venerdì 24 agosto 2018

CASO DICIOTTI I migranti sulla nave Diciotti rifiutano il cibo per protesta: «Ora vogliamo scendere»


Fronte giudiziario. Le procure lavorano ai capi di imputazione, il reato potrebbe cambiare in sequestro a scopo di coazione

Alfredo Marsala  – Il manifesto
25 agosto 2018

Si allungano i tempi per una soluzione politica del caso Diciotti: il briefing tra gli sherpa al dipartimento esteri di Bruxelles, spacciato per vertice dal governo Conte, è stato un flop. Così la nave della guardia costiera rimane ormeggiata nel porto di Catania, con i 150 migranti costretti a restare a bordo in condizioni sempre più difficili mentre il governo prosegue lo scontro verbale con Bruxelles, che da parte sua mostra indifferenza alle minacce che arrivano da Roma, come quella di Luigi Di Maio sul blocco dei 20 miliardi di contributi italiani all’Ue, ridimensionata poi dal collega degli esteri Enzo Moavero.
MENTRE LA POLITICA litiga con tweet e post su Facebook, con il Viminale che ribadisce che dalla Diciotti non scende nessuno, sulla nave i migranti sono sempre più stanchi. Per protesta, ieri, in 120 hanno cominciato lo sciopero della fame chiedendo di poter scendere; solo in 30 si sono alimentati, tra cui le 11 donne eritree. Ad assisterli ci sono i 54 membri dell’equipaggio, agli ordini del comandante Massimo Kothmeir in costante contatto col comando generale della Capitaneria di porto. I marinai hanno sistemato sul ponte un grande tendone verde per permettere ai migranti di ripararsi dal sole e dalla pioggia, perché la parte coperta non basta per tutti.
PER TERRA LE PERSONE sistemano cartoni e indumenti formando giacigli, soprattutto per la notte. Con l’arrivo della pioggia però le condizioni sono peggiorate. Le donne si raggruppano nella zona di mezzo del pontile, accovacciate si tengono per mano, qualcuna piange. Ai politici, che anche ieri sono saliti sulla Diciotti, hanno chiesto se fosse possibile fare salire a bordo un ginecologo. «Sono state tutte violentate in Libia», dice l’eurodeputata Michela Giuffrida (Pd) che ha raccolto le loro testimonianze grazie alla mediazione del nostromo della Diciotti, che è di origine eritrea e sta facendo da interprete con gli africani che non parlano inglese o francese. «I loro sono racconti terribili, hanno viaggiato per due anni, alcune erano minorenni quando hanno intrapreso il cammino dal corno d’Africa: sono state violentate più volte», aggiunge Giuffrida. Attraverso la Croce rossa si sta tentando di fare arrivare sulla nave il medico per poterle visitare e per rifornirle di prodotti per l’igiene femminile.
SUL VERSANTE GIUDIZIARIO, invece, si muove qualcosa. Oggi il capo della Procura di Agrigento, Luigi Patronaggio, si trova a Roma per sentire i funzionari del Viminale che si sono occupati della vicenda. Le questioni più spinose sono l’individuazione del reato e la competenza a indagare. La procura di Agrigento, che per prima ha aperto un fascicolo, ha inizialmente ipotizzato i reati di sequestro di persona e arresto illegale. La contestazione, mano a mano che si acquisiscono nuovi atti, potrebbe essere modificata: a marzo scorso è stato introdotto nel codice penale il reato di sequestro di persona a scopo di coazione, punito con la reclusione da 25 a 30 anni.
LA COMPETENZA riguarda il momento in cui il reato sarebbe stato commesso. Se si dovesse accertare che il divieto, che sta illegittimamente limitato la libertà di sbarco dei migranti, è stato disposto quando la Diciotti era a Lampedusa, sarebbe competente la procura di Agrigento. Ma, qualora la responsabilità si individuasse in capo a esponenti del governo, l’inchiesta dovrebbe essere trasmessa al tribunale dei ministri di Palermo. Se, invece, si stabilisse che il reato è stato commesso quando, dopo l’individuazione di Catania come porto sicuro, la nave era nelle acque della città etnea, allora legittimata a indagare sarebbe la procura di Catania o, in caso di reato ministeriale, il tribunale dei ministri di Catania. Come ha chiarito il Viminale, non è previsto alcun interrogatorio di Salvini che, comunque, essendo un senatore, senza l’autorizzazione del Parlamento potrebbe essere sentito al più come testimone.
IL MINISTRO DELL’INTERNO continua con la sua sfida virtuale con ai pm: «Per me vengono prima gli italiani, poi gli altri. Qualche giudice vuole arrestarmi per questo? Nessun problema, lo aspetto», scrive in un post su Facebook. E al coro di protesta contro l’atteggiamento del capo del Viminale si unisce un insospettabile: Gianfranco Miccichè. Il braccio destro in Sicilia di Berlusconi, anche lui via social, ci va giù duro: «Salvini, non agisci così perché intollerante o razzista. Perché nel lasciare 150 persone per tre giorni in balia di malattie e stenti su una nave non c’entra niente la razza o la diversità, c’entra l’essere disumani, sadici. Per prendere 100 voti in più? Salvini, fattene una ragione, non sei razzista: sei solo stronzo».

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