Marina de Ghantuz Cubbe Articolo 21
01 Settembre 2018
Lo stavamo aspettando da sempre il film sugli ultimi
giorni di vita di Stefano Cucchi. Eravamo in attesa di vedere ciò che in questi
anni abbiamo solo potuto immaginare. Da nove, lunghi anni, chi si è interrogato
sulla morte del ragazzo romano 31enne, ha immaginato il momento dell’arresto,
del “violentissimo pestaggio”, ma anche l’umiliazione e tutto ciò che una
persona inerme può provare di doloroso dietro le sbarre prima, sul letto di un
ospedale poi.
La potenza del film che ha aperto la sezione
Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, con la regia di Alessio Cremonini
e dal titolo Sulla mia pelle, restituisce quegli ultimi, interminabili giorni
di sofferenza che hanno messo fine alla vita di Stefano, stravolto l’esistenza
dei suoi familiari e di tutti i cittadini italiani: nessuno, infatti, può
rimanere tranquillo di fronte alla morte di un ragazzo che si trovava sotto la
tutela dello Stato. Nelle sale dal 12 settembre, la distribuzione avverrà in
contemporanea su Netflix: una diffusione mondiale.
Per Ilaria Cucchi, si tratta di continuare a
percorrere la strada intrapresa nove anni fa: Sulla mia pelle racconta la
storia del fratello Stefano, ma soprattutto restituisce la voce a tutti coloro
che hanno subito una violenza e sono stati messi a tacere.
Quando sei venuta a conoscenza dell’intenzione di
fare un film su Stefano, qual è stata la reazione?
Alessio Cremonini ci ha raccontato dell’idea fin da
subito: già dal primo incontro con lui e Fabio Anselmo (avvocato della famiglia
Cucchi ndr), abbiamo percepito la sua sensibilità. Ho avuto perplessità a
lungo: si tratta di mettere in mano ad altri il mio dolore. Ma di lui sentivo
che potevo fidarmi e da noi, man mano, ha avuto tutta la documentazione.
Ad interpretare Stefano è Alessandro Borghi,
definito magistrale nel suo ruolo, mentre a far rivivere quello che hai provato
tu in quei giorni è Jasmine Trinca.
Entrambi ci sono stati sempre molto vicini a partire
dalla partecipazione ai memorial per Stefano. Ma la loro sensibilità mi ha
sorpresa perché nell’interpretazione di Jasmine ho ritrovato le emozioni e le
paure vissute in quei giorni, Alessandro ha capito e restituito il carattere,
l’emotività di Stefano. È riuscito a farmi capire cosa può aver pensato in quei
momenti tremendi.
Che significato ha il fatto che la storia di Stefano
diventi un film e quindi il racconto di una tragedia si trasformi in
conoscenza, consapevolezza, in una parola: cultura?
Significa poter arrivare a tutti. Lo scopo della mia
vita è diventato cercare in ogni momento di tirare fuori non solo la voce per
ottenere giustizia. Ma anche gli aspetti positivi di tutta questa vicenda:
parlarne e farne parlare per far uscire da una situazione di solitudine chi si
sente impotente di fronte a un abuso.
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