Pasquale Moffa– Decrescita e
Libertà
23 agosto 2018
Anche se il tema che dobbiamo
affrontare è pressoché ignoto alla maggior parte delle persone, o comunque poco
conosciuto e frainteso, non possiamo esimerci dal ricordare alcune rilevanti
figure il cui pensiero anticipatore ha messo in evidenza le problematiche che
oggi sono, o dovrebbero essere, al centro della riflessione e dell’azione di
tutti noi.
Sergej Podolinskij (1850-1891):
aristocratico ucraino fuggito esule in Francia che tentò di sensibilizzare Karl
Marx alla critica ecologica, e per primo avanzò l’idea della necessità di
conciliare socialismo ed ecologia.
Ivan Illich (1926-2002): uno dei
maggiori sociologi del nostro tempo, anticipatore delle riflessioni
alteromondiste, critico analizzatore delle forme istituzionali della società
contemporanea, con criteri di umanizzazione e convivialità ispirati anche alla
sua fede cristiana.
Nicholas Georgescu Roegen
(1906-1994): padre delle teorie bioeconomiche (quelle che collocano l’economia
all’interno della biosfera), tra i primi a porre la questione ecologica in
economia, sostenendo che la scienza economica, commettendo un errore fatale,
ignora l’entropia, ovverosia la non reversibilità delle trasformazioni
dell’energia e della materia. Nel lontano 1975 suggerì otto massime, come una
sorta di imperativo ecologico:
- disarmo di tutti gli eserciti;
- sostegno universale verso l’indipendenza e lo sviluppo dei popoli e degli individui, in modo da garantire a tutti il godimento delle condizioni materiali proprie di una vita dignitosa;
- diminuzione delle dimensioni demografiche del pianeta;
- riduzione degli sprechi mediante risparmio energetico;
- blocco della produzione dei beni di lusso;
- eliminazione degli incentivi allo spreco e al sovraconsumo incoraggiati dalle mode;
- programmazione dei beni da produrre che preveda la loro riparabilità e ne riduca al massimo la potenziale obsolescenza;
- educazione all’apprendimento della lentezza come valore, sia nell’ambito lavorativo che in quello della vita privata
Aurelio Peccei (1908-1984):
ingegnere, ex alto dirigente della FIAT, fondatore del Club di Roma (1970) e
autore di un testo davvero profetico: “I limiti dello sviluppo” (1972).
Alexander Langer (1946-1995):
politico, scrittore e giornalista. Il suo contributo al movimento ambientalista
e alla sensibilizzazione per le tematiche ambientali fu fondamentale e
innovativo.
Negli anni ottanta del secolo
scorso fu tra i fondatori del movimento politico dei Verdi in Italia e in
Europa. Il suo pensiero tutt’altro che convenzionale su tematiche quali
“progresso”, “conservazione”, “tolleranza”, “identità” lo mise spesso in
contrasto con i partiti e gli esponenti della sinistra. In un testo del 1994,
ora raccolto insieme ad altri nel volume: “Conversione ecologica e stili di
vita. Rio 1992-2012” (Edizioni dell’asino 2012), si poneva una domanda
decisiva: “…come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente
sostenibile?” e così si rispondeva: “…finora si è agito all’insegna del motto
olimpico < citius, altius, fortius > (più veloce, più alto, più forte)
che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito
della nostra civiltà. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo
forse sintetizzare, al contrario, in < lentius, profundius, suavius > (
più lento, più profondo, più dolce) e se non si cerca in quella prospettiva il
nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo
dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso”.
Guido Viale (1943-viv.):
scrittore ed economista italiano. Rilevante tutta la sua riflessione sulla
ristrutturazione del debito, sulla riconversione ambientale dell’economia, sui
beni comuni (acqua, energia, trasporti, rifiuti, istruzione, gestione del
territorio ecc.)
