Sbilanciamoci
03 Settembre 201
La manovra del Governo per il
2018: “vorrei, ma non posso”
Una manovra finanziaria al
ribasso che fa meno che può e passa la palla al Governo che verrà. Un Ddl di
Bilancio 2018 che, pur rallentando il raggiungimento del pareggio di bilancio e
riconoscendo che questo vincolo imposto dall’Europa implica tagli alla spesa
pubblica e aumenti delle entrate insostenibili sul piano economico e sociale,
comunque accetta le regole dell’austerità.
Il Governo vanta una ripresa
dell’economia (+1,5% nel 2017 e + 1,1% la stima per il 2018), ma l’Italia è il
paese che cresce di meno in Europa (la stima della media UE 27 è
rispettivamente +2,4% e +2,2%) e il tasso di disoccupazione italiano è ancora
all’11,3% nel 2017 e al 10,9% per il 2018 (stima UE).
L’incerta ripresa dell’Italia
risente dei limiti delle politiche economiche adottate in questi anni che hanno
preferito sostenere l’offerta (imprese) rispetto alla domanda interna (consumi
delle famiglie, spesa pubblica e investimenti). Se non c’è chi consuma (privati
e amministrazioni pubbliche) e il poco innovativo sistema produttivo italiano stenta
a esportare, è difficile che la produzione aumenti e dunque che cresca
l’occupazione. È un circolo vizioso che il Governo avrebbe potuto rompere, ma
non l’ha fatto.
Il tanto declamato Fondo
Investimenti istituito con la Legge di Bilancio 2017 ha una dotazione di 47,55
miliardi su 15 anni. 1,9 miliardi sono stati stanziati l’anno scorso per il
2017, 3,15 miliardi per il 2018 e 3 miliardi l’anno per gli anni successivi. Ma
Sbilanciamoci! ricorda che il decreto salvabanche adottato a fine 2016 ha generato
impegni sino a 20 miliardi di euro e che la spesa militare prevista per il solo
2018 ammonta a 25 miliardi.
I ¾ delle risorse mobilitate
dalla manovra di quest’anno (15,7 miliardi di euro) sono di nuovo impegnati per
impedire l’aumento dell’Iva. Il resto privilegia il dissennato rilancio degli
incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato (che riducono il costo del
lavoro, ma non aumentano i salari), gli stanziamenti aggiuntivi per il Rei (sul
2018 pochi, 300 milioni) e le agevolazioni fiscali per le imprese (proroga
iper- e super-ammortamento). Le coperture (incerte) sono affidate
all’indebitamento, a maggiori entrate fiscali, alla riduzione della spesa
pubblica e alle privatizzazioni.
Nel complesso la manovra 2018
mantiene un impianto recessivo che non è in grado di rimettere in moto
l’economia del paese.
PROPOSTE
Fisco e finanza
In materia fiscale, la Legge di
Bilancio 2018 procede lungo il percorso delle ultime manovre. In questi anni si
è proceduto alla frammentazione della struttura impositiva a scapito delle
fasce più deboli dei contribuenti, privilegiando la tassazione dei redditi
rispetto a quella patrimoniale e favorendo i percettori di redditi di impresa
rispetto a quelli da lavoro (soprattutto dipendente). La Legge di Bilancio
2018, per quanto esigua – su un totale di 20,4 miliardi, 15,7 andranno a
sterilizzare le “clausole di salvaguardia” impedendo l’aumento delle aliquote
Iva e delle accise –, conferma questo approccio. Nel merito, per quanto
riguarda la lotta ad evasione ed elusione, prosegue la rottamazione delle
cartelle ex Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate), estesa a circa 5 milioni di
cartelle ricevute tra l’1 gennaio e il 30 settembre 2017, e si punta tutto
(troppo) sulla “e-fatturazione” tra privati, che porterà alla dichiarazione Iva
precompilata per professionisti, artigiani e commercianti. A proposito di
