Alfonso Gianni - Il manifesto
02 Settembre 2018
02 Settembre 2018
«Nulla forse riesce a ritrarre con maggiore
vividezza lo spaventoso degrado in cui è precipitato il mondo dopo la Prima
guerra mondiale quanto la limitazione delle libertà di movimento e del diritto
alla libertà dell’individuo», scriveva Stefan Zweig, anche lui errante forzato
nel mondo.
E così continuava: «Prima del 1914 la terra
apparteneva a tutti. Ognuno andava dove voleva e ci rimaneva finché lo
desiderava». Una frase tratta dalla migliore delle sue opere Il mondo di ieri,
ma sembra proprio il mondo di oggi. Stando anche agli esiti degli ultimi
sondaggi la percezione ostile alla presenza di stranieri, particolarmente nel
nostro paese, è di gran lunga superiore alla entità effettiva.
Segnale inequivocabile che la propaganda xenofoba e
razzista ha sfondato in ampi strati della popolazione, sfruttando l’assist che
le politiche dei governi di centrosinistra le avevano fornito in questi ultimi
anni. Che fare allora? Il manifesto, come si è mosso con successo altre volte
nel passato, ha prontamente insistito che è necessario raccogliere l’energia di
tutte le forze democratiche e antirazziste per potere ribaltare la situazione.
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Nel frattempo le manifestazioni autoconvocate nel
porto di Catania e nel centro di Milano, come fu a suo tempo per Macerata,
hanno dimostrato che una sinistra e un potenziale schieramento democratico
ancora più ampio esistono. E si manifestano tanto più chiaramente e prontamente
quando sentono su di sé direttamente la responsabilità di reagire ad una china
sempre più pericolosa. Indipendentemente dagli orientamenti delle forze
politiche sopravvissute allo tsunami del 4 marzo. Bisogna quindi dare voce,
visibilità e spazio a questo movimento reale.
Come ha giustamente osservato Nadia Urbinati, che
non può essere certo tacciata di pulsioni populiste, «Il risveglio
dell’opposizione è avvenuto in piazza: non nei partiti, non in Parlamento».
Questo ha avuto il merito di smuovere anche organizzazioni e forze politiche.
È il caso del manifesto antirazzista promosso da
Anpi, Arci, Articolo 21, Cgil, Legambiente, Libera, Rete della pace e Tavola
della pace che fa appello alla società civile contro il clima di violenza, di
intolleranza e di paura fomentato in particolare da Salvini.
Certamente anche la tradizionale marcia
Perugia-Assisi per la pace si caricherà di questi significati, come del resto è
accaduto con sempre maggiore evidenza nelle ultime edizioni. Ma qui non si
tratta di aggiungere un argomento, anche se in perfetta sintonia con altri. Qui
si tratta di non lasciare il terreno di scontro all’avversario. Ha sicuramente
ragione chi afferma che la lotta a favore dei migranti e dei loro diritti (come
ha scritto su queste pagine Etienne Balibar del «diritto internazionale dell’ospitalità»)
non copre tutto l’arco degli argomenti su cui si deve sviluppare una efficace
opposizione al governo fasciostellato.
Vi sono i temi della pessima condizione economica
del Paese, della disoccupazione generale e giovanile in particolare, evidenziati
spietatamente proprio in queste ore da Istat che sradicano l’irresponsabile
ottimismo governativo, ieri dei Renzi oggi del duo Salvini-Di Maio. Nodi che
verranno al pettine nella imminente sessione di bilancio. Ma qualcuno pensa
realmente di portare a casa qualche risultato su questi fronti, mentre i
migranti marciscono sui ponti di comando di navi bloccate nei porti italiani o
moltiplicano gli ospiti di quel cimitero liquido all’aperto che è diventato il
mare Mediterraneo?
Possibile che non si capisca il senso profondo
dell’esperienza di Riace ove immigrazione e integrazione volontaria hanno
salvato un paese dal declino che i famosi bronzi non hanno fermato e ha
dimostrato come uno sviluppo alternativo abbia possibilità di maggiore successo
se fatto da soggetti diversi fra loro?
Per questi motivi è necessario costruire una
mobilitazione nazionale, plurale, unitaria che abbia al centro, e non come un
accessorio, la lotta al razzismo.
La sua possibilità di successo deriva anche dal
fatto che nessuno se ne appropri o la pensi come un passaggio per il proprio
rilancio. Chiunque sia. Meno che mai può farlo il Pd, in evidente angoscia di
visibilità. Nessuno dimentica – e ce lo ri-ricordava ieri Enrico Pugliese – il
filo che lega la politica migratoria del ministro Minniti con le provocatorie e
criminali scelte di Salvini. Anzi quest’ultimo ha rivendicato apertamente tale
discendenza.
In queste ore il segretario del Pd Martina lancia
per fine settembre una manifestazione contro il governo dell’odio. Per
costituire un segnale reale di risipiscenza verso le politiche passate e la
confusa paralisi postelettorale dovrebbe allontanare in partenza ogni fondato
sospetto che lì si stia giocando in primo luogo una battaglia congressuale.
Il messaggio che viene invece veicolato, è quello di
tenere insieme tutte le anime alternative alla deriva sovranista «da Macron e
Sánchez a Tsipras». Ovvero gli oppressi con gli oppressori.
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