Vandana Shiva (1952-viv.):
attivista e ambientalista, vicepresidente di SlowFood, autrice del progetto
NAVDANYA, con lo scopo di mettere in salvo il patrimonio naturale dei semi e
assicurare la loro libera circolazione, condivisione e scambio, e di promuovere
la pace sulla Terra, nostra unica risorsa.
NAV = nove o nuovo;
DANYA = semi o donare.
Quindi: nove semi o nuovo dono.
Nel suo contributo al libro
“Matriarché” a cura di Francesca Colombini e Monica Di Bernardo, ci parla di
società pacifiche fondate sull’equilibrio di genere e in accordo con la natura.
Serge Latouche (1940-viv.): i
suoi lavori, da “La scommessa della decrescita” (ed. serie bianca Feltrinelli
2006), al “Breve trattato sulla decrescita” (ed. Bollati-Boringhieri 2008) fino
a “Limite” (ed. Bollati-Boringhieri 2012) e “Per un’abbondanza frugale.
Malintesi e controversie sulla decrescita” (ed. Bollati-Boringhieri 2012),
chiariscono in modo inequivocabile, a nostro avviso, tanto la situazione in cui
ci troviamo, le cause che l’hanno determinata e continuano a condizionarla con
le conseguenze che ne derivano, quanto le modalità per poterne uscire.
Si tratta, insieme alle
riflessioni degli autori succitati e di altri che sarebbe eccessivamente
oneroso e dispersivo indicare in questa sede, di un apparato
culturale-ideologico che riteniamo fondamentale per affrontare con cognizione
di causa e con realismo il tema della decrescita e delle modalità secondo cui
esso deve essere declinato. È un argomento ineludibile per noi occidentali e
fondamentale perché strettamente collegato ad una critica radicale del
neocapitalismo, dell’individualismo proprietario e dell’edonismo consumista,
divenuti i nuovi valori legati al cosiddetto libero mercato e che permeano fino
alle fondamenta la nostra società.
Preso atto della “pars destuens”,
da lì possiamo partire per impostare la “pars construens”, e indicare così le
cose da fare.
Anche per qusto compito gli
autori succitati ci danno consigli, suggerimenti, proposte di grande
importanza, ma per dovere di incisività e di sintesi indichiamo qui un decalogo
che non è altro che l’appello sottoscritto da ventuno organizzazioni del Nord e
del Sud del mondo, in rappresentanza di duecento milioni di persone, in
occasione del vertice sul clima, convocato dal Segretario generale dell’ONU,
Ban Ki Moon, il 23 settembre 2014 (Rispetto al quale, va detto, quelle
organizzazioni erano fortemente critiche perché lo hanno considerato solamente
un modo per avallare uno “scippo” della lotta ai cambiamenti climatici da parte
di chi vuole usare questa emergenza planetaria per fare affari con misure e
politiche non vincolanti, a carattere privatistico, che mirano solo al profitto
e sono sicuramente insufficienti).
Ecco, quindi, in sintesi le cose
che si dovrebbero fare, scaturite come detto da un documento presentato in
occasione di un vertice sui cambiamenti climatici, ma che prospettano un nuovo
modo di vedere la nostra esistenza su questa Madre Terra che è l’unica che
abbiamo e che, essendo limitata, non sopporta progetti illimitati, privi di
sostenibilità.