evasione, essa non solo aumenta, ma trae vantaggio da una serie di
inefficienze, come la farraginosità delle procedure, la diminuzione degli
accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, il mancato profiling dei soggetti a
rischio evasione, le recenti norme sull’aumento della soglia per la
tracciabilità del contante e la riduzione degli illeciti tributari con pene
detentive. Il Rapporto della Corte dei Conti e la “Relazione annuale
sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” del
Ministero dell’Economia e delle Finanze stimano oltre 110 miliardi annui di
evasione, quasi interamente proveniente dal mondo del lavoro autonomo e
d’impresa. Altri studi calcolano che solo un terzo delle cifre evase accertate
venga poi riscosso. Nella Legge di Bilancio 2018 vengono poi confermate le
misure di “iper” ammortamento (al 250%) e “super” ammortamento (che scende dal
140 al 130%) all’interno del pacchetto Industria 4.0: un sostanzioso regalo
fiscale alle imprese e non – come sostengono Governo e Confindustria – il perno
delle misure di recupero della competitività industriale del Paese. Sul fronte
della tassazione dei redditi vengono invece prorogati di due anni la cedolare
secca (con aliquota al 10%) sugli affitti a canone concordato e lo stop agli
aumenti delle aliquote per le addizionali Irpef comunali e regionali. E viene
rinviata al 2019 l’introduzione dell’Iri (Imposta sul reddito
dell’imprenditore) con aliquota unica al 24% (la stessa prevista per l’Ires sui
redditi di società), esempio di flat tax e ulteriore passo indietro sul fronte
della progressività fiscale.
Risulta chiara, dunque, la
mancata volontà politica di inquadrare il sistema impositivo in uno schema
organico e progressivo, che ricomponga la base imponibile dei contribuenti
includendovi tutte le fonti di reddito. Questo chiede infatti Sbilanciamoci!:
un sistema fiscale con un chiaro segno redistributivo a favore delle fasce di
reddito più basse.
Reddito
personale
Rimodulazione aliquote Irpef
sugli scaglioni di reddito Si propone di operare una rimodulazione delle
aliquote Irpef che sia basata su:
• riduzione
di un punto percentuale dell’aliquota sul I scaglione di reddito (fino a 15.000
euro) dal 23 al 22%, e sul II scaglione (dai 15.001 ai 28.000 euro) dal 27 al
26%;
• aumento
dell’aliquota sul IV scaglione (dai 50.001 ai 75.000 euro) dal 41 al 44%, e
dell’aliquota sul V scaglione (oltre i 75.000 euro) dal 43 al 47,5%;
• introduzione
di un VI scaglione (tra i 100.000 e i 300.000 euro) con un’aliquota al 55%
(modificando, dunque, il V scaglione che comprenderebbe dai 75.001 ai 100.000
euro di reddito);
• introduzione
di un VII scaglione oltre i 300.000 euro di reddito con un’aliquota al 60%.
Maggiori entrate: 3.000 milioni di euro
Assoggettamento all’Irpef delle
rendite finanziarie Si propone l’abolizione del regime di tassazione separata
al 26% sulle rendite finanziarie (esclusi i titoli di Stato), facendole
rientrare nella base imponibile Irpef.
Maggiori entrate: 2.400 milioni
di euro
Rinuncia detassazione premi di
produttività Si propone di rinunciare alla proroga e all’estensione del regime
di tassazione separata al 10% sui premi di produttività, prevista lo scorso anno
dalla Legge di Bilancio 2017.
Maggiori entrate: 390 milioni di
euro
Rinuncia abolizione Irpef
agricola Si propone di rinunciare all’abolizione dell’Irpef per i coltivatori
diretti e gli imprenditori agricoli professionali, prevista lo scorso anno
dalla Legge di Bilancio 2017.
