Fabrizio Feo– Liberainformazione
16 Settembre 2018
Dunque è mafia, “Mafia Capitale”,
non più solo nella definizione scelta da Procura e Carabinieri per dare il nome
all’inchiesta che portò agli arresti di 4 anni fa: lo dicono le condanne
inflitte dalla Corte d’Appello di Roma, pur con delle riduzioni di pena (in
particolare da 20 anni a 14 anni e sei mesi per Massimo Carminati e da 19 anni
a 18 e 4 mesi per Salvatore Buzzi, da 11 a 8 anni e 8 mesi per Luca Gramazio) e
quei 18 imputati che i giudici hanno ritenuto responsabili dei reati di
associazione a delinquere di stampo mafioso, o di concorso esterno nell’associazione, o ai
quali, ancora, hanno attribuito l’aggravante del metodo mafioso previsto
dall’articolo 7 della legge del 1991. Tra i 18 compaiono figure non certo di
secondo piano della scena politica e del mondo imprenditoriale romano come l’ex
consigliere comunale e poi regionale di Forza Italia Luca Gramazio e Franco Panzironi
ex amministratore delegato dell’azienda municipalizzata dei rifiuti di Roma,
l’Ama.
Non se l’aspettavano i difensori
di Carminati, Buzzi e degli altri imputati accusati di associazione mafiosa.
Anzi, è ragionevole ritenere che attendessero un alleggerimento delle condanne
inflitte in primo grado, riduzioni di pena magari più consistenti di quelli
che, comunque, sono state accordate – ritoccando qua e la, assolvendo da alcuni
reati meno rilevanti, intervenendo su alcune circostanze aggravanti, negate
come delle recidive, riconoscendo invece qualche attenuante generica.
Ma la condanna per mafia no:
quella i difensori la consideravano improbabile se non impossibile.
Così, nell’aula bunker di
Rebibbia, rispondendo alle domande dei giornalisti, ancora un po’ disorientati,
hanno manifestato sorpresa, disappunto con critiche pesanti all’impianto del
processo e dell’inchiesta. “Vedo che per molti cittadini da oggi è molto pericoloso
vivere in Italia, è una bruttissima pagina per la giustizia del nostro Paese”,
ha detto, ad esempio, il difensore di Salvatore Buzzi. Altrettanto duro il
legale di Carminati: “Ormai il processo penale è diventato uno strumento di
tutela sociale, attraverso il processo penale la magistratura si arroga un
compito che non le compete di moralizzare la società. Qualunque cosa avvenga si
apre una inchiesta, questi mettono bocca su tutto e tutti”. E ancora: “…Ormai
le indagini si svolgono solo guardando dal buco della serratura e su questo si
costruiscono indagini monstre”.
Affermazioni che, a dir poco,
lasciano interdetti.
In particolare il legale di
Carminati, l’avvocato Naso, si riferisce all’uso delle intercettazioni. Beh,
ricordate Salvatore Buzzi ascoltato mentre dice che con l’assistenza ai
migranti si possono “fare più soldi che con la droga” o quando si parla del
denaro da lucrare sugli appalti parlando
di vacche da mungere, o ancora quando Carminati e Buzzi spiegano la
propria strategia di controllo di
politici e imprenditori? Le frasi captate dai Carabinieri del Ros nelle
intercettazioni dell’indagine Mafia Capitale non sono un’occhiata dal buco
della serratura, ma raccontano esattamente – e al di la di ogni dubbio – la
logica dei capi dell’organizzazione criminale romana.
Difensori e imputati speravano
che sarebbe stata riproposta la tesi contenuta nella sentenza di primo grado,
che aveva parlato di due associazioni per delinquere ‘semplici’,
guidate l’una da Salvatore Buzzi, capo di un nutrito gruppo di cooperative
sociali, e l’altra da Massimo Carminati, storico esponente della destra
eversiva e poi della Banda della Magliana, coinvolto in tantissimi delitti e
vicende oscure degli ultimi 40 anni. La prima sentenza aveva affermato inoltre
che non era possibile parlare di una capacità di intimidazione, di una
mafiosità e un pedigree criminale discendenti dal rapporto storico di Carminati
con la Banda della Magliana.
Quasi dieci mesi fa la procura
antimafia e la procura generale di Roma avevano così impugnato la sentenza solo
nella parte in cui il tribunale aveva
rigettato l’esistenza dell’associazione mafiosa. E ora la Corte d’Appello, accogliendo
l’impostazione dell’accusa, sancisce che la rete di affari e corruzione
scoperta dal Ros, che si era infiltrata nei gangli politici e amministrativi
del Comune di Roma, nelle aziende municipalizzate della Capitale, comprando il
favore di esponenti politici di centrosinistra e di centrodestra in comune e
alla regione, manovrando l’assegnazione di
appalti, mettendo le mani su lavori nel settori dei rifiuti, dei giardini, per
arrivare fino alla gestione dell’accoglienza dei migranti, si muoveva con la forza della mafiosità,
della coppia Carminati Buzzi e di una
squadra agguerrita che agiva ai loro ordini.
Nota di Libera Contro le Mafie
Il mondo di mezzo è mafia. Il
riconoscimento dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, prevista
dall’articolo 416 bis del codice penale, nella sentenza di secondo grado confermano
quello che abbiamo sempre detto durante il processo: siamo davanti a presenze
corruttive rafforzate da condotte mafiose confermate dalla lettura delle carte
processuali e delle intercettazioni trascritte che raccontano di una Capitale
con ferite profonde, dove la corruzione, il mercimonio della cosa pubblica, una
criminalità violenta e predatoria, ha inquinato e condizionato il tessuto
sociale, politico ed economico. La sentenza di oggi invita tutti a continuare
ad impegnarci sempre di più consapevoli che le presenze mafiose e i fenomeni di
corruzione, che interessano questo territorio come ormai la maggior parte delle
zone del Paese, si contrastano con la re. pressione e gli strumenti giudiziari,
ma il primo e imprescindibile strumento rimane il risveglio delle coscienze,
l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai
privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità organizzata e i suoi
complici.” Libera in una nota commenta la sentenza di appello del processo
Mafia Capitale.
Nessun commento:
Posta un commento