Sara De Carli – VITA
03 Settembre 201
A
Venezia, davanti alla sede del Consiglio regionale dove veniva presentata il
progetto di legge per la reintroduzione della leva obbligatoria (naja o
servizio civile di 8 mesi per tutti i ragazzi e le ragazze tra i 18 e i 28
anni), i giovani della Rete Studenti Medi e dell’Unione degli Universitari si
sono rasati i capelli a zero, in segno di protesta: «i nostri capelli sono il
massimo che siamo disposti a dare». Torna così ad accendersi il dibattito
attorno alla proposta del ministro Matteo Salvini. Daniele Novara, pedagogista,
è il fondatore e il direttore del Centro PiscoPedagogico per l’educazione e la
gestione dei conflitti, che da trent’anni lavora sui temi dell’educazione alla
pace.
Che
ne pensa dell’iniziativa di questi ragazzi?
Hanno la mia simpatia. Il punto è
che la proposta di Salvini è anacronistica e irrealizzabile. Il ministro
ricorda ciò che accadeva negli ultimi anni della naja obbligatoria? Più della
metà dei giovani sceglieva il servizio civile. E in più ora sono passati anni.
Che senso ha dire “voglio la naja obbligatoria”, sapendo che nessuno la
sceglierà? È solo uno slogan. Tanto vale fare direttamente il servizio civile
obbligatorio - per maschi e femmine, questo sì - almeno sei mesi da dedicare
alla collettività: una sorta di rito di passaggio tra l’adolescenza e l’età
adulta, sarebbe un’esperienza utile e importantissima.
Salvini
nel presentare la proposta di ritorno alla leva obbligatoria ne ha molto
enfatizzato il valore educativo. Da pedagogista, di questo che pensa?
La naja era tutto meno che
educativa, su questo non c’è alcun dubbio. I valori del servizio militare di
leva obbligatorio erano la misoginia, l’obbedienza a prescindere, il nonnismo,
il fare cose senza senso solo perché qualcuno le aveva ordinate… cosa c’è di
educativo? La responsabilità individuale viene completamente schiacciata e
mortificata nella cultura militare. Al contrario invece educativo è ciò che
sviluppa l’individuo e la sua responsabilità, sviluppando le sue risorse, le
sue capacità, la sua intelligenza, le sue competenza. L’educazione, da educere,
è “tirar fuori” l’individuo, la sua personalità, le sue capacità, la sua
volontà: la naja è esattamente il contrario, l’individuo deve piegarsi alla
volontà dei suoi superiori. È davvero surreale pensare che nella leva
obbligatoria ci sia qualcosa di educativo: obbedire e comandare con
l’educazione non c’entrano nulla. Il giovane educato non è quello che obbedisce
bensì quello che mette a disposizione le sue risorse per la sua vita e per la
collettività, nella logica di uno sviluppo della sua intelligenza, non di
remissività e subordinazione come è nella cultura militare. La cultura militare
è il totale opposto della pedagogia, non è un caso che la culla della cultura
militare, la Prussia, sia stata cancellata dalle cartine alla fine delle due
guerre mondiali, per ciò che aveva fatto. Vogliamo davvero riesumare questo?
La
ministra Trenta ha subito bollato l'idea di Salvini come "romantica"
e "non più al passo dei tempi" vista l'alta specializzazione che oggi
è richiesta agli uomini in divisa. Su questo tema dell’anacronismo e del
ritorno al passato lei però ha fatto una riflessione più profonda: ha scritto
che «mentre il futuro langue e diventa sempre più difficile avere scenari di
sviluppo positivo, ci si affanna a pescare nel passato qualche soluzione.
L’idea del ritorno alla naja appartiene a questa categoria di proposte. Nulla
di veramente utile o realizzabile. Solo un modo per ribadire che il passato era
meglio, quando le cose stavano al loro posto e l’autorità rappresentava un
fatto indiscusso a prescindere da ogni autorevolezza personale. Dal momento che
il futuro non c’è, è qualcosa che va creata, se il cambiamento è solo ritorno
al passato significa che non siamo capaci di generare futuro? In qualche modo
il ripristino della naja è sintomo di questo secondo lei?
