. Quando parliamo dei cosiddetti 'clandestini' di cosa stiamo parlando? Ciò che ti spinge a rischiare e morire in mare - conclude - non è un certo un hotel a quattro stelle, bensì una profonda disperazione".

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