Maggiori entrate: 228 milioni di
euro
Patrimonio
personale e di impresa
Introduzione di un’imposta
patrimoniale complessiva In luogo della riduzione di Imu e Tasi prevista dal
Disegno di Legge di Stabilità 2016, che ha richiesto quest’anno, con la Legge
di Bilancio 2018, l’assegnazione di risorse ai Comuni penalizzati dal minor
gettito, si propone l’introduzione di un’imposta complessiva sul patrimonio con
una struttura di aliquote progressive che:
• nella
componente immobiliare operi una redistribuzione a parità di gettito (esentando
i ceti più deboli e incidendo maggiormente sui grandi patrimoni);
• nella
componente finanziaria generi entrate aggiuntive per 4 miliardi di euro (2
miliardi dalle famiglie e 2 miliardi dalle imprese); • produca ulteriori 100 milioni di euro di entrate derivanti dalla
tassazione della ricchezza reale non immobiliare.
Maggiori entrate: 4.100 milioni
di euro
Riduzione franchigia su tassa di
successione e applicazione di aliquote crescenti Si propone la riduzione della
franchigia attualmente prevista per la tassa di successione da 1 milione a
100.000 euro e l’applicazione di aliquote crescenti rispetto alla ricchezza.
Maggiori entrate: 900 milioni di
euro
Reddito
di impresa
Rinuncia riduzione aliquote Ires
Si propone di rinunciare alla riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5 al 24%
prevista dalla Legge di Stabilità 2016.
Maggiori entrate: 2.500 milioni
di euro
Rinuncia abolizione addizionali
Ires per società di gestione di fondi di investimento comuni Contrariamente a
quanto previsto lo scorso anno dalla Legge di Bilancio 2017, si propone di
rinunciare all’esclusione delle società di gestione dei fondi comuni di
investimento dal pagamento delle addizionali Ires al 3,5%; contestualmente, si
propone di mantenere la deducibilità degli interessi passivi per le società di
gestione di fondi comuni di investimento e per le imprese di assicurazione.
Maggiori entrate: 600 milioni di
euro
Abolizione super e
iper-ammortamento Si propone di rinunciare alla proroga del super-ammortamento
(abbassato quest’anno al 130%) e dell’iper-ammortamento del 250%, introdotti
dalla Legge di Bilancio 2017, nell’ambito del Piano “Industria 4.0”, e
prorogati tramite Disegno di Legge di Bilancio 2018.
Maggiori entrate: 1.376 milioni
di euro
Natura
ibrida
Blocco clausola di salvaguardia
su Iva e accise Anche quest’anno Sbilanciamoci! delinea la sua proposta di
“Controfinanziaria” tenendo conto della sterilizzazione delle “clausole di
salvaguardia”, quantificata in 15,7 miliardi per evitare l’aumento delle
aliquote Iva e delle accise per il 2018. Tuttavia, è fondamentale sottolineare
la necessità di ripensare radicalmente la politica economica in termini di
stimolo della domanda aggregata, di razionalizzazione della spesa contro gli
sprechi e a favore di capitoli essenziali come sanità e istruzione pubbliche,
di rafforzamento della struttura produttiva e del mercato del lavoro. Così
facendo non solo si sarebbe evitato di destinare quasi 16 miliardi alla
disattivazione delle clausole, ma si sarebbe potuto tracciare un sentiero
macroeconomico di crescita sostenibile.
Costo: 15.700 milioni di euro
Tassazione voli e auto aziendali
e di lusso Si propone di realizzare una tassazione di 1,5 euro sui voli
nazionali, di 2,5 euro sui voli internazionali e di 22 euro sugli aerotaxi, per
un introito totale stimato di 340 milioni di euro. Inoltre, si propone di
tassare le immatricolazioni delle automobili delle aziende e dei segmenti E
(quasi lusso) e F (lusso): si tratta di autoveicoli che costano almeno 50mila
euro l’uno. Il gettito dalle auto aziendali (3.000 euro pro capite) potrebbe
provenire dalle minori agevolazioni fiscali di cui godono le società; per le
altre auto di lusso o quasi lusso si può invece introdurre una tassa
addizionale all’immatricolazione (seg E:2000, seg F:6000), per un introito
totale di 1.660 milioni di euro. Sommando le due misure su voli e auto, è
possibile stimare un’entrata pari a 2 miliardi.