Certo! In
questo momento in Italia non c’è un sogno, una speranza, una visione di futuro,
manca un substrato anche visionario che ci faccia presagire qualcosa di meglio.
La logica di questo Governo è molto semplice, alimentare il disfattismo
terroristico nella realtà, una realtà incombente, che fa paura, che genera
inquietudine, accentuando il sentimento di insicurezza e su questa base
appellarsi al ritorno alle sicurezze ataviche del passato, compreso il
background culturale dell’uomo forte che controlla tutto e in maniera
autoritaria gestisce la vita degli altri. Né la partecipazione né la
cittadinanza hanno più senso perché c’è qualcuno che decide per tutti.
L’educazione è “tirar fuori”
l’individuo, la sua personalità, le sue capacità, la sua volontà: la naja è
esattamente il contrario, l’individuo deve piegarsi alla volontà dei suoi
superiori. È davvero surreale pensare che nella leva obbligatoria ci sia
qualcosa di educativo: obbedire e comandare con l’educazione non c’entrano
nulla.
Un
servizio civile obbligatorio per ragazzi e ragazze invece, da pedagogista, come
lo giudica? Per quello possiamo spendere il termine “educativo”?
Certo che è educativo, perché si
impara facendo, non solo studiano i libri. Questa è la grande tradizione della
pedagogia attiva, di Dewey e della Montessori… È vivendo esperienze concrete
che le persone possono imparare. Intanto come accennavo segnerebbe un passaggio
fra la dipendenza dalla famiglia di origine e l’autonomia sociale vera e
propria: per gli adolescenti di oggi la possibilità di fare vere scelte sulla
propria vita viene procrastinata quasi all’infinito, tutto è posticipato in
un’attesa che crea forti disagi, spesso anche con ripercussioni psicologiche se
non psichiatriche. Inoltre se vogliamo creare quel senso di appartenenza e di
cittadinanza che oggi langue, bisogna che i ragazzi e le ragazze - questo è
molto importante, che sia davvero per tutti - siano convocati a vivere
un’esperienza di utilità, di protezione della società. Ecco, sarebbe un concetto
di protezione civile allargato. Ma questo sì che crea sicurezza, non le
telecamere: è la cultura della cittadinanza a creare sicurezza, la telecamera
registra ciò che è successo, registra l’omicidio ma non lo previene nel modo
più assoluto. Abbiamo bisogno di una profonda cultura della cittadinanza, con i
ragazzi impegnai a difendere le strutture vive del loro mondo, non delle
presunte frontiere.
Se vogliamo creare quel senso di
appartenenza e di cittadinanza che oggi langue, bisogna che i ragazzi e le
ragazze - questo è molto importante, che sia davvero per tutti - siano
convocati a vivere un’esperienza di utilità, di protezione della società. Ecco,
sarebbe un concetto di protezione civile allargato. Ma questo sì che crea
sicurezza, non le telecamere
Gli
studenti a Venezia in realtà hanno criticato anche il servizio civile
obbligatorio: «Non possiamo accettare che quella che per tanti è una vocazione,
come quella del servizio civile, venga imposta come un obbligo, perché nemmeno
l’obbligo educa», hanno detto. Ma anche «Vogliono farci credere che studiare
sia qualcosa di inutile e egoistico e che solo mettendoci al servizio della
'Nazione' saremo utili alla comunità».
Qui sbagliano, non c’è nessuna
dicotomia tra studio ed esperienza, occorre parlare di appredimento. Se vuoi
diventare un cittadino è logico che devi fare un’esperienza di cittadinanza e
di servizio. Io l’obbligo lo vedrei bene, se non altro perché la novità sarebbe
quella, il servizio civile facoltativo esiste già. Da pedagogista mi preoccupa
avere una generazione di 15/24enni che resta in panchina nel momento più
creativo della loro vita, una generazione che si perde nei videogiochi, che si
astiene dalla vita concreta: è assurdo, una società che fa questa scelta è
autolesionista. Bisogna togliere subito quei ragazzi dalla panchina e buttarli
in campo, in qualsiasi modo, il servizio civile obbligatorio può essere uno,
quantomeno è una ipotesi da verificare. Io ci credo.
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