Alessandro Volpi - Altrecconomia
02 Settembre 2018
02 Settembre 2018
Le difficoltà della lira turca, che ha perso il 45
per cento del suo valore in pochi mesi, e le altrettanto marcate criticità
della rupia indiana confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, l’ormai evidente
insostenibilità delle monete nazionali. Si tratta infatti delle ennesime
vicissitudini delle singole divise dopo quelle del peso argentino, del rublo
russo e del malatissimo bolivar venezuelano, costantemente sotto pressione da
parte dei mercati.
Appare chiaro che nessuna economia, fatta eccezione
per quella americana caratterizzata dal fatto di disporre della moneta in cui
si fanno quasi tutti i pagamenti internazionali, può garantire la stabilità
della propria valuta. Non basta essere grandi esportatori di energia, come nel
caso della Russia o del Venezuela, e neppure rientrare nel novero delle potenze
emergenti come dimostra la vicenda indiana. Non basta neppure la presenza di un
governo forte e in grado di zittire, in misura più o meno legittima, le
opposizioni come nel caso turco, la cui moneta, come avveniva per la nostra
lira, trae il nome dal latino libra. Per mettere a repentaglio le singole
valute sono sufficienti gli squilibri della bilancia commerciale, il
peggioramento dei conti pubblici o l’emergere di tensioni politiche, interne o
esterne. Qualsiasi fattore può essere interpretato come sintomo di debolezza
cronica e dunque scatenare attacchi contro la moneta nazionale che non possiede
strumenti di vera difesa. Quando i mercati decidono di aggredire una singola
valuta, si scatena sempre il meccanismo del tutti contro uno e la speculazione
ribassista ha gioco facile.
A poco servono le munizioni sparate dalle singole
banche centrali dei vari Paesi per arginare l’ondata dei ribassi; nessuna di
esse dispone ormai delle riserve in grado di incidere su un mercato da migliaia
di miliardi e, davvero, come dimostrano le sterili dichiarazioni di Erdoğan,
annunciare e porre in essere interventi “nazionali” non produce alcun
risultato, in un mondo peraltro che ha abbandonato ogni forma di solidarietà
economica per tornare ai più crudi protezionismi. In altre parole, nel caso di
attacchi contro una sola moneta, il mercato è sempre “sottile”, non solo a
ferragosto quando il volume degli scambi è ridotto, perché gli speculatori sono
molto bravi ad isolare la moneta aggredita e a scaricarle addosso la necessaria
intensità di fuoco. In quest’ottica la capacità che il singolo Paese ha di
rimettere al sicuro la propria valuta con un rialzo dei tassi di interesse è
molto limitata perché il rialzo, per avere qualche effetto, deve essere molto
alto e dunque costosissimo per il Paese che lo applica attraverso la propria
banca centrale. In estrema sintesi, il meccanismo posto in essere contro le
monete nazionali è crudelmente semplice; vengono attaccate da chi scommette sul
loro ribasso per obbligare le banche centrali e le singole economie a svenarsi
con tassi stellari che, anche se riescono a frenare momentaneamente
l’emorragia, generano poi una lievitazione del debito pubblico destinata a
causare nuovi attacchi speculativi in un circolo vizioso senza fine. Ha poco
senso, in un simile quadro, invocare gli effetti benefici della svalutazione
monetaria, indotta proprio dalla debolezza delle singole valute; si
assisterebbe a svalutazioni continue e pesantissime, dettate dal già ricordato
circolo vizioso, che causerebbero un’inflazione costantemente a doppia cifra,
con il conseguente impoverimento delle fasce di popolazione con redditi più
bassi.
L’unica soluzione possibile, quindi, parrebbe essere
quella di un quadro internazionale caratterizzato da grandi monete
sovranazionali, capaci di stabilizzare realmente il sistema monetario secondo
una logica che assomiglia almeno in parte a quella dei vaccini. Solo se esiste
un numero di vaccinati molto alto, si riducono i rischi per tutta la
popolazione; così, solo se si ha una gran parte delle economie “coperte” da
monete solide, al di fuori delle dinamiche nazionali e nazionaliste, si
ridurranno i rischi dei contagi speculativi. In caso contrario, come dimostrano
le vicende di questi giorni, anche l’euro risentirà delle fragilità della
moneta turca e, purtroppo, come accade per le malattie, ad essere colpiti prima
saranno gli organismi più deboli, a cominciare da quelli più indebitati come
l’Italia. Una breve nota conclusiva; da questo schema non si esce riducendo la
dipendenza del singolo Paese dall’estero sia in termini monetari sia in quelli
del debito pubblico che dovrebbe essere tutto in mano ai soggetti residenti nel
Paese. Sarebbe come se, per evitare di ammalarsi, piuttosto che vaccinarsi, ci
si chiudesse perennemente in casa.
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