Maggiori entrate: 2.000 milioni
di euro
Tassazione profitti del settore
dei beni di lusso Nautica e gioielleria rappresentano produzioni di lusso
rivolte a clientele particolarmente facoltose. L’introduzione di una tassazione
al 10% sugli utili delle imprese di questi settori potrebbe generare un
introito di circa 200 milioni di euro.
Maggiori entrate: 200 milioni di
euro
Misure fiscali penalizzanti per
il rilascio del porto di armi Si propone un aumento di 200 euro per le licenze
di armi per la difesa personale: è pari a 170 milioni di euro il maggiore
gettito stimato.
Maggiori entrate: 170 milioni di euro
Maggiori entrate: 170 milioni di euro
Tassazione degli investimenti
pubblicitari Gli investimenti pubblicitari in Italia sono circa 10 miliardi di
euro. Nell’era delle grandi concentrazioni dei media e delle agenzie
pubblicitarie nessuno può negare l’effetto distorsivo che questa ha su consumi,
stili di vita e sulla stessa regolarità della concorrenza tra le imprese. La
proposta, dunque, è di frenare i margini di profitto dell’intero comparto
pubblicitario aumentando del 5% il prelievo sugli utili, con il duplice
obiettivo di ridimensionarne l’invadenza e di drenare risorse da dedicare a
scuola e attività culturali per tutti. L’introito atteso è di circa 500 milioni
di euro.
Maggiori entrate: 500 milioni di
euro
Tassazione dei diritti televisivi
del calcio professionistico Si propone di introdurre una tassazione dei diritti
televisivi relativi al calcio professionistico di serie A e B. Dal momento che
da tali diritti televisivi si ricava circa 1 miliardo e 200 milioni di euro,
con un’aliquota del 5% sul totale dei diritti versati si potrebbero raccogliere
circa 60 milioni di euro nel 2018.
Maggiori entrate: 60 milioni di
euro
Lotta
all’evasione e all’elusione fiscale
Un piano straordinario di
accertamento e riscossione Si propone di semplificare le procedure di
accertamento e riscossione fiscale e di garantire l’incrocio delle basi dati,
anche a livello di istituzioni locali. Al contempo, si chiede di inserire
specifici indicatori di monitoraggio delle attività di accertamento e
riscossione da parte di Regioni e Comuni, prevedendo il caso limite del loro
commissariamento in caso di mancato conseguimento degli obiettivi. L’utilizzo
sistematico di dati su profili di rischio, informazioni di spesa, informazioni
bancarie e relative al ricorso ai servizi pubblici anche locali porterebbe a
individuare tempestivamente una quota rilevante delle imposte evase.
Contestualmente, la semplificazione delle procedure di riscossione e l’obbligo
per gli enti locali di adempiere a tale funzione potrebbero generare un aumento
delle entrate pubbliche di 600 milioni nel 2018.
Maggiori entrate: 600 milioni di
euro
Introduzione di una Digital Tax e
di misure di contrasto all’elusione Si propone di istituire una serie di misure
volte all’abbattimento dell’elusione fiscale da parte delle imprese
multinazionali, a partire dall’introduzione di una Digital Tax. Essa dovrebbe
essere accompagnata da un intervento di contrasto al cosiddetto tax ruling,
dall’obbligo di redigere e rendere pubblica una rendicontazione per Paese da
parte di ciascuna impresa multinazionale e dall’attivo contrasto dei fenomeni
di trasferimento all’estero della sede fiscale delle imprese.
Maggiori entrare: 2.000 milioni
di euro
Introduzione della moneta
elettronica e di controlli online Si propone di introdurre l’obbligo di
utilizzo di mezzi tracciabili (moneta elettronica) per i pagamenti al di sopra
dei 500 euro. Contestualmente, si chiede di introdurre registratori di cassa
online per consentire controlli in remoto e in tempo reale a campione, da parte
dell’Agenzia delle Entrate. Si potrebbe così generare un introito per le casse
pubbliche di 1 miliardo di euro nel 2018.
