GAL LUFT– comedonchisciotte.org
03 Settembre 201
03 Settembre 201
E’ in corso una guerra economica
degli USA contro un decimo dei paesi del mondo, cioè contro una popolazione
complessiva di quasi 2 miliardi di persone e contro un Prodotto Interno Lordo (PIL) che tutto insieme supera i 15 trilioni di
dollari. Tra questi paesi ci sono Russia, Iran, Venezuela, Cuba, Sudan,
Zimbabwe, Myanmar, Repubblica Democratica del Congo, Corea del Nord e altri
paesi sui quali Washington ha imposto sanzioni nel corso degli anni, oltre ad
altri paesi – come Cina, Pakistan e Turchia
– a cui non sono state imposte sanzioni, ma che sono soggetti ad altre
misure economiche punitive.
Inoltre, migliaia di persone
provenienti da decine di paesi, inclusi nell’elenco dei cittadini con speciale
designazione del Dipartimento del Tesoro, vengono effettivamente bloccati dal
sistema finanziario globale dominato dagli USA. Molti di questi cittadini
designati fanno parte, o sono strettamente collegati alle leadership dei loro
paesi.
Da una prospettiva USA, tutte
queste entità economiche hanno motivi validi per essere nel loro elenco:
violazioni dei diritti umani, terrorismo, reati, commercio nucleare, corruzione
o, nel caso della Cina, pratiche commerciali sleali e furto di proprietà
intellettuale.
Ma negli ultimi mesi sembra che
questo costante impegno dell’America a combattere tutti i flagelli del mondo
abbia portato i governi avversati e i loro facoltosi sostenitori a creare una
unica massa critica e ad unire le forze per creare un sistema finanziario
parallelo che resterebbe fuori dalla portata della longa manu americana. Se
dovessero riuscirci, la posizione dell’America nel mondo cambierebbe.
La supremazia globale americana è
stata resa possibile non solo grazie alla potenza militare e al suo sistema di
alleanze, ma anche grazie al controllo sull’impianto della finanza globale e in
particolare sulla generale accettazione del dollaro come valuta di riserva
mondiale. Lo stato di unicità della valuta U.S.A ha tenuto fermo il sistema finanziario
globale al periodo post-seconda-guerra-mondiale.
Qualsiasi transazione effettuata
in dollari USA o che usa una banca degli Stati Uniti fa ricadere
automaticamente le parti commerciali sotto la giurisdizione legale americana.
Quando gli Stati Uniti decidono di imporre sanzioni unilaterali, come nel caso
dell’Iran, in sostanza dicono ai governi, alle società e alla gente del mondo
che devono scegliere se vogliono bloccare i loro affari con il paese sanzionato
o se venire tagliati fuori dall’economia numero uno al mondo. La scelta è dura.
Non molte aziende o banche possono
permettersi di rinunciare al mercato degli Stati Uniti o di vedersi negato
l’accesso alle istituzioni finanziarie USA.
I paesi revisionisti che
desiderano sfidare questo sistema a guida USA vedono questo comportamento come
un affronto alla loro sovranità economica. Ecco perché sia Russia
che Cina hanno sviluppato una versione propria dello SWIFT (Society for
Worldwide Interbank Financial Telecommunication), la rete globale che consente
transazioni finanziarie transfrontaliere tra migliaia di banche. Questi due
paesi stanno anche spingendo i loro partner commerciali a sbarazzarsi del
dollaro per il commercio bilaterale e di scegliere le loro valute locali.
Questo mese la Russia è stata
pronta a reclutare la Turchia ed inserirla nel blocco anti-dollaro, annunciando
che avrebbe anche sostenuto il commercio non-dollar, dopo che è scoppiata una
faida finanziaria tra Ankara e Washington. La Cina, da parte sua, sta usando la
sua trillion-dollar Belt e la sua Road Initiative come strumenti per
costringere i paesi a negoziare in yuan, invece che in dollari. Il Pakistan, il
primo beneficiario di quel denaro, e l’Iran, hanno già annunciato l’intenzione
di aderire alla proposta. Il vertice BRICS (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica) del mese scorso a Johannesburg è stato un appello contro l’egemonia
del dollaro destinato a paesi come Turchia, Giamaica, Indonesia, Argentina ed
Egitto, per unirsi al “BRICS-plus” con l’obiettivo di creare un’economia
de-dollarizzata.
