Piero Innocenti– Liberainformazione
16 Settembre 2018
Dunque, è pronto lo “schema di decreto legge”
sull’immigrazione, sulla cittadinanza e sulla giustizia (15 articoli in tutto)
da sottoporre alla deliberazione del Consiglio dei Ministri e fortemente voluto
dal Ministro dell’Interno. E’ il primo dei provvedimenti annunciati da Salvini
per limitare, in generale, il rilascio
di permessi di soggiorno di protezione, abrogando quelli che vengono rilasciati
per “motivi umanitari”. Troppo buonista, secondo il Ministro, l’interpretazione
data nel tempo a questa “tutela umanitaria”, come aveva già sottolineato nella
sua circolare del 4 luglio scorso, inviata a tutti i Prefetti e ai Presidenti
delle Commissioni e Sezioni territoriali, sollecitando un maggior rigore nel
concedere il “beneficio”. In realtà, gli esiti delle richieste di asilo in
Italia per motivi umanitari negli ultimi anni, sul totale delle istanze
esaminate, sono oscillati dal 51,7% del 2010 al 20,8% del 2016, al 25% del 2017
( cfr. Il Rapporto sui Centri di permanenza per il rimpatrio, della Commissione
Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, aggiornato al
dicembre 2017). Verrebbe abrogato, quindi, il comma 6 dell’art. 5 del testo
unico sull’immigrazione che prevede, appunto, il rilascio da parte del Questore
di tale permesso “..qualora ricorrano seri motivi, in particolare di carattere
umanitario”. Espressione ritenuta troppo generica contrariamente a quanto
previsto negli altri Stati membri dell’UE, in cui forme di tutela complementari sarebbero tassativamente
individuate dalle norme. Con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi
umanitari vengono, tuttavia, individuate alcune situazioni “..di tutela dello
straniero che, pur non rientrando, ai sensi della vigente normativa, nelle ipotesi
di protezione internazionale (..)non consentirebbero di eseguire il
provvedimento di espulsione senza violare principi e norme del diritto interno
e internazionale”. In questo senso la
puntualizzazione fatta nella relazione illustrativa allo schema del decreto
legge in argomento. Vengono, così, previsti permessi di soggiorno da rilasciare
” in casi speciali” come quello per “cure mediche” , per un periodo limitato
che sia indicato in idonea certificazione sanitaria e solo se lo straniero
versi in condizioni di eccezionale gravità, che non consentono di espellerlo
senza “arrecare un grave pregiudizio alla sua salute”. Insomma, pare di capire,
che ci si debba trovare in situazioni di persone “moribonde” o quasi. C’è, poi,
il permesso di soggiorno per “calamità naturali“, anche questo di durata
limitata, sei mesi, non prorogabile ( punto incomprensibile se si pensa a
situazioni di calamità protrattesi per tempi lunghissimi che hanno investito
alcuni paesi, vedi Haiti), che consente allo straniero di non rientrare nel
Paese di origine che si trovi in una situazione di contingente ed eccezionale
calamità naturale (terremoto, inondazione, ecc..). Spetta, infine al Ministro
dell’Interno, su proposta del Prefetto competente, la concessione di un
permesso di soggiorno per “atti di particolare valore civile” e, come noto, non
sono mancati in questi anni episodi con alcuni stranieri protagonisti di encomiabili interventi. Nel provvedimento normativo, in
fase di elaborazione definitiva ,viene confermata ( ma riscritta) la disciplina
dei permessi per le vittime di violenza domestica e di grave sfruttamento
lavorativo già riconosciuta dalle norme
vigenti.
