Alaa Tartir– Invicta
Palestina
03 Settembre 201
03 Settembre 201
Ci sono quattro obiettivi che l’Autorità Palestinese può porsi per
ottenere la dignità, l’autodeterminazione e la responsabilità locale nella
consegna degli aiuti.
Nel 2006, a seguito della vittoria di Hamas nelle
democratiche e imparziali elezioni parlamentari palestinesi, i principali
donatori internazionali bloccarono gli aiuti alla Cisgiordania e alla Striscia di
Gaza occupate per protestare contro l’esito della votazione.
Durante quel periodo lavoravo in
una prestigiosa università palestinese e ricevemmo lettere su lettere di
donatori che ci comunicavano come i nostri progetti comuni erano stati chiusi,
la collaborazione sospesa e i fondi tagliati.
Il volto sgradevole degli aiuti
Fummo tutti presi dal panico e ci
rattristammo per i progetti che stavamo seguendo; ci sentimmo umiliati nel
ricevere via fax, neppure in una riunione o con una telefonata, le notizie che
avrebbero determinato la nostra vita. Quell’esperienza ci mostrò la faccia
sgradevole dell’industria degli aiuti e ci rese consapevoli di quale pessima
idea sia il lasciare che gli altri decidano del nostro futuro.
Ci mostrò anche che l’aiuto è un
“dono” due volte maledetto: maledice chi lo dà e chi lo riceve. Ma ci diede una
lezione importante: se non siamo noi Palestinesi ad assicurarci uno sviluppo
dignitoso, nessuno lo farà al posto nostro.
Questa importante lezione non è
stata ben compresa o riconosciuta dalla leadership politica palestinese, e da
allora gli aiuti internazionali hanno continuato ad essere sprecati invece di
essere usati efficacemente per trasformare la vita delle persone. L’ultimo
episodio è avvenuto all’inizio di quest’anno, quando il presidente degli Stati
Uniti Donald Trump ha minacciato di ritirare gli aiuti all’Autorità palestinese
(AP).
Infine non solo ha tagliato gli
aiuti, ma ha anche trasferito l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme,
riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e attaccato l’UNRWA e
l’inalienabile diritto al ritorno dei Rifugiati.
A parte alcune dichiarazioni infuocate e una
retorica brillante, la dirigenza politica palestinese non ha intrapreso alcuna
azione significativa per contrastare gli Stati Uniti e il suo Trumpismo.
A parte alcune dichiarazioni
infuocate e una brillante retorica, la dirigenza politica palestinese non ha
intrapreso alcuna azione significativa per contrastare gli Stati Uniti e il suo
Trumpismo. La scorsa settimana, l’amministrazione statunitense ha deciso di
tagliare oltre 200 milioni di dollari in aiuti ai Palestinesi, eppure la risposta
della leadership politica continua ad essere formulata con forza, ma senza
efficacia, con dichiarazioni di condanna, ma senza alcuna azione concreta.
Ecco quattro azioni di buon senso
che la dirigenza politica palestinese potrebbe prendere in considerazione per
rispondere a questo recente taglio di aiuti statunitensi.
1 – Fermare il coordinamento della sicurezza con Israele
In primo luogo, interrompere
tutte le relazioni e la cooperazione con il Coordinatore della Sicurezza degli
Stati Uniti (USSC). Ciò sarebbe in linea con la decisione dell’OLP e la
richiesta di tutti i partiti politici palestinesi, così come del popolo
palestinese, di porre fine al coordinamento della sicurezza israelo-palestinese
e di cambiare le dinamiche nel campo della sicurezza.
Il coordinamento della sicurezza
è stato uno dei motivi principali per cui l’USSC è stata creata più di un
decennio fa. L’USSC non solo viola i principi chiave internazionali che
regolano l’erogazione degli aiuti in quanto il suo intervento continua a causare
danni alla popolazione destinataria, ma agisce anche come braccio complementare
dell’occupazione coloniale israeliana.
L’aiuto degli Stati Uniti non è un aiuto per
la Palestina o per i Palestinesi; è un aiuto per sostenere le azioni brutali
del loro oppressore (l’occupazione israeliana), ed è anche un aiuto per i
contractors americani e il loro personale di sicurezza.
L’aiuto americano fornito
attraverso l’USSC non è un aiuto per la Palestina o per i Palestinesi; è un
aiuto per sostenere le azioni brutali del loro oppressore (l’occupazione
israeliana), ed è anche un aiuto per i contractors americani e il loro
personale di sicurezza.
Inoltre, l’intervento dell’USSC
non ha solo lo scopo di proteggere la sicurezza dell’oppressore, ma ha anche
portato a un’ulteriore repressione degli oppressi, i Palestinesi, rendendo le
forze di sicurezza dell’Autorità palestinese più autoritarie, con il pretesto
di assicurare stabilità e ordine pubblico.
