Norma Rangeri – Il manifesto
24 agosto 2018
Sarebbe arrivato il momento di
togliere ai bassi fondi dei social l’esclusiva della formazione dell’opinione
pubblica per riportarla nella dimensione della piazza reale. Se, a settembre,
decine di migliaia di persone decidessero di incontrarsi a Roma, oltreché su
Facebook, per una manifestazione contro la politica del governo sui migranti
sarebbe un modo, per ciascuno e per tutto il paese, di ritrovarsi.
Servirebbe uno scatto di dignità
nazionale contro chi si atteggia a piccolo padre della patria, capace di
trattare gli immigrati come ostaggi, di sequestrare ragazze e ragazzi minorenni
in fuga dai disastri del mondo, di fomentare rigurgiti razzisti, di stravolgere
diritto e diritti costringendo la guardia costiera a diventare il suo braccio
operativo. Al punto da intimidire il comandante della nave Diciotti: «Non
sapevo se nell’attraccare al porto correvo il rischio di essere arrestato». Il
ministro degli interni va combattuto a fondo e seriamente. Esposti e querele
rischiano di lasciare il tempo che trovano.
Per fortuna dalla nostra parte
abbiamo il presidente della Repubblica e il presidente della Camera. Fico è
espressione dello stesso governo di Salvini che, dopo averlo attaccato
personalmente su come si guadagna lo stipendio (ignorando che Fico restituisce
l’indennità da presidente), ha buttato la palla addosso al Movimento
pentastellato. Lui si trova benissimo con Di Maio e Toninelli, se i 5Stelle
sono divisi è affare loro. Quanto a Mattarella «non temo il Colle, ho la
coscienza a posto». Come è evidente, lo scontro politico-istituzionale è frontale,
sia dentro il governo che, se non soprattutto, con l’Europa.
Oltretutto se a Bruxelles
l’Italia incontra un muro sull’accoglienza, il governo è pronto a sparare
cannonate sui conti pubblici e il momento si avvicina. Che il massimo
dell’impegno sia riunire oggi le seconde file di dodici dei ventotto paesi per
venire a capo del caso Diciotti, significa che non sarà l’Europa a fermare
Salvini e i suoi amici europei. Non si può certo dire che la situazione sia
eccellente anche se la confusione è grande.
La tentazione della crisi di
governo per andare alle elezioni europee e fare il pieno di voti fa parte del
gioco spericolato che, nei piani della Lega, dovrebbe prevedere, come
suggerisce il sottosegretario Giorgietti, la riforma presidenziale e
monocamerale.
Tuttavia la storia non è finita
anche se le bandiere democratiche e costituzionali (in momenti come questo si
sente la mancanza del professor Rodotà) sono state via via abbandonate,
lasciate nelle mani di una classe dirigente e di governo che negli anni (grazie
anche a Renzi, Minniti e compagni) le ha strappate pezzo a pezzo, fino a
renderle irriconoscibili brandelli.
Come del resto sta succedendo
alla bandiera europea, affogata nel Mediterraneo insieme ai 34.361 migranti
morti per raggiungere le nostre coste negli ultimi 15 anni. Le vittime che
abbiamo voluto ricordare, con nome e cognome, nell’inserto speciale pubblicato
dal manifesto. Con nome e cognome perché sono persone e privarle dell’identità
è disumanizzarle, a tal punto da immaginare di poterle riportare nei lager
(libici). Una ferita che sfigurerebbe chiunque.
Proprio in questi giorni la
Grecia festeggia l’uscita dai memorandum tornando a Itaca dopo la lunga
odissea, dopo la vera e propria guerra europea contro i greci, un attacco
brutale sotto gli occhi di tutti. Abbiamo visto da vicino di cosa è capace
l’Europa ora che lo scenario internazionale la mette alla prova: non solo sul
che fare nei confronti del governo italiano, ma verso la propria stentata
sopravvivenza.
Sarebbe più che giustificato un lucido
pessimismo, ma abbandonare il campo è sconsigliabile, questa è una battaglia
campale che la destra italiana vuole stravincere senza fare prigionieri.
L’unica via è andare controvento, i ponti da ricostruire sono molti e da
qualche parte bisognerà cominciare. E Roma, a settembre, potrebbe fare al caso
nostro.
Nessun commento:
Posta un commento