Maurizio Pallante.– Decrescita e
Libertà
23 agosto 2018
Da grande giornalista qual è,
Ezio Mauro non avrebbe potuto descrivere meglio di quanto ha fatto
nell’editoriale pubblicato da Repubblica il 17 agosto, la percezione che
l’opinione pubblica italiana ha del sistema di potere, di cui una forza
politica del tutto estranea sta scoperchiando senza nessuna soggezione gli
altarini nascosti: «un insieme fradicio e marcio di élite, baronie, vecchi
partiti, istituzioni e poteri economici e finanziari forti». Naturalmente le
cose non stanno così. Questa è soltanto la rappresentazione che ne viene data
dai suoi avversari populisti strumentalizzando l’emotività popolare suscitata
dal crollo del ponte Morandi a Genova. Tuttavia, pur non essendo possibile
negare che una gestione più attenta alla sicurezza degli utenti dell’autostrada
e dei cittadini che abitano nelle case sottostanti avrebbe probabilmente potuto
evitare non solo questa tragedia, ma anche i danni economici che ne derivano al
porto di Genova e alla viabilità urbana, la sua saggezza di commentatore super
partes, lo induce a mettere in evidenza la frettolosità e la strumentalità
delle critiche rivolte ai gestori della Società Autostrade, «che non può diventare
il capro espiatorio di processi sommari con riti di piazza». E a non sottacere
le responsabilità degli altri soggetti politici che si dichiarano «perennemente
estranei al sistema anche quando si siede al suo vertice, governandolo da
Palazzo Chigi». Da ben 2 mesi. O guidano il governo regionale da ben tre anni.
Tutto questo avviene, scrive Ezio
Mauro, soltanto perché non crediamo più al progresso. Anzi ne abbiamo
addirittura paura. Non abbiamo più «qualcosa da progettare e costruire insieme,
a cui guardare e in cui sperare per noi e per i nostri figli». Come non
condividere queste perle di saggezza? In conseguenza dell’effetto serra la
temperatura della Terra sta aumentando molto più di quanto è stato concordato
al termine della Cop 21, a Parigi nel dicembre del 2015. Ed era già più del
doppio di quanto è aumentata nel secolo scorso, mettendo in moto i cambiamenti
climatici di cui stiamo sentendo i primi effetti devastanti. Nel 2017 il giorno
in cui l’umanità è arrivata a consumare le risorse rinnovabili che la Terra
rigenera nel corso di un anno è stato il 1 di agosto. Nel 2016 era stato il 9
agosto, nel 2015 il 15 agosto, dieci anni prima il 15 settembre. Negli oceani
galleggiano masse di poltiglia di plastica grandi come continenti, mentre il
numero dei pesci si è dimezzato. La fertilità dei suoli agricoli e la
biodiversità si sono ridotte drasticamente. Le tensioni internazionali per
controllare le fonti energetiche fossili si acuiscono. I popoli poveri
deprivati del necessario per sostenere la crescita economica dei popoli ricchi
alimentano flussi crescenti di migranti. Questi sono i fenomeni che «hanno
consumato anche l’idea di futuro». E sono fenomeni talmente evidenti che non
vengono visti soltanto da coloro che non vogliono vedere. Dio acceca quelli che
vuol perdere, ha scritto il profeta Isaia.
Ezio Mauro non li vede. Per lui
l’idea di futuro non si è consumata per questi fatti oggettivi, ma «in parte
per colpa della crisi che si è mangiata la crescita» (birbona!), «in parte per
colpa nostra (nostra: di chi?, del sistema di potere? Ndr.) perché abbiamo
ascoltato per troppo tempo i pifferai della decrescita». A parte il fatto che
non li ha ascoltati nessuno, ma ogni tanto qualcuno si è limitato a deriderli,
la crescita non è ripartita perché qualcuno che, come vox clamantis in deserto,
si è permesso di prospettare la necessità della decrescita per attenuare sia la
crisi ecologica, sia la crisi economica. La crescita non è ripartita perché i
suoi sostenitori, il sistema di potere di cui sopra, non sono stati capaci di
farla ripartire pur manovrando, a differenza dei sostenitori della decrescita,
tutte le leve del potere. Abbiano l’onestà intellettuale di assumersene la
responsabilità. Il fatto è che agiscono con strumenti spuntati, che sono stati
validi in passato, ma non hanno futuro. Non sono stati capaci perché non è «la
crisi che si è mangiata la crescita», ma perché la crescita è la causa della
crisi, in quanto le innovazioni tecnologiche finalizzate ad aumentare la
produttività aumentano l’offerta di merci, ma, riducendo l’incidenza del lavoro
umano sul valore aggiunto, se non si riduce l’orario di lavoro riducono
l’occupazione e, quindi, la domanda.
