Decreto
dignità. Alla Camera respinto un emendamento di Liberi e Uguali che
ripristinava un diritto cancellato dal Jobs Act. «No» di M5S al ritorno
dell’art. 18. Il Pd attacca. La replica: «Ipocriti, avete massacrato il
lavoro». LeU: «Un'occasione persa per ridare veramente dignità ai lavoratori».
Oggi al Pantheon a Roma, alle 11, continua la protesta dei sindacati contro
l'estensione dei voucher in agricoltura e nel turismo, previsto il flash mob
della Cgil «No Voucher»
Roberto Ciccarelli, Il manuifesto
02 Agosto 2018
Un emendamento di Liberi e Uguali
(LeU) al decreto dignità che intendeva ripristinare l’articolo 18 è stato
bocciato ieri alla Camera con 317 no, 191 astensioni e i soli 13 voti a favore
della pattuglia di deputati della sinistra. Il voto contrario del Movimento 5
Stelle contro il ripristino di un diritto cancellato dal Jobs Act ha creato una
polemica in gran parte strumentale tra le forze politiche che stanno discutendo
un provvedimento in cui la maggioranza penta-leghista ha deciso di aumentare
gli indennizzi per i licenziamenti illegittimi, restando nel solco tracciato da
Renzi.
PER CAPIRE LA POLEMICA va
raccontato il contesto in cui è avvenuta. In campagna elettorale, e anche
prima, i Cinque Stelle avevano promesso di abolire il Jobs Act. L’alleanza con
la Lega non lo permette, anche se i pentastellati sembrano annunciare altri
provvedimenti dove il tema sarà ripreso. Salvini e padroni del Nord-Est
permettendo. Ciò che colpisce in questo gioco di veti incrociati, dove ad avere
la peggio è la linea dei Cinque Stelle (abolire la «Buona Scuola», abolire il
Jobs Act: un ricordo), è il cedimento sui voucher estesi in agricoltura e nel
turismo. Una norma che è l’opposto della promessa «Waterloo del precariato»,
annunciata dal vicepremier e poliedrico ministro del lavoro e dello sviluppo,
Luigi Di Maio, il quale pensa alla stretta sui contratti a termine e sta
sottovalutando gli effetti dei nuovi voucher fortemente voluti dalla Lega,
contestatissimi da tutti sindacati da giorni in piazza. La Cgil oggi terrà un
flash-mob di protesta al Pantheon e valuta il ritorno al referendum. Solo
l’anno scorso la sua consultazione era stata appoggiata dai Cinque Stelle in
funzione anti-Pd.
MENTRE LE PARTI si rovesciano,
ieri il Pd ha attaccato i Cinque Stelle per il voto contrario sull’articolo 18.
Si è replicata la schermaglia dell’altro ieri su un singolare emendamento copia
e incolla sul «reddito di cittadinanza» presentato da Forza Italia e bocciato
perché, come rilevato dal presidente Fico, estraneo alla discussione sulle
causali dopo 12 mesi, i rinnovi e la durata dei contratti a termine. Sarà
oggetto di un prossimo provvedimento. Le schermaglie, e la confusione, sul
decreto dignità allora torneranno alla millesima potenza. «Fa piacere vedere
che il super ministro Di Maio, dopo aver annunciato un “colpo mortale al Jobs
Act”, si renda conto della bontà del provvedimento e torni sui suoi passi» ha
ironizzato Alessia Rotta (Pd). «Da Di Maio il solito ruggito del coniglio, fa
la voce grossa ma poi basta cambiare nome alle cose per accomodarsi – ha
rilanciato Debora Serracchiani (Pd) – Così per i voucher, continua a far finta
di opporsi e dire che non li voterà. Tanto poi comanda la Lega. Quanta
ipocrisia, da veri campioni della doppiezza». Mentre rileva le contraddizioni
dell’avversario, il Pd pensa che il Jobs Act sia un’opera di grande politica,
non una delle cause del suo tracollo (insieme alla Buona Scuola). Ieri Graziano
Delrio continuava a parlare di «dare certezze alle imprese, incentivando il
lavoro stabile».
IN QUESTA SCENA dove restano
incerti i benefici derivanti dalla modesta stretta sui contratti a termine,
mentre le opposizioni richiamano i diritti delle imprese, i deputati di LeU
hanno ribadito una testimonianza contro il Jobs Act, ma in nome dei lavoratori.
Per Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, promotore dell’emendamento
sull’articolo 18 «è necessario tornare a difendere meglio la dignità dei
licenziati illegittimamente. E sicuramente il cosiddetto “decreto dignità” non
lo fa». «Doveva essere il giorno del riscatto del lavoro stabile, mentre con il
ripristino dei voucher e la mancata reintroduzione dell’articolo 18 sarà
ricordato come quello della stabilizzazione della precarietà» ha aggiunto
Roberto Speranza (LeU). «Pensa davvero degli italiani – ha detto Nicola Fratoianni
(LeU) al ministro dell’Interno Salvini – Ma quelli più deboli, non i ricchi cui
regali condono, flat tax e grandi opere». «Governo del cambiamento? Sì delle
idee» sostiene Laura Boldrini (LeU). Aggressiva la risposta del relatore M5S al
decreto, Fabio Tripiedi: «È curioso che parlino Speranza, Serracchiani e Rotta
che hanno sostenuto il Jobs Act. Ci critica chi ha massacrato il mercato del
lavoro, dov’era la loro attenzione per l’articolo 18 quando l’hanno
cancellato?». Non è esatto mettere nello stesso mazzo LeU e il Pd. Sul Jobs Act
ci sono molte differenze. Senza contare che c’è il diritto a cambiare idea,
prendendosi le proprie responsabilità. Da punti di vista diversi, dal Pd a LeU
e Forza Italia ieri è stata rilevata una delle contraddizioni del decreto.
UN’ALTRA CONTRADDIZIONE è stata
denunciata dagli stessi 5Stelle che parlano di «minacce di mancati rinnovi
contrattuali a seguito dell’introduzione del decreto dignità» e invitano a «non
strumentalizzare»: Il caso è quello delle Poste che ha smentito i fatti. Nel
clima creato dall’insicura condotta del governo, non è escluso che esistano
altri casi di questo tipo. Per Di Maio il decreto è «migliorato». A sostegno un
comunicato dei parlamentari veneti della Lega che rivendicano i voucher e i magri
bonus per gli under 35. Forse i «miglioramenti» alludono all’equilibrismo
neocorporativo su cui si regge il «contratto» di governo. Con questa sicurezza
la maggioranza darà oggi il via libera al decreto. Entro il 7 agosto anche il
Senato.
Nessun commento:
Posta un commento