Il fronte principale in cui verrà
deciso il futuro del dollaro è il mercato globale delle materie prime, in
particolare il mercato del petrolio che vale $ 1,7 miliardi. Sin dal 1973,
quando il presidente Richard Nixon staccò unilateralmente il dollaro USA dal
gold standard e convinse i sauditi e il resto dei paesi OPEC a vendere il loro
petrolio solo in dollari, il commercio mondiale di petrolio si è legato alla
valuta americana. Questo ha spianato la strada anche al resto delle materie
prime che, anch’esse, hanno cominciato ad essere pagate in dollari. Un accordo
che ha servito bene l’America, che ha creato una domanda di biglietti-verdi in
continua crescita e che, a sua volta, ha permesso a tutti i successivi governi
USA di gestire liberamente deficit sempre più alti.
Però non sarà più così, dato che
molti dei paesi dell’alleanza anti-dollaro sono esportatori di materie prime e
ritengono che i loro prodotti non debbano essere prezzati da un benchmark
denominato in dollari come il WTI e il
Brent e che non serve scambiarli in una valuta che per loro non va più
bene.
Ad esempio, quando la Cina compra
petrolio dall’Angola, gas dalla Russia, carbone dalla Mongolia o soia dal
Brasile, preferisce farlo nella propria valuta, evitando così di pagare
commissioni sui tassi di cambio che non servono a nessuna delle parti della
transazione. Questo sta già cominciando ad avvenire. Russia e Cina hanno
accettato di pagare parte della energia scambiata in yuans e la Cina sta
spingendo i suoi maggiori fornitori di petrolio – Arabia Saudita, Angola e Iran -ad accettare yuan per il loro petrolio. E lo
scorso anno la Cina ha introdotto in Asia – nello Shanghai International Energy
Exchange – dei contratti futures
garantiti in oro, chiamati “petro-yuan”, il primo benchmark del greggio non-in-dollari.
Inoltre la graduale accettazione
delle valute digitali, supportata dalla tecnologia blockchain, presenta altri
modi per abbandonare il dollaro nel trading. La banca centrale russa ha
dichiarato che sta prendendo in considerazione il lancio di una cripto-valuta
nazionale chiamata “cripto-rublo” e intanto sta dando un supporto per il lancio
di una propria cripto-valuta al Venezuela, il “petro”, sostenuto dalle immense
riserve di petrolio del paese. Ora i membri di BRICS stanno discutendo di una
cripto-valuta supportata dallo stesso BRICS.
Tutte queste azioni ed altre
ancora mostrano la strada: nei prossimi anni il dollaro dovrà affrontare una
raffica di attacchi che avranno come obiettivo l’erosione della sua egemonia ed
il mercato del trading energetico sarà uno dei principali campi di battaglia,
in cui si deciderà il futuro del predominio economico americano. Qualsiasi
tentativo di sfilare le materie prime dal mercato del dollaro avrà un impatto a
cascata non solo sul sistema economico globale – come lo conosciamo oggi – ma
anche sulla posizione dell’America verso il mondo.
Considerando però la buona salute
dell’economia americana in generale e la notevole forza del dollaro rispetto
alle valute dei paesi-contestatori-del-dollaro, tra cui il rublo, lo yuan, la
lira turca e il rial iraniano, potrebbe essere facile farsi prendere
dall’autocompiacimento e considerare le azioni che stanno prendendo i
revisionisti come delle semplici, piccole, scocciature.
Ma ignorare questa coalizione
anti-dollaro che si sta sviluppando sarebbe un danno per l’America. Ad un certo
punto il mercato al rialzo potrebbe terminare e con un debito nazionale da 21
trilioni di dollari, che aumenta di un trilione di dollari ogni anno, il
risveglio potrebbe essere più violento e molto prima di quanto possa prevedere la
maggior parte degli economisti.
Nel bel mezzo di questa bella
euforia economica americana, vale la pena ricordare che una persona su quattro
vive oggi in un paese il cui governo ha intenzione di mettere fine all’egemonia
del dollaro e che contrastare i loro sforzi dovrebbe essere la priorità
nazionale di Washington numero uno.
Gal
Luft è co-director del Institute for the
Analysis of Global Security e senior advisor nel Consiglio del United States
Energy Security Council.
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