Redazione Nigrizia
31 Agosto 2018
31 Agosto 2018
Nonostante il presidente francese Macron continui a
sponsorizzare lo svolgimento delle elezioni per stabilizzare il paese, dal 2011
la Libia è tutto tranne che un territorio stabile e pacificato. Lo dicono i
fatti (due governi, decine di milizie e gruppi armati, nessun collante politico
che possa tenere insieme i diversi interessi e schieramenti), lo sottolineano
gli osservatori internazionali e lo ribadiscono le organizzazioni che lavorano
nella paese nordafricano.
Dopo gli scontri di domenica scorsa a Tripoli, che
hanno coinvolto gruppi armati rivali e che hanno causato 26 morti e 75 feriti,
torna a prendere posizione l’organizzazione medico umanitaria Medici senza
frontiere (Msf), presente in Libia da sette anni. In un comunicato afferma che
«gli scontri hanno ulteriormente compromesso la vita di circa 8.000 rifugiati,
richiedenti asilo e migranti, intrappolati e detenuti arbitrariamente nei
centri di detenzione della capitale. Alcuni di loro sono rimasti rinchiusi per
oltre 48 ore in un’area coinvolta negli scontri senza avere accesso al cibo».
Secondo Ibrahim Younis, capomissione in Libia per
Msf: «I recenti scontri dimostrano come la Libia non sia un luogo sicuro per i
migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Molti sono fuggiti da paesi devastati
dalla guerra o hanno trascorso mesi detenuti in condizioni orribili nelle mani
dei trafficanti di esseri umani prima di essere trasferiti in questi centri di
detenzione. Queste persone, già estremamente vulnerabili, si trovano adesso
intrappolate in un altro conflitto senza la possibilità di fuggire. Non
dovrebbero essere prigionieri semplicemente perché cercavano sicurezza o una
vita migliore. Dovrebbero essere immediatamente rilasciati ed evacuati in un
paese sicuro».
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha rilevato
che quasi la metà delle persone detenute nei centri di detenzione sono
rifugiati provenienti da regioni in conflitto, tra cui Eritrea, Etiopia,
Somalia e Sudan. Per il diritto internazionale queste persone hanno diritto
alla protezione e invece, rincara Msf, «i paesi europei hanno messo in atto
politiche che impediscono ai richiedenti asilo di lasciare la Libia. Queste
politiche hanno esacerbato le già povere e sovraffollate condizioni di vita nei
centri di detenzione di Tripoli».
Presente dal 2011 in Libia, Msf lavora nei centri di
detenzione di Tripoli dal 2016, fornendo assistenza sanitaria di base,
assistenza per la salute mentale e fornitura di servizi idrici e
igienico-sanitari. Msf lavora anche nei centri di detenzione di Khoms, Zliten e
Misurata e offre consulenze mediche a Bani Walid.
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