Nella strategia antimmigratoria
di Salvini, contraddistinta, come noto, da “più espulsioni, più trattenimenti
nei Cpr, più rimpatri forzosi, più accompagnamenti in frontiera, più rigore nel
riconoscimento dello status di rifugiato e niente permessi umanitari”, si mira
anche a prolungare la “detenzione amministrativa” dello straniero nei Centri di
permanenza per i rimpatri ( attualmente sono sei in tutto il territorio
nazionale) portandola dagli attuali 90 giorni a 180. La misura sarebbe
necessaria, si sostiene nella relazione, per lo svolgimento delle procedure
finalizzate alla identificazione e alla acquisizione del documento di viaggio
(c.d. lasciapassare) rilasciato dalle autorità consolari dei paesi di
provenienza. Prima di tutto, però, forse sarebbe necessario eliminare le varie
criticità strutturali e di trattenimento inadeguate, in termini di tutela della
dignità e dei diritti dei trattenuti, rilevate nel tempo, in più circostanze,
in tali Centri ( dove la permanenza media è
di circa 25 giorni). Le preoccupazioni per la dignità e i diritti dei
trattenuti aumentano se si pensa che, nella previsione dell’art. 3 dello schema
di decreto legge, si può trattenere lo straniero, su richiesta del Questore,
nell’attesa della definizione da parte del giudice di pace del provvedimento di
espulsione con accompagnamento alla frontiera
“..in strutture idonee, diverse dai Centri di permanenza per il
rimpatrio (..) nella disponibilità
dell’Autorità di pubblica sicurezza..”. Si tratta di capire quali possano
essere questi luoghi diversi non potendosi escludere, spero di sbagliare, le
camere di sicurezza esistenti nelle questure e in diversi uffici di ps
distaccati ( il questore ed il dirigente di un commissariato di ps distaccato
sono, rispettivamente, autorità provinciale e locale di pubblica sicurezza).
Considerazione che scaturisce dal richiamo formulato nella relazione al decreto sulla disposizione analoga prevista dal
codice di procedure penale (art.558 comma 4 bis) di trattenere una persona in
stato di arresto nelle camere di sicurezza in attesa della convalida del
provvedimento e del giudizio direttissimo. Permanenza che può essere
autorizzata dal giudice dopo l’udienza di convalida anche presso gli uffici di polizia di frontiera,
sempre “in locali idonei” ( chi valuta tale idoneità?) sino all’effettivo
allontanamento. Con tutti i problemi che ciò potrà comportare, inoltre, sul piano della vigilanza da parte
degli agenti di polizia in uffici con
organici ridotti al lumicino.
Apprezzabile, invece, a parere di chi scrive, l’ampliamento previsto nel
decreto dei reati ( violenza sessuale, rapina ed estorsione- attualmente sono previste
solo nelle ipotesi più gravi-, violenza o minaccia a pubblico ufficiale,
lesioni personali gravi e gravissime, furto e furto in abitazione aggravati dal
porto di armi o narcotici) che, in caso di condanna definitiva ( in genere dopo
molti anni) sono motivo di diniego o di revoca dello status di rifugiato e di
quello di beneficiario di protezione sussidiaria. Davvero troppi negli ultimi
tempi gli episodi, anche gravi, imputabili a tali persone alle quali era stata
assicurata “accoglienza” e solidarietà.
Qualcuno ricordi al ministro Salvini i diritti
dei minori stranieri e la tutela riservata dalle leggi e dai regolamenti
Uno degli aspetti più drammatici
nel dramma generale dei migranti soccorsi in mare è, senza dubbio, quello
riguardante i minori e, in particolare, quelli non accompagnati. La penosa
vicenda della nave Diciotti dalla quale sono sbarcati nella serata del 22
agosto scorso solo i 29 minori sul totale di 177 migranti, dopo il
trattenimento forzato a bordo, è soltanto l’ultima delle squallide vicende che
vedono come protagonisti il ministro dell’interno Salvini ed altri esponenti
del Governo del c.d. “cambiamento”. Così, mentre la Procura di Agrigento ha
avviato, finalmente, un’inchiesta, per ora contro ignoti, per arresto illegale
e sequestro di persona, si continuano ad
ignorare, anzi a calpestare le norme giuridiche che disciplinano la
delicatissima materia della assistenza nei confronti dei minori. Se il ministro
Salvini non le conosce sarà bene informarlo e questo compito spetterebbe alla
folta schiera dei “tecnici” del Viminale che dovrebbero essere meno
“silenziosi” e ossequiosi. Si tratta,
dunque, di applicare le norme di legge a giovani privi di assistenza e di
rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti che possono legalmente
assumerne la responsabilità. Giovani, in molti casi, i cui genitori sono morti
o scomparsi nelle guerre che stanno devastando molti paesi africani e che
cercano una via d’uscita magari per raggiungere amici o parenti in altre
nazioni europee. In altri casi sono le stesse famiglie africane a spingere il
minore a partire, sperando che possa trovare un mondo migliore, un lavoro, la
possibilità di studiare, di sopravvivere. I numeri debbono indurci a qualche
riflessione: dagli oltre 7mila nel 2013, di cui circa 5mila risultati
“solitari”, aumentati a poco più di 12mila non accompagnati nel 2015 sono
raddoppiati nel 2016 con oltre 25mila (fonte, Fondazione Ismu, gennaio 2017 e
Ministero dell’Interno). Dal primo agosto
del 2016 al 31 luglio 2017, poi, si è avuto il picco con 24.797 mentre nello
stesso periodo, fino al 31 luglio 2018, i minori stranieri non
accompagnati,indicati con la misera sigla “msna” nel “dossier Viminale” del 15
agosto scorso, sono scesi a 6.042.
