Alfonso Gianni, Il manifesto
02 Agosto 2018
Ci si potrebbe domandare come mai
un provvedimento così blando, come il decreto sul lavoro, abbia potuto
incontrare tale e tanta opposizione dalle forze padronali, da trasformarsi da
«Waterloo del precariato» in «tripudio dei voucher».
La politica e tantomeno
l’economia non spiegano tutto. È forse il caso di rivolgersi anche alla
psicologia cognitiva. Recentemente la prestigiosa rivista Science ha pubblicato
un originale studio partendo dalla seguente domanda: «come definireste un
puntino blu?». Ai partecipanti all’esperimento sono stati mostrati centinaia di
puntini il cui colore variava dalle tonalità del viola a quelle del blu
scurissimo. Ognuno doveva riconoscere il puntino blu. Diminuendo il numero dei
medesimi le stesse persone al contrario dichiaravano l’esistenza di un numero
maggiore di puntini blu.
In sostanza tendevano a
classificare come blu ciò che non lo era. Un fenomeno di concept creep, di
estensione strisciante del concetto. Ovvero meno punti blu ci sono più se ne
vedono. Il fenomeno pare tanto più evidente quando l’elemento che viene
diminuito ha per gli osservatori una valenza negativa.
Se ora sostituissimo ai puntini
blu i diritti dei lavoratori – e non è la sola analogia in campo sociale che si
potrebbe fare, si pensi al tema dei migranti ad esempio – e scegliessimo tra i
partecipanti all’esperimento prevalentemente datori di lavoro e loro
sostenitori, otterremmo che più si diminuiscono i diritti e più quei pochi che
sopravvivono diventano un problema insopportabile, ben al di là della loro
reale consistenza. È esattamente il processo cui abbiamo assistito in queste
settimane. Contro il titubante e pasticciato decreto Di Maio si è scatenata una
canea reazionaria impressionante, di cui il giornale della Confindustria ha
dato accurato e quotidiano spazio, a dimostrazione che la linea di tolleranza
verso i diritti minimali nel mondo del lavoro ha subito un repentino e violento
arretramento. Ed è questo il frutto avvelenato di poche settimane di governo
fasciostellato. Che del resto ha trovato ben scarsa opposizione davanti a sé.
Sia per la preponderanza dei numeri, sia per la modesta consistenza qualitativa
di quest’ultima. Anzi, se questo governo ha potuto sfondare sui voucher è
perché Gentiloni cancellò con il famoso decreto il referendum abrogativo. Così
non fosse stato e se quel referendum che aveva più che ottime probabilità di
successo si fosse tenuto, non sarebbe stato possibile, o quantomeno assai più
dubbio, riproporre di lì a poco la stessa normativa.
Non bastano le cifre fornite
l’altro ieri dall’Istat che certificano a giugno lo splafonamento per più di
centomila unità del tetto di tre milioni di contratti a termine, né la crescita
della disoccupazione generale ufficiale (quasi all’11%) inferiore di almeno due
punti a quella reale, neppure di quella giovanile (al 32,6%), né di un tasso di
occupazione tra i più bassi in Europa, a fronte di 18 miliardi di euro gettati
negli ingranaggi mangiasoldi delle imprese.
A tutto ciò si aggiunge il
rapporto Svimez di ieri, che ci dà il senso pieno della drammaticità della
condizione del nostro Mezzogiorno. Nel 2019 è previsto un forte rallentamento
dell’economia meridionale: se il Nord può sperare in un incremento del Pil di
appena l’1,2%, il Sud non andrà oltre lo 0,7. Il nostro Sud non è tutto uguale,
ma le regioni che stavano male vanno ancora peggio.
Gli investimenti fissi lordi si
sono fermati e la spesa pubblica in dieci anni è scesa al Sud del 7,1%. La
desertificazione dell’ attività economica e della vita civile.
Nel 2017 ci sono stati meno nati,
i giovani se possono scappano, in 16 anni se ne sono andati 1 milione e 883mila
residenti. La povertà cresce, chi lavora è un working poor, perché le retribuzioni
fanno schifo e il precariato dilagante le peggiora.
Sui voucher Adriano Giannola,
presidente dello Svimez, a domanda risponde che questi strumenti al Sud non
fanno che aggravare la situazione «Non è cambiando le modalità contrattuali che
si crea lavoro». Ma questo non trattiene il M5stelle dal sostenerli, malgrado
la prevalenza meridionale del proprio elettorato, mentre Salvini si fa bello
con le imprese del Nord (e non solo). Infatti l’obiettivo del governo è ben
altro. Non unicamente quello di seppellire nuovamente l’articolo 18
(l’emendamento è stato respinto dalla maggioranza). Che motivo ci sarebbe
infatti ad estendere i voucher anche al turismo dal momento che in quel settore
le norme contrattuali prevedono già una gamma ampia di flessibilità? Uno solo:
i voucher sono il piede di porco per fare saltare il contratto nazionale di
lavoro, obiettivo perseguito da anni da parte del nostro padronato che con
questo governo spera di portarlo a casa.
Vogliono un paese no union,
malgrado la moderazione dei nostri sindacati. Altro che governo di destra che
fa cose di sinistra.
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