Carlo Ruggiero e Fabrizio Ricci – Rassegna sindacale
15 settembre 2018
Il ministro Di Maio non c'è (a
quanto pare impegnato come testimone in un matrimonio) e la piazza, gremita,
fischia per la sua assenza. Ma il confronto, che da tre voci passa a due -
quella del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e quella del segretario
confederale della Cgil Maurizio Landini - entra comunque subito nel vivo e
parte da una questione di grande attualità e sulla quale l'assenza del governo
pesa: Ilva. “Un accordo importante - esordisce Boccia - in cui si vede un
grande livello di responsabilità dei sindacati e degli investitori, ma pure il
buon senso del governo”, anche se, aggiunge poi il leader degli industriali,
“per sbloccare la trattativa c'è voluta la minaccia dello sciopero da parte dei
sindacati e l'evocazione della piazza da parte nostra”, perché le forze
politiche che sono alla guida del paese, continua Boccia, “sono molto sensibili
a tre parole: piazza, popolo e sondaggi. E se usi il loro vocabolario allora la
cosa funziona”.
“L’intesa sull’Ilva ci dice che
la difesa dei diritti dei lavoratori può stare insieme alla difesa della
sicurezza sul lavoro e dell’ambiente – afferma Maurizio Landini - Ora, però,
quell’accordo va applicato, perché prevede 4 miliardi di investimenti e pone
una serie di questioni importanti. Al governo – continua - abbiamo chiesto che
nella nuova azienda entri anche una quota pubblica, per garantire i patti e
ricostruire un rapporto di fiducia con la città e con i dipendenti. Perché il
settore siderurgico è strategico per una paese che vuole rimane industriale”.
Per Landini è necessario dunque “convocare un tavolo sulla siderurgia, per
ragionare su ciò di cui abbiamo bisogno per ricostruire”. “Dal 2009 ad oggi –
osserva l'ex segretario Fiom - c’è stato un crollo degli investimenti pubblici
, e ormai siamo di fronte a un deserto industriale”.
Se si vuole risalire la china,
però, per Landini, c’è bisogno di un coordinamento, e “l’accordo sull’llva
indica che questa strada si può seguire”. Così come dimostra che non è vero che
la cancellazione dell’articolo 18 è la condizione per portare gli investimenti
in Italia: “Mittal è il più grande gruppo siderurgico al mondo e ha firmato un
accordo che prevede l’articolo 18”. Gli investimenti, insomma, “arrivano se c’è
una prospettiva non se mancano i diritti”.
Il dibattito dalla questione Ilva
si sposta poi su un piano più generale e Gianni Del Vecchio, giornalista di
Huffington Post che coordina il dibattito, chiede quali siano le difficoltà,
per Confindustria e sindacati, nell'interfacciarsi con un governo che ha fatto della
disintermediazione il suo cavallo di battaglia. “La precondizione per ogni tipo
di rapporto è il rispetto reciproco – risponde il presidente Boccia –
dopodiché, come fai a dire di sapere cosa vogliono i lavoratori se non parli
con la Cgil, la più grande organizzazione sindacale d'Italia?”. Per il
presidente di Confindustria, “con un'opposizione già debole, se si
indeboliscono anche i corpi intermedi, in nome del popolo, non si dà un'idea di
democrazia forte per questo paese”.
La legge sulla rappresentanza può
essere utile in questo senso? “Per noi sì, con i sindacati siamo d'accordo –
continua Boccia – bisogna capire cosa vuole fare il governo. È chiaro che
servono dati oggettivi, serve misurarsi, e chi ha tanti iscritti si siede al
tavolo. Se dall'altra parte qualcuno non è d'accordo – aggiunge il presidente
di Confindustria – allora si capisce che c'è la volontà di scegliersi gli
interlocutori”. Ma per Boccia è necessario andare anche oltre la legge sulla
rappresentanza: “Serve un grande piano per l'occupazione – afferma – non si può
continuare a parlare solo di pensioni, Europa e immigrazione. Per questo sono
orgoglioso di aver firmato il Patto per la Fabbrica, perché in quel patto c'è
un elemento importante: si parla di occupazione come precondizione per la
crescita”.
Anche per Landini “il Patto è
stato un passaggio decisivo in un Paese ormai frantumato e diviso”, perché
“parti sociali diverse si sono confrontate su temi fondamentali”. E allora, il
passaggio successivo, “se Confindustria fosse d’accordo”, può essere per la
Cgil quello di sedersi “domani stesso con le altre organizzazioni
rappresentative per parlare di rappresentanza”. La difficoltà di costruire
degli accordi nasce infatti proprio dalla difficoltà di misurare la
rappresentanza. “Solo contandoci possiamo affrontare le innovazioni che stanno
cambiando il mondo del lavoro e della produzione, perché rappresentanza vuol
dire giustizia sociale e qualità del lavoro”. Anche qui serve una serve una
logica di sistema, “per affrontare i problemi di oggi”. Questo è il messaggio
molto chiaro che la Cgil manda al governo: “Si fanno chiamare il governo del
cambiamento, ma non si cambia un paese senza il contributo delle persone che
lavorano e di coloro che permettono a queste persone di lavorare. Chiediamo
quindi di accelerare e di aprire una le discussione sulla legge sulla
rappresentanza”.
Anche perché, secondo Landini
“l’elemento principale che garantisce la democrazia in un Paese è la giustizia
sociale, che si ottiene attraverso l’uguaglianza”. In Italia e nel mondo, però,
ci si trova “a fare i conti con una situazione che va in una direzione diversa.
Le disuguaglianze aumentano e così aumentano anche i rischi per la convivenza
civile”. “Quando lavori e sei povero – conclude il segretario Cgil - vuol dire
che c’è qualcosa che non funziona. Oggi non basta discutere su come creare
nuovi posti di lavoro, bisogna discutere anche di cosa si produce e di come si
produce. Siamo di fronte a un processo di cambiamento in cui la qualità del
lavoro diventa fondamentale”.
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