In molti casi si tratta di
giovani dai 12 ai 17 anni ma anche di bambini di età inferiore ai 10 anni. E’
reale, peraltro,il timore che questi giovani, lasciati allo sbando, finiscano
nella rete di pedofili o vengano arruolati dai “caporali” nello sfruttamento
lavorativo o impiegati nell’accattonaggio o assoldati da gruppi criminali
stranieri dediti allo spaccio di stupefacenti. Basti pensare che, nel 2017,
sono stati 1.125 i minori denunciati dalle forze di polizia alla magistratura
per quest’ultimo delitto (dati DCSA) e di questi circa il 30% erano stranieri (
stessa percentuale rilevata anche nei primi sette mesi del 2018 con 665 minori
denunciati per spaccio) Sono molti,
infine, i minori non accompagnati che ospitati in strutture di accoglienza (
13.151 a luglio 2018 secondo dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali) si rendono, presto, “irreperibili”. Un problema, dunque, molto serio
anche tenuto conto che i minori rientrano nella categoria delle “persone
vulnerabili” e cioè di persone che necessitano di maggiore cura e attenzione e
alle quali il diritto comunitario (art.17 della direttiva 2003/9/CE e art.3
della direttiva 2008/115/CE sui rimpatri) garantisce una protezione
supplementare. Sebbene la Convenzione europea sui diritti dell’uomo non
contenga disposizioni che facciano espressamente riferimento ai minori non
accompagnati, il trattamento loro riservato deve comunque rispondere a varie
norme tra cui l’articolo 5 sul diritto alla libertà e alla sicurezza e l’art.8
sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte europea dei
diritti dell’uomo ha anche stabilito che gli Stati hanno la responsabilità di
tutelare i minori non accompagnati e di non abbandonarli a se stessi dopo il
rilascio. Tutte le decisioni riguardanti i minori debbono, inoltre, basarsi nel
rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo
adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dal nostro paese con la
legge 27 maggio 1991 n°176. Poiché, in generale, le persone che giungono da noi
sono spesso senza documenti e molti sostengono di avere meno di diciotto anni,
si rende necessario procedere all’accertamento dell’età che, in Europa, avviene
con diverse tecniche – in particolare con l’esame radiologico del polso – e con
il consenso del minore. Una procedura
più articolata deve essere, comunque, seguita per la determinazione dell’età
dei minori non accompagnati vittime di tratta. A riguardo, in attuazione
dell’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2014, è stato emanato
il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 2016, n.234
(su G.U. n.298 del 22 dicembre 2016), contenente il regolamento (otto articoli)
per la determinazione dell’età dei suddetti minori non accompagnati da attuarsi
attraverso una procedura multidisciplinare che prevede l’intervento di un
mediatore culturale, di un interprete, di personale qualificato di una
struttura sanitaria pubblica individuata dal giudice tutelare. E’ a
quest’ultimo, infine, che compete l’emanazione del provvedimento di
attribuzione dell’età al minore sulla scorta delle risultanze emerse nella
procedura seguita (la minore età dello straniero è presunta nel caso in cui la
procedura svolta non abbia stabilito con certezza l’età dello stesso) e la
contestuale comunicazione alla Questura competente in relazione al luogo dove è
situata la struttura di accoglienza del minore. A proposito di tale accoglienza
(effettuata in strutture governative per il tempo strettamente necessario e,
comunque, non superiore a sessanta giorni)
va ricordata anche la particolare attenzione riservata dal nostro
legislatore ai minori non accompagnati, in particolare con l’art.19 del decreto
legislativo 18 agosto 2015 n.142 di attuazione della direttiva 2013/33/UE
recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
Nella eventualità di temporanea indisponibilità di strutture governative
(evento che capita con frequenza), l’accoglienza è assicurata dal Comune in cui
si trova il minore (usufruendo dei
contributi disposti dal Ministro dell’Interno sul Fondo nazionale ad hoc di cui
all’art.1, comma 181, della legge 23 dicembre 2014, n.190) , mentre, laddove ci
sia una situazione di arrivi consistenti e ravvicinati spetta al prefetto
attivarsi per reperire strutture ricettive temporanee esclusivamente dedicate
ai minori non accompagnati con una capienza massima di cinquanta posti per
ciascuna struttura.