Il danno causato dalla missione
di sicurezza degli Stati Uniti (USSC) è evidente e manifesto; è ora di
considerarla responsabile e di respingere il suo intervento.
2 – Un intervento dannoso
Secondo, chiudere i progetti e le
operazioni di USAID. La penetrazione dell’USAID nella società palestinese è
stata profonda e dannosa sin dal suo inizio. Le condizioni che impongono ai
Palestinesi e il tipo d’interventi che perseguono, non solo hanno generato una
dannosa dipendenza dagli aiuti e perpetuato un dannoso status quo, ma hanno
anche distorto la struttura della società civile palestinese, il suo insieme di
valori e le basi e i fondamenti del contratto sociale tra chi governa e chi è
governato.
Per invertire queste tendenze, è
ora di fermare l’USAID prima che causi ulteriori danni. Il suo intervento
futuro sarà ancora più pericoloso perché attuerà la visione politica
dell’amministrazione statunitense, che non promette nulla di buono per
qualsiasi tipo di sviluppo positivo, per la prosperità o per la pace.
Se ci sta a cuore la dignità del
popolo palestinese, è tempo di impedire all’USAID di continuare a fare affari,
così come di renderla responsabile. Se non è possibile contrastare gli storici
danni che ha causato, ora c’è un’occasione d’oro per prevenire danni futuri, e una strada efficace per realizzare
ciò è chiudere i progetti e le operazioni USAID.
3 – Obiettivi di buonsenso
In terzo luogo, tagliare i legami
con l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, con il suo staff, con
l’assistenza, con i progetti e con il personale. Non è ragionevole continuare a
rafforzare i legami e accogliere a braccia aperte un’entità che chiaramente e
apertamente dichiara guerra a te, al tuo popolo e ai tuoi diritti fondamentali.
I dipendenti dell’UNRWA e le loro
famiglie protestano contro i tagli di posti di lavoro annunciati dall’agenzia
davanti agli uffici a Gaza City il 31 luglio 2018 (AFP)
Persino i principi basilari della
diplomazia non giustificano tale comportamento. La reazione naturale è
respingere e resistere. Mentre l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme
continua a celebrare le borse di studio che offre ai giovani e brillanti
Palestinesi, è indubbiamente l’ombra e il braccio del governo degli Stati Uniti
nei Territori Occupati con il fine di attuarne le politiche e le strategie.
Limitarsi a ignorare le azioni
dell’ambasciata americana a Gerusalemme, come ha deciso di fare la leadership
politica palestinese, non è né sufficiente, né efficace per cambiare la
dinamica del potere.
4 – Aiuti internazionali alla
Palestina: è ora di cambiare rotta.
In quarto luogo, per finire,
tagliare i 200 milioni di dollari dal budget esagerato del settore della
sicurezza dell’Autorità palestinese. Dato che l’elemento più importante nel
budget dell’AP continua a essere tale settore, che assorbe il 30% del budget
senza offrire sufficiente sicurezza e protezione al popolo palestinese, questa
recente decisione dell’amministrazione Trump offre ai pianificatori palestinesi
e alla leadership politica l’opportunità per rivedere le loro priorità e per
allontanarsi da un paradigma che è stato loro imposto come effettivo subappalto
dell’occupazione israeliana.
Tagliare 200 milioni di dollari e
condividere con il popolo palestinese quest’azione, sarebbe inviare un chiaro
messaggio all’amministrazione statunitense e ai principali attori nel settore
degli aiuti, ovvero che è ora di cambiare rotta per garantire dignità,
autodeterminazione e responsabilità locale nella consegna degli aiuti ai
Palestinesi.
Certamente, questi quattro
obiettivi sono di natura politica e avrebbero conseguenze per l’attuale e per
una futura leadership politica palestinese, così come provocherebbero un breve
periodo di sofferenza.
Ma d’altra parte, credo che
questi obiettivi siano azioni di buon senso con le quali molti Palestinesi sono
d’accordo .
Spero solo che il buon senso sia
diffuso, in Palestina e non solo.
Dr Alaa Tartir è consigliere di
programmi per Al-Shabaka, la Rete politica palestinese, e professore associato di ricerca presso il
Centro per il conflitto, lo sviluppo e la costruzione della pace (CCDP) presso
l’Istituto universitario di studi internazionali e di sviluppo (IHEID) a
Ginevra, Svizzera. Segui Alaa Tartir su Twitter @alaatartir e leggi le sue
pubblicazioni su www.alaatartir.com.
Trad: Grazia Parolari “contro
ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeasteye.net/columns/how-palestinians-should-respond-trumps-slashing-us-aid-2022337737
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