·
Contenere le emissioni annue che alterano il
clima, per impedire che la temperatura del pianeta aumenti più di 1,5°C entro
il 2020;
·
lasciare nel sottosuolo o sotto i fondi dei mari
almeno l’80% delle riserve fossili conosciute;
·
mettere al bando le nuove esplorazioni ed
estrazioni di combustibili fossili e di uranio, soprattutto quelle effettuate
con il fracking, in assoluto le più inquinanti. Stop alla costruzione di nuovi
impianti di trattamento e trasporto di fossili, compresi i gasdotti;
·
predisporre un programma generale di riconversione
energetica, promuovendo fonti rinnovabili in forme sottoposte a controllo
pubblico nazionale e comunitario;
·
promuovere la produzione e il consumo locali di
beni durevoli, evitando di trasportare da un capo all’altro del mondo quello
che può essere prodotto e fabbricato in loco;
·
incentivare la transizione ad una produzione
agroalimentare di prossimità e biologica, con accordi di programma tra
produzione e consumo. Il modello sono i GAS (gruppi di acquisto solidale) e i
DES (distretti di economia solidale);
·
lavorare per conseguire l’obbiettivo “rifiuti
zero” e promuovere un’edilizia a basso consumo energetico;
·
promuovere il più possibile un trasporto di
persone e merci con sistemi di mobilità pubblici, potenziando i trasporti su
ferrovia e su vie d’acqua;
·
creare nuova occupazione finalizzata alla
ricostituzione degli equilibri ambientali: innumerevoli piccole opere nel campo
energetico, nella manutenzione dei suoli, nei trasporti, nell’edilizia e in
agricoltura, in cui dovrebbe articolarsi un piano di lavori pubblici che
potrebbe produrre subito un milione di posti di lavoro in Italia e sei milioni
in Europa;
·
smantellare industria e infrastrutture militari
per ridurre, fino ad eliminarli del tutto, i danni delle guerre, destinando ad
opere di pace le risorse risparmiate.
Il documento che abbiamo
utilizzato per questo elenco conclude, trovandoci pienamente concordi, dicendo
che il nostro modello industriale non è più sostenibile; occorre redistribuire
la ricchezza controllata dall’1% della popolazione mondiale, che ammonta circa
al 50% della ricchezza totale, ridefinendo il concetto di “benessere”, che deve
riguardare tutte le forme di vita, riconoscendo i diritti della Natura e di
Madre Terra.
Ci rendiamo conto che il
programma politico che deriva dalla volontà di attuare i punti indicati sopra è
molto ambizioso e dovrebbe avere dimensioni planetarie. Noi, qui ed ora,
dobbiamo lavorare perché la dimensione ecologica, e con essa l’idea di ridurre
i consumi e gli sprechi, diventi sempre più forte nel discorso pubblico, fino a
divenire senso comune. Come ebbe già a dire Paolo Cento (fonte Manifesto):
“…abbiamo bisogno di circoli popolari radicati dentro la crisi sociale ed
ecologica…l’ecologismo è il terreno di una nuova mobilitazione popolare”.
A nostro modo di vedere ci
troviamo in un’epoca storica in cui i problemi e le sfide che abbiamo di fronte
sono enormi e di grande urgenza. O riusciremo a dare le giuste risposte, con
una presa di coscienza ed uno sforzo universali, oppure dovremo (il noi, come
soggetto di questi verbi, sottintende il genere umano) affrontare immani
catastrofi, fino al rischio dell’autodistruzione.
P.S. In relazione agli aggettivi
“conviviale” e “felice” attribuiti spesso al termine “decrescita” per renderla
non solo accettabile, ma addirittura desiderabile, lasciamo a ciascuno di
individuare le modalità più consone alla propria personalità, alle proprie
attitudini e inclinazioni per interpretare adeguatamente quegli aggettivi. Ci
limitiamo ad osservare che, nell’ottica della decrescita, con un uso adeguato
delle tecnologie che già esistono, e un’equa distribuzione della ricchezza,
potremmo produrre ciò di cui abbiamo veramente bisogno per vivere
dignitosamente, lavorando tutti un limitato numero di ore al giorno. Il resto
del tempo, tolto quello necessario al sonno e al soddisfacimento di altri
bisogni ineludibili (cibo, pulizia, cura ecc.) potrà essere dedicato alle
attività che più ci piacciono e soddisfano, all’insegna della convivenza
pacifica, della solidarietà e della fratellanza universale.
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