Maggiori entrate: 1.000 milioni
di euro
Istituzione di pene accessorie
per gli evasori Le pene accessorie costituiscono un importante deterrente per
il contrasto all’evasione fiscale, considerata la difficoltà di rendere certe
le pene detentive. Si propone in tal senso l’introduzione di un’aliquota flat
al 45% per 5 anni per tutte le persone fisiche che hanno evaso imposte per
importi superiori a 50mila euro. Gli evasori oltre i 10mila euro dovrebbero
invece pagare i servizi pubblici utilizzati in base alla tariffa massima
prevista, oppure, in caso di gratuità di tali servizi, dovrebbero essere
inseriti in fondo alle relative graduatorie di utilizzo. Si chiede inoltre la
compensazione fra i pagamenti dello Stato (a fornitori e appaltatori) ed
eventuali imposte accertate e non più ricorribili anche nei confronti degli
enti locali, con modalità simili al reverse charge dell’Iva. Infine, si prevede
l’obbligo da parte delle autonomie locali della verifica di almeno il 10% della
veridicità delle domande per accedere ai servizi pubblici locali (asili nido,
mense scolastiche, case popolari…).
Maggiori entrate: 5,6 milioni di
euro
Finanza Il 2016 si chiude con
l’approvazione di un decreto che stanzia 20 miliardi per sostenere il sistema
bancario italiano, e prima tra tutte Monte dei Paschi di Siena, che viene di
fatto nazionalizzata. Un anno dopo, secondo il Sole24Ore, la perdita potenziale
per il Tesoro è di “circa 1 miliardo, cui si aggiungeranno altri 700 milioni
una volta chiusa l’offerta sugli ex subordinati”. 1,7 miliardi di potenziali
perdite, mentre il Governo propone una Legge di Bilancio in cui alcuni dei
maggiori interventi sono il rifinanziamento per 300 milioni del Fondo per la
lotta alla povertà o i 381 milioni di sgravi per l’assunzione di giovani. Monte
Paschi è il caso più eclatante dell’ennesimo anno nero per le nostre banche.
Quello che colpisce di più sono le dichiarazioni secondo cui si tratterebbe
sempre e comunque di “casi isolati”, mentre non viene riconosciuta l’esistenza
di un problema sistemico che non riguarda unicamente la massa di crediti in
sofferenza, ma l’approccio e la visione di insieme. Se la scorsa Manovra aveva
introdotto nel Testo unico bancario una definizione stringente di finanza
eticamente orientata, il rischio è che tale riconoscimento rimanga una nicchia
marginale in un sistema caratterizzato da regole a taglia unica, cucite sui
gruppi di maggiore dimensione. A ottobre 2017 la Commissione Europea dichiara
di abbandonare il progetto per una separazione tra banche commerciali e banche
di investimento, una delle riforme più urgenti che si sarebbero dovute adottare
per evitare che il risparmio dei clienti finisca nel casinò della speculazione,
e venga quindi da un lato messo a rischio e dall’altro sottratto al
finanziamento dell’economia reale. Perché i clienti delle banche “too big to
fail” diventano complici inconsapevoli dello stesso sistema di cui sono
vittime. Le riforme più stringenti di questi anni hanno riguardato l’attività
bancaria orientata a erogare credito all’economia reale, con controlli
soffocanti soprattutto per gli istituti di piccola dimensione. All’opposto, le
attività puramente speculative continuano indisturbate, portando al paradosso
di un sistema finanziario sempre più incentrato verso queste ultime. Anche in
Italia si è affermato un sistema di supervisione di matrice anglosassone,
ovvero non di proibizione di alcune operazioni, ma di controlli a valle. La
situazione attuale mostra come questo approccio sia a dir poco inefficace. Come
nel dibattito tra bail-out o bail-in, le normative continuano a concentrarsi su
cosa fare quando scoppia una crisi e succede un disastro: a fronte del
drammatico ripetersi di tali eventi sarebbe ora di domandarsi come evitarli
intervenendo a monte. La mancata separazione tra banche commerciali e di
investimento non è soltanto gravissima in sé, ma peggio ancora è un segnale che
abbiamo invertito la rotta: le lobby rialzano la testa, chiedendo nuovamente di
abbattere regole e controlli. La lezione della crisi, ammesso che sia mai stata
appresa, è già dimenticata.