La rappresentanza dei minori non
accompagnati deve essere assicurata subito dopo che hanno presentato domanda di
asilo. Sul punto si segnala la direttiva (quattro articoli) del Ministro
dell’Interno, d’intesa con il Ministro della Giustizia, del 7 dicembre 2006
(registrata alla Corte dei Conti il 7 marzo 2007), in materia di minori
stranieri non accompagnati richiedenti asilo. Il citato provvedimento indica il
percorso da seguire affinché i vari soggetti istituzionali coinvolti (
Questure, Uffici di polizia di frontiera, Servizi sociali dei Comuni, Tribunale
per i minorenni, Giudice tutelare, Servizio Centrale del Sistema di protezione
per i richiedenti asilo, UNCHR) collaborino per garantire assistenza e
protezione al minore straniero non accompagnato che ha presentato domanda di
asilo. Va anche detto che il sistema di accoglienza nel suo complesso è
sensibilmente migliorato negli ultimi anni. Così come è decisamente aumentata
l’attenzione e la sensibilità su questo tema da parte delle forze di polizia
grazie anche ad un Vademecum redatto dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza
per garantire i diritti dei minorenni. Il manuale, primo del suo genere, in
versione tascabile e digitale (è
aggiornato on line sul sito del Ministero dell’Interno), realizzato in base ad
un protocollo d’intesa sottoscritto il 28 gennaio 2014 tra il Dipartimento
della Pubblica Sicurezza e il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, contiene
le linee guida per gli interventi degli operatori di polizia in cui restano
coinvolti soggetti minorenni. Delle cinque sezioni che compongono il Vademecum
,è la terza che si interessa delle criticità connesse agli stranieri minori non
accompagnati mentre nelle altre parti vengono esaminate alcune delle
problematiche collegate alla commissione di reati per i quali i minori figurano
come vittime, come autori o come testimoni, i pericoli collegati all’utilizzo
della Rete come il cyberbullismo, le dipendenze on line, la pedopornografia, le
procedure da attivare nei casi di minori scomparsi,i provvedimenti
dell’autorità giudiziaria civile nei riguardi dei minori. Un appendice al
manuale contiene, infine, le principali disposizioni normative in materia. Su tutte,
naturalmente, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione (D.lvo n°286/1998 e successive modifiche) che, nel solco
delineato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo sopra richiamata, ha
riservato una particolare attenzione, in generale, ai minori. Così, l’art.19,
comma 2, non consente l’espulsione degli stranieri minori degli anni 18 (salvo
il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulso), a meno che non ci
siano gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, provvedimento
in questo caso adottato dal Ministro dell’Interno. Esiste, tuttavia, la
possibilità di adottare un provvedimento di “rimpatrio assistito” ( è adottato
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) finalizzato ad assicurare
il diritto all’unità familiare del minore ricongiungendolo con i propri
familiari o riaffidandolo alle autorità competenti del paese di origine, nel
rispetto delle convenzioni internazionali e su disposizione della magistratura.
Al minore non accompagnato, inoltre la nostra legislazione garantisce i diritti
relativi al soggiorno temporaneo, all’assistenza sanitaria, all’avviamento
scolastico. Al raggiungimento della maggiore età, poi, ai minori stranieri (
anche a quelli affidati ai sensi dell’art.2 della legge 184/1983 o sottoposti a
tutela ex art.1 comma 22 della legge 94/2009) può essere concesso il permesso
di soggiorno che è subordinato ad una serie di condizioni tra cui quella di
essere in Italia da almeno tre anni, di seguire un progetto di integrazione
sociale e civile da almeno due anni, di frequentare un corso di studio o
un’attività lavorativa regolare (art.32 comma 1 bis T.U.).Una ulteriore tutela
a favore dello straniero minore di età è prevista dall’art.18 comma 6 del T.U.
con cui si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione
sociale all’atto delle dimissioni da un istituto dopo aver espiato una pena
detentiva per reati commessi durante la minore età purché abbia dato prova
concreta di partecipazione a programmi di assistenza e integrazione sociale. Qualcuno dovrebbe “aggiornare” sulla materia il
ministro Salvini, prima che la magistratura decida di indagarlo e con lui tutti
coloro che hanno obbedito ad un ordine palesemente illegittimo trattenendo
sulla Diciotti i migranti soccorsi.
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