Gad Lerner - NIgrizia
26 agosto 2018
Dicono che non dovremmo più
nominarlo, colui che in pochi mesi è diventato l’uomo politico più famoso
d’Italia, perché manifestando la nostra indignazione cadiamo nel tranello delle
sue ben calcolate provocazioni. Lascio ai maldestri esperti della politica-spettacolo
e del marketing elettorale – quasi sempre gli stessi che gli hanno fornito il
trampolino da cui ha spiccato il volo – l’onere di districarsi nel groviglio
delle loro stesse argomentazioni.
Mi interessa poco anche la
fenomenologia della costruzione di un capo di simil fatta, trasformista che
negli anni ha cambiato numerose maschere, abile calcolatore ma digiuno di
esperienze amministrative o di governo, coerente solo nell’esasperare i toni del
conflitto: l’unico linguaggio tonitruante che conosce. Non è certo la prima
volta nella storia che un fanatico mediocre, ma provvisto di intuito, assurge
al ruolo di uomo forte. Se ciò accade, se la violenza verbale diventa pensiero
egemone, vuol dire che agisce nella società una potente spinta dal basso, tale
da far riemergere pulsioni sotterranee: non solo il bisogno di ordine,
sicurezza, gerarchia, ma anche un sentimento di vendetta che anima chi si sente
vittima di una retrocessione, economica o anche solo di status.
Il personaggio in questione gioca
apertamente con i richiami a una ideologia profondamente radicata nella storia
del secolo scorso, ma ancora più antica: il fascismo. Lui desidera essere
accusato di fascismo, irridendo al tempo stesso chi evoca la maledizione di
quel passato. Ma intanto quella ideologia vibra in comportamenti sempre più
diffusi, che dal dileggio nei confronti del volontariato sociale e della
cultura solidaristica tracimano sempre più spesso in comportamenti di violenza
diffusa, accanimento contro bersagli simbolici (gli intellettuali
d’opposizione) e spedizioni punitive contro singoli migranti.
Il nuovo fascismo italiano,
trovategli pure un nome diverso, più adatto ai tempi, cresce dal basso. Si
maschera da patriottismo, si autorappresenta come riscatto popolare, rievoca
l’immagine lanciata nel 1911 dal poeta Giovanni Pascoli ai tempi dell’impresa
di Libia: «La grande proletaria si è mossa». Allora – nel decennio precedente
la nascita del fascismo – si inneggiava alla conquista delle colonie africane,
grazie a cui sarebbe stata finalmente debellata la piaga dell’emigrazione
italiana. Oggi, all’inverso, “la grande proletaria” avrebbe trovato finalmente
la forza di espellere dal suo seno i corpi estranei accusati di impoverirla,
combattendo al tempo stesso le potenze straniere da cui si era lasciata
sottomettere.
Questo è lo spirito dei tempi bui
che stiamo vivendo, e che rischiano di provocare una degenerazione illiberale,
autoritaria, delle nostre istituzioni. Presentano come riscossa popolare il
rinchiudersi in sé stessa della provincia italiana. Vanno orgogliosi della loro
brutale ignoranza. Non so quanto durerà questa euforia che obnubila il paese,
ma già oggi possiamo dire che il pentafascioleghismo causerà all’Italia danni permanenti
più gravi di quelli che ci ha lasciato in eredità il berlusconismo.
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