Il riconoscimento della finanza
etica deve essere allora solo un punto di partenza. Occorre portare questo
lavoro in Europa, e ragionare su dove siamo dieci anni dopo lo scoppio della
crisi dei subprime, su cosa (non) è stato fatto. Per questo Sbilanciamoci!
chiede l’introduzione di alcune regole per chiudere una volta per tutte il
casinò finanziario. Reintrodurre la separazione tra banche commerciali e di
investimento, porre limiti ai bonus dei manager bancari, una tassa sulle
transazioni finanziarie, una seria lotta ai paradisi fiscali e altro ancora.
Misure che devono essere parte di un cambio di paradigma, in cui la finanza non
è un fine in se stesso, ma uno strumento al servizio della società. È difficile
fornire una stima dell’impatto sui conti pubblici – in positivo quanto in
negativo – delle misure adottate e di quelle che si potrebbero adottare. Come
per gli anni scorsi, l’unica su cui sono state condotte delle ricerche
approfondite e per cui è disponibile una stima di gettito è l’introduzione di
una “vera” tassa sulle transazioni finanziarie.
LE PROPOSTE DI SBILANCIAMOCI!
Introduzione di una vera Tassa
sulle transazioni finanziarie Il Governo Monti ha introdotto nel 2012 una
misura denominata “Tassa sulle transazioni finanziarie” (Ttf), ma lontanissima
dalla proposta avanzata dalle reti europee e oggi in discussione fra 10 Paesi
dell’Unione Europea che, sotto la procedura di cooperazione rafforzata, ne
stanno negoziando l’architettura. La versione italiana si applica solo ad
alcune azioni e alcuni derivati sulle azioni e, nel caso azionario, solo ai
saldi di fine giornata, non alle singole operazioni. Non si tassano gli
strumenti più speculativi e non si disincentiva l’intraday trading azionario,
in particolare il regime di negoziazione ad alta frequenza, il più dannoso. In termini
di gettito, la misura italiana ha generato lo scorso anno 400 milioni di euro.
A giugno 2016 la Commissione Europea ha stimato che la Ttf potrebbe generare
nei 10 Stati al centro del negoziato un gettito di circa 86,4 miliardi di euro
annui, e nello specifico 16,3 miliardi l’anno per l’Italia. È però una stima
onnicomprensiva, con oltre 48 miliardi annui attribuibili alla tassazione di
strumenti (i long-term debt instruments e i repos e reverse repos) che questi
Stati sono orientati a tenere fuori dall’ambito di applicazione dell’imposta
europea. Lo stesso documento della Commissione quantifica peraltro in circa
22,2 miliardi di euro le stime per i 10 Paesi (4,2 miliardi annui per l’Italia)
del gettito di una Ttf che rispecchia l’avanzamento dei lavori negoziali e
l’architettura dell’imposta che sta emergendo. Si tratta verosimilmente anche
del target erariale verso cui si orienteranno gli Stati Membri nella fase
conclusiva del negoziato (e nella scelta delle aliquote). La mancanza a oggi di
tale misura non dipende da motivi tecnici quanto da volontà politica.
Consideriamo quindi il gettito che si sarebbe potuto avere già quest’anno con
l’introduzione di una “vera” Ttf: sottraendo ai 4,2 miliardi stimati per
l’Italia i circa 400 milioni della Ttf nazionale che cesserebbe di essere
applicata, si arriva a un extra gettito di 3,8 miliardi annui.
Maggiori entrate: 3.800 milioni
di euro
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