domenica 26 agosto 2018

OPINIONI Ultimo avviso: perdiamo la Terra


Maria Luisa Vincenzoni, Striscia rossa
27 agosto 2018


Nel 1958, in prima serata, negli Stati Uniti, andava in onda un popolare programma educativo. Si chiamava “La campanella dell’ora di scienze”. Uno di questi documentari didattici, intitolato “La dea scatenata”, era dedicato alla meteorologia e al clima. L’autore era Frank Capra, che dodici anni dopo avrebbe diretto “La vita è meravigliosa”. 
Capra, nel film educativo, fa dire al narratore, l’occhialuto Dottor Ricerca, che “gli uomini potrebbero scioccamente alterare il clima della Terra attraverso un eccessivo rilascio di ossido di carbonio”. E concludeva con l’avvertimento: “Pochi gradi di aumento della temperatura scioglierebbero le calotte polari e un mare interno invaderebbe la valle del Mississippi”. Il dottor Ricerca metteva in guardia i bambini in ascolto: “turisti in barche con la chiglia trasparente potrebbero un giorno ammirare le torri di Miami sommerse da 150 piedi di acque tropicali”. Era il 1958 e il documentario venne proiettato durante le lezioni di scienze naturali. 
Tutti sapevano e tutti sappiamo cosa significhi cambiamento climatico: più ossido di carbonio e attività umane su larga scala provocano temperature più alte. E’ uscito uno studio degli scienziati del Centro di Resilienza dell’università di Stoccolma, condotto assieme a colleghi di altre università del Nord Europa. Scrivono che limitarsi a contenere l’innalzamento della temperatura a 1,5 o al massimo a 2 gradi, come deciso dalla conferenza sul clima di Parigi del 2015, potrebbe essere futile. Lo studio è stato pubblicato giorni fa su SPNAS, “Proceedings of the National Academy of Sciences”, progressi dell’accademia delle scienze. E’ una delle più citate e prestigiose pubblicazioni scientifiche americane, fondata nel 1914. Tra i quattordici autori dell’articolo vi sono Johan Rockström, direttore esecutivo del centro svedese di resilienza, e il direttore scientifico Carl Folke. 
In psicologia resilienza è l’abilità di affrontare una crisi usando processi mentali e comportamenti che proteggano dai fattori di stress. In ecologia la resilienza è la capacità di un ecosistema di rispondere a una perturbazione o a un danno riuscendo a ristabilizzarsi. Il centro di Stoccolma dimostra nel suo studio come, superata una soglia cui stiamo andando velocemente incontro, l’effetto serra di oggi diventerà un non reversibile effetto serra con caldaia (da greenhouse a hothouse). Una Terra stabilizzata richiederebbe, afferma l’articolo scientifico del gruppo di Stoccolma, tagli profondi nell’emissione dei gas serra, sforzi per rimuovere l’ossido di carbonio dall’atmosfera, una gestione dell’irradiazione solare, la protezione e l’aumento di depositi di carbonio nella biosfera. Questi ultimi sono vitali per dare ai terreni agricoli gli elementi nutritivi rubati dall’effetto serra/caldaia. L’agricoltura è sempre più vulnerabile. E’ organizzata nello spazio su uno schema stabile che risale all’Olocene, l’epoca geologica più recente, iniziata 11.700 anni fa. Si fa ancora affidamento su una distribuzione delle temperature e delle precipitazioni secondo un ciclo stabile e prevedibile, stagionale. Non è già più così. 
Il biologo Eugene Stoermer e, successivamente, il premio Nobel Paul Crutzen, descrissero l’era attuale come “antropocene”. L’uomo ha modificato l’equilibrio della vita. In agricoltura un calo della produzione, con l’aumento dei prezzi, e ulteriori differenze tra Paesi ricchi e poveri, è imminente se l’uomo non interviene. Una terra stabilizzata può essere descritta come un sistema in cui l’umanità è un attivo amministratore del pianeta. Non c’è più tempo per negoziare. Gli scienziati dello Stockholm Resilience Centre (SRC) descrivono la situazione e il destino delle zone costiere e degli ecosistemi adiacenti. In queste aree vive una larga fetta della popolazione mondiale, sorgono le nuove metropoli e una quantità di infrastrutture vitali per le economie nazionali e il commercio mondiale. Una traiettoria che segua l’effetto caldaia/serra metterebbe le coste quasi sempre sotto acqua, colpite da tempeste. 
Alla fine di questo secolo, afferma la ricerca, sparirebbero le barriere coralline. Il gruppo di Stoccolma descrive scenari già evocati. La differenza è che dimostra, con calcoli, elaborazioni, grafici, quanto il punto di non ritorno sia vicino. “La narrativa dominante sul cambiamento climatico – si legge nelle conclusioni – è che gli umani siano una forza che in modo deterministico deve modificare il sistema terrestre…La nostra analisi sostiene invece che le società e le attività umane devono essere ricongiunte a un sistema terrestre complesso e flessibile”. C’è poco tempo per riadattarsi a questo rapporto di reciproca appartenenza.

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