Quanto alla decrescita, è mai
possibile che si continui a confonderla con la recessione? La recessione è la
diminuzione generalizzata e incontrollata di tutta la produzione di merci. La
sua conseguenza più grave è la disoccupazione. La decrescita è la riduzione
selettiva e governata della produzione di merci inutili o dannose. La sua
conseguenza migliore è la crescita di un’occupazione utile, che paga da sé i
suoi costi d’investimento. Invece di buttare fiumi di denaro pubblico in
un’opera che non ripagherà mai i suoi costi perché non risponde a un bisogno
reale, come il TAV, non sarebbe meglio ristrutturare la rete idrica esistente,
che perde il 65 per cento dell’acqua che trasporta? La riduzione degli sprechi
d’acqua, oltre a rispondere a un bisogno reale, crea un’occupazione ancora
maggiore e genera dei risparmi economici che in un certo numero di anni ammortizzano
i costi d’investimento. Lo stesso avverrebbe non investendo nel TAP, ma nella
riduzione dei consumi energetici che si possono ottenere ristrutturando edifici
che disperdono a causa della pessima coibentazione fino al settanta per cento
dell’energia che si usa per riscaldarli. Lo stesso avverrebbe con il recupero
delle materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi che oggi si
bruciano o si sotterrano. Questo è l’unico modo di rilanciare la «vecchia idea
di progresso» perché questo è il progresso di cui abbiamo bisogno e l’unico
progresso possibile, in grado di attenuare sia la crisi economica, sia la crisi
ambientale.
Da grande giornalista qual è,
Ezio Mauro non avrebbe potuto descrivere meglio di quanto ha fatto
nell’editoriale pubblicato da Repubblica il 17 agosto, la percezione che
l’opinione pubblica italiana ha del sistema di potere, di cui una forza
politica del tutto estranea sta scoperchiando senza nessuna soggezione gli
altarini nascosti: «un insieme fradicio e marcio di élite, baronie, vecchi
partiti, istituzioni e poteri economici e finanziari forti». Naturalmente le
cose non stanno così. Questa è soltanto la rappresentazione che ne viene data
dai suoi avversari populisti strumentalizzando l’emotività popolare suscitata dal
crollo del ponte Morandi a Genova. Tuttavia, pur non essendo possibile negare
che una gestione più attenta alla sicurezza degli utenti dell’autostrada e dei
cittadini che abitano nelle case sottostanti avrebbe probabilmente potuto
evitare non solo questa tragedia, ma anche i danni economici che ne derivano al
porto di Genova e alla viabilità urbana, la sua saggezza di commentatore super
partes, lo induce a mettere in evidenza la frettolosità e la strumentalità
delle critiche rivolte ai gestori della Società Autostrade, «che non può
diventare il capro espiatorio di processi sommari con riti di piazza». E a non
sottacere le responsabilità degli altri soggetti politici che si dichiarano
«perennemente estranei al sistema anche quando si siede al suo vertice, governandolo
da Palazzo Chigi». Da ben 2 mesi. O guidano il governo regionale da ben tre
anni.
