Maria Luisa Vincenzoni, Striscia
rossa
27 agosto 2018
Nel 1958, in prima serata, negli
Stati Uniti, andava in onda un popolare programma educativo. Si chiamava “La
campanella dell’ora di scienze”. Uno di questi documentari didattici,
intitolato “La dea scatenata”, era dedicato alla meteorologia e al clima.
L’autore era Frank Capra, che dodici anni dopo avrebbe diretto “La vita è
meravigliosa”.
Capra, nel film educativo, fa
dire al narratore, l’occhialuto Dottor Ricerca, che “gli uomini potrebbero
scioccamente alterare il clima della Terra attraverso un eccessivo rilascio di
ossido di carbonio”. E concludeva con l’avvertimento: “Pochi gradi di aumento
della temperatura scioglierebbero le calotte polari e un mare interno
invaderebbe la valle del Mississippi”. Il dottor Ricerca metteva in guardia i
bambini in ascolto: “turisti in barche con la chiglia trasparente potrebbero un
giorno ammirare le torri di Miami sommerse da 150 piedi di acque tropicali”.
Era il 1958 e il documentario venne proiettato durante le lezioni di scienze
naturali.
Tutti sapevano e tutti sappiamo
cosa significhi cambiamento climatico: più ossido di carbonio e attività umane
su larga scala provocano temperature più alte. E’ uscito uno studio degli
scienziati del Centro di Resilienza dell’università di Stoccolma, condotto
assieme a colleghi di altre università del Nord Europa. Scrivono che limitarsi
a contenere l’innalzamento della temperatura a 1,5 o al massimo a 2 gradi, come
deciso dalla conferenza sul clima di Parigi del 2015, potrebbe essere futile.
Lo studio è stato pubblicato giorni fa su SPNAS, “Proceedings of the National
Academy of Sciences”, progressi dell’accademia delle scienze. E’ una delle più
citate e prestigiose pubblicazioni scientifiche americane, fondata nel 1914.
Tra i quattordici autori dell’articolo vi sono Johan Rockström, direttore
esecutivo del centro svedese di resilienza, e il direttore scientifico Carl
Folke.
In psicologia resilienza è
l’abilità di affrontare una crisi usando processi mentali e comportamenti che
proteggano dai fattori di stress. In ecologia la resilienza è la capacità di un
ecosistema di rispondere a una perturbazione o a un danno riuscendo a
ristabilizzarsi. Il centro di Stoccolma dimostra nel suo studio come, superata
una soglia cui stiamo andando velocemente incontro, l’effetto serra di oggi
diventerà un non reversibile effetto serra con caldaia (da greenhouse a
hothouse). Una Terra stabilizzata richiederebbe, afferma l’articolo scientifico
del gruppo di Stoccolma, tagli profondi nell’emissione dei gas serra, sforzi
per rimuovere l’ossido di carbonio dall’atmosfera, una gestione
dell’irradiazione solare, la protezione e l’aumento di depositi di carbonio
nella biosfera. Questi ultimi sono vitali per dare ai terreni agricoli gli
elementi nutritivi rubati dall’effetto serra/caldaia. L’agricoltura è sempre
più vulnerabile. E’ organizzata nello spazio su uno schema stabile che risale
all’Olocene, l’epoca geologica più recente, iniziata 11.700 anni fa. Si fa
ancora affidamento su una distribuzione delle temperature e delle
precipitazioni secondo un ciclo stabile e prevedibile, stagionale. Non è già
più così.
Il biologo Eugene Stoermer e,
successivamente, il premio Nobel Paul Crutzen, descrissero l’era attuale come
“antropocene”. L’uomo ha modificato l’equilibrio della vita. In agricoltura un
calo della produzione, con l’aumento dei prezzi, e ulteriori differenze tra
Paesi ricchi e poveri, è imminente se l’uomo non interviene. Una terra stabilizzata
può essere descritta come un sistema in cui l’umanità è un attivo
amministratore del pianeta. Non c’è più tempo per negoziare. Gli scienziati
dello Stockholm Resilience Centre (SRC) descrivono la situazione e il destino
delle zone costiere e degli ecosistemi adiacenti. In queste aree vive una larga
fetta della popolazione mondiale, sorgono le nuove metropoli e una quantità di
infrastrutture vitali per le economie nazionali e il commercio mondiale. Una
traiettoria che segua l’effetto caldaia/serra metterebbe le coste quasi sempre
sotto acqua, colpite da tempeste.
Alla fine di questo secolo,
afferma la ricerca, sparirebbero le barriere coralline. Il gruppo di Stoccolma
descrive scenari già evocati. La differenza è che dimostra, con calcoli,
elaborazioni, grafici, quanto il punto di non ritorno sia vicino. “La narrativa
dominante sul cambiamento climatico – si legge nelle conclusioni – è che gli
umani siano una forza che in modo deterministico deve modificare il sistema
terrestre…La nostra analisi sostiene invece che le società e le attività umane
devono essere ricongiunte a un sistema terrestre complesso e flessibile”. C’è
poco tempo per riadattarsi a questo rapporto di reciproca appartenenza.
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