Si
tende a interagire con chi sposa la stessa idea, rafforzando così le proprie
convinzioni: secondo Walter Quattrociocchi è il "pregiudizio di
conferma". E chi urla di più finisce per polarizzare. Per difendersi serve
senso critico e consapevolezza
Esmeralda Rizzi– Rassegna
sindacale
23 agosto 2018
Quando siamo sui social network
spesso sembra di assistere a veri e propri scontri tra bande. Oggi sappiamo che
è proprio così. Ne parla Walter Quattrociocchi, coordinatore del Lab di Data
science e Complexity all’università Ca’ Foscari di Venezia, considerato uno dei
maggiori esperti italiani di nel tema, in un suo recente intervento ospitato su
Agi digitale, nel quale presenta il risultato di uno studio condotto insieme al
professor Luciano Pietronero. Quattrociocchi ha recentemente pubblicato insieme
alla giornalista Antonella Vicini “Liberi di crederci. Informazione, internet e
post verità”, che verrà presentato alle Giornate del lavoro di Lecce giovedì 13
settembre: da tempo indaga sui meccanismi che influenzano l’opinione pubblica
sui social.
Secondo il suo studio, il primo
fenomeno da tenere presente è il cosiddetto “pregiudizio di conferma”. Quando
ci formiamo un’idea, per esempio che l’attentato alle Torri gemelle sia stato
una messa in scena e che in realtà le strutture siano state fatte collassare
con cariche esplosive, istintivamente tendiamo a seguire quella narrazione e a
prestare ascolto a chi la pensa come noi, rifiutando tesi contrapposte, di
fatto non ascoltandole nemmeno. “Abbiamo trovato consistenti evidenze empiriche
del fatto che gli utenti online tendono ad affezionarsi, meglio, direi proprio
a sposare una specifica narrazione - scrive Quattrociocchi-. In questo modo
(...) tendono a riconoscersi e a formare così gruppi omogenei all’interno dei
quali si coopera proprio al fine di rinforzare la narrazione a cui si è scelto
di aderire, per esempio quella a favore della scienza, o, al contrario, quella
complottista”.
Così su Facebook tenderemo a
leggere e a interagire con chi ha sposato la tesi del complotto e non la
versione ufficiale, e nell’interazione ovviamente rafforzeremo la convinzione
della giustezza della nostra idea. Nel suo ultimo lavoro Quattrociocchi ha
fatto un passo in avanti e ha scandagliato i meccanismi che amplificano
l’effetto di un post o di un tweet e quindi di una tesi. “Abbiamo osservato che
le pagine che hanno un alto impatto portano a commentare anche utenti che non
sono particolarmente attivi. È come se chi grida di più riuscisse a svegliare e
ad attivare più utenti”. Quindi a dare maggiore forza a quella tesi e a
polarizzare maggiormente le parti contrapposte. Qualcosa di molto simile,
sembrerebbe, alla trasformazione della comunicazione politica degli ultimi anni.
Chi più grida, maggiormente polarizza. E contrappone.
In Cgil ne abbiamo avuto
un’esperienza da manuale durante il duro confronto con Matteo Renzi sul Jobs
Act. La narrazione, le parole scelte e usate dall’ex presidente del consiglio
per contrastare l’opposizione della Cgil al Jobs Act stesso e alla
cancellazione dell’articolo 18, ha fatto inizialmente leva sul malcontento
giovanile per l’assenza di opportunità professionali. Ha insistito sul ruolo di
difensori dello status quo dei sindacati descritti come obsoleti,
rappresentanti dei pensionati, incapaci e non interessati a interpretare i
bisogni di chi cerca lavoro ma solo di chi ha già un lavoro.
I gufi, il gettone, la presa in
carico della ipotetica “precaria Marta” che puntando il dito contro la Cgil
diceva “Voi dov’eravate?” agiva esattamente secondo la dinamica “polarizzante”
descritta da Quattrociocchi. Quella contrapposizione forzata tra tutelati e non
tutelati, nei fatti spesso tra genitori e figli, ha distolto l’attenzione
generale dal vero obiettivo che non era riconoscere maggiori tutele a chi non
ne aveva ma divide un gruppo omogeneo, i lavoratori intesi come categoria
sociale, per spuntare le armi dell’unica organizzazione che si stava opponendo
a quel progetto. Quel “dove eravate”, tanto efficace quanto fuorviante dal
momento che non è la Cgil a votare i provvedimenti in Parlamento, non a caso
resta ancora oggi sui social come prima reazione degli utenti online a notizie
dal forte impatto emotivo, come quelle sugli incidenti mortali sul lavoro o sui
dati sulla precarietà in aumento. Un vero paradosso, se ci pensate.
La strada suggerita da
Quattrociocchi per difendersi da questi meccanismi è principalmente una:
maggiore senso critico, maggiore consapevolezza. “In questo gioco di contrasti
- commenta Quattrociocchi nel suo intervento - non vince nessuno, perdiamo
tutti, e la rabbia non si placa, anzi aumenta”. L’intervento integrale di
Quattrociocchi è consultabile qui.
Esmeralda Rizzi è responsabile
social media Cgil nazionale
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