Tutto questo avviene, scrive Ezio
Mauro, soltanto perché non crediamo più al progresso. Anzi ne abbiamo
addirittura paura. Non abbiamo più «qualcosa da progettare e costruire insieme,
a cui guardare e in cui sperare per noi e per i nostri figli». Come non
condividere queste perle di saggezza? In conseguenza dell’effetto serra la
temperatura della Terra sta aumentando molto più di quanto è stato concordato
al termine della Cop 21, a Parigi nel dicembre del 2015. Ed era già più del
doppio di quanto è aumentata nel secolo scorso, mettendo in moto i cambiamenti
climatici di cui stiamo sentendo i primi effetti devastanti. Nel 2017 il giorno
in cui l’umanità è arrivata a consumare le risorse rinnovabili che la Terra
rigenera nel corso di un anno è stato il 1 di agosto. Nel 2016 era stato il 9
agosto, nel 2015 il 15 agosto, dieci anni prima il 15 settembre. Negli oceani
galleggiano masse di poltiglia di plastica grandi come continenti, mentre il
numero dei pesci si è dimezzato. La fertilità dei suoli agricoli e la
biodiversità si sono ridotte drasticamente. Le tensioni internazionali per
controllare le fonti energetiche fossili si acuiscono. I popoli poveri
deprivati del necessario per sostenere la crescita economica dei popoli ricchi
alimentano flussi crescenti di migranti. Questi sono i fenomeni che «hanno
consumato anche l’idea di futuro». E sono fenomeni talmente evidenti che non
vengono visti soltanto da coloro che non vogliono vedere. Dio acceca quelli che
vuol perdere, ha scritto il profeta Isaia.
Ezio Mauro non li vede. Per lui
l’idea di futuro non si è consumata per questi fatti oggettivi, ma «in parte
per colpa della crisi che si è mangiata la crescita» (birbona!), «in parte per
colpa nostra (nostra: di chi?, del sistema di potere? Ndr.) perché abbiamo
ascoltato per troppo tempo i pifferai della decrescita». A parte il fatto che
non li ha ascoltati nessuno, ma ogni tanto qualcuno si è limitato a deriderli,
la crescita non è ripartita perché qualcuno che, come vox clamantis in deserto,
si è permesso di prospettare la necessità della decrescita per attenuare sia la
crisi ecologica, sia la crisi economica. La crescita non è ripartita perché i
suoi sostenitori, il sistema di potere di cui sopra, non sono stati capaci di
farla ripartire pur manovrando, a differenza dei sostenitori della decrescita,
tutte le leve del potere. Abbiano l’onestà intellettuale di assumersene la
responsabilità. Il fatto è che agiscono con strumenti spuntati, che sono stati
validi in passato, ma non hanno futuro. Non sono stati capaci perché non è «la
crisi che si è mangiata la crescita», ma perché la crescita è la causa della
crisi, in quanto le innovazioni tecnologiche finalizzate ad aumentare la produttività
aumentano l’offerta di merci, ma, riducendo l’incidenza del lavoro umano sul
valore aggiunto, se non si riduce l’orario di lavoro riducono l’occupazione e,
quindi, la domanda.
Quanto alla decrescita, è mai
possibile che si continui a confonderla con la recessione? La recessione è la
diminuzione generalizzata e incontrollata di tutta la produzione di merci. La
sua conseguenza più grave è la disoccupazione. La decrescita è la riduzione
selettiva e governata della produzione di merci inutili o dannose. La sua
conseguenza migliore è la crescita di un’occupazione utile, che paga da sé i
suoi costi d’investimento. Invece di buttare fiumi di denaro pubblico in
un’opera che non ripagherà mai i suoi costi perché non risponde a un bisogno
reale, come il TAV, non sarebbe meglio ristrutturare la rete idrica esistente,
che perde il 65 per cento dell’acqua che trasporta? La riduzione degli sprechi
d’acqua, oltre a rispondere a un bisogno reale, crea un’occupazione ancora
maggiore e genera dei risparmi economici che in un certo numero di anni
ammortizzano i costi d’investimento. Lo stesso avverrebbe non investendo nel
TAP, ma nella riduzione dei consumi energetici che si possono ottenere
ristrutturando edifici che disperdono a causa della pessima coibentazione fino
al settanta per cento dell’energia che si usa per riscaldarli. Lo stesso
avverrebbe con il recupero delle materie prime secondarie contenute negli
oggetti dismessi che oggi si bruciano o si sotterrano. Questo è l’unico modo di
rilanciare la «vecchia idea di progresso» perché questo è il progresso di cui
abbiamo bisogno e l’unico progresso possibile, in grado di attenuare sia la
crisi economica, sia la crisi ambientale.
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