Fermiamoli.
Il vicepremier: «Decida sugli sbarchi». Ma sulla missione Sophia l’Ue dice no
all’Italia
Leo Lancari – Il manifesto
24 agosto 2018
Puntuale ieri sera è arrivato il
ricatto, che ormai sembra essere diventato la forma preferita di comunicazione
del governo giallo verde. «Se domani (oggi, ndr) non esce nulla sulla Diciotti
e sulla redistribuzione dei migranti io e il M5S non saremo disposti a dare più
20 miliardi di euro di contributi all’Unione europea», scrive su Facebook Luigi
Di Maio allineandosi a Matteo Salvini. La scadenza a cui il vicepremier
grillino si riferisce è la riunione che questa mattina a Bruxelles vedrà gli
sherpa di dodici paesi scervellarsi alla ricerca di una soluzione definitiva agli
sbarchi dei migranti, cosa che metterebbe fine anche all’odissea della nave
della Guarda costiera bloccata a Catania. Riunione che si annuncia tutta in
salita, sia perché nessuno ha davvero intenzione di prendersi una quota di
profughi, sia per il malumore diffuso ormai in Europa per il comportamento
giudicato «ricattatorio» di Roma. E l’ultimatum di Di Maio, oltre a non
migliorare il clima, di sicuro ostacola il lavoro certosino con cui da giorni
il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi sta cercando di convincere gli
alleati europei a mostrarsi ancora una volta solidali con l’Italia.
Almeno in apparenza il governo
sembra quindi procedere compatto nella guerra all’Europa dichiarata dal
ministro degli Interni, che infatti ieri sera ha apprezzato pubblicamente le
parole del collega. A muovere il capo politico dei 5 Stelle non è però solo la
convinzione che con Bruxelles più della «linea morbida» funzioni la «linea
dura», per usare le sue parole. E neanche il bisogno di recuperare un minimo di
visibilità, bensì il timore che il braccio di ferro intrapreso da Salvini
contro tutto e tutti (arrivando perfino a minacciare le dimissioni se qualcuno
dovesse imporgli lo sbarco dei migranti della Diciotti) serva in realtà al
leghista solo per aprire una crisi di governo e arrivare a elezioni facendo il
pieno di voti. A scapito dello stesso M5S.
Seppure per motivi differenti, è
lo stesso sospetto che in questi giorni preoccupa il Quirinale. La telefonata
fatta mercoledì al premier Conte potrebbe essere l’ultimo intervento sul «caso
Diciotti» del presidente Mattarella, deciso a non offrire pretesti al leader
leghista. L’ipotesi di una crisi di governo – con la possibilità che Salvini ne
scarichi la responsabilità sul Colle – e una successiva campagna elettorale
tutta impostata contro l’Europa con la finanziaria aperta rappresentano lo
scenario peggiore per il presidente, tanto da spingerlo a preferire la linea
del non intervento. Almeno fino a quando sarà possibile.
Sì perché Salvini sembra fare di
tutto per cercare lo scontro. Minaccia le dimissioni, dice di non proccuparsi
si un eventuale intervento del Colle perché «ho al coscienza a posto». E sfida
i magistrati di Agrigento che hanno aperto un’inchiesta sulla nave Diciotti
nella quale si ipotizza il reato di sequestro di persona a processarlo. Per
finire elogiando il modello australiano di trattamento dei migranti
sintetizzato nello slogan «No way» e che prevede che nessuno neanche i bambini,
possa mettere piede in Australia. Una sfida a tutto campo in cui il leghista sa
bene che i questo momento puntare i piedi a attaccare l’Unione europea può solo
far crescere i consensi.
A questo unto bisogna solo vedere
cosa decide di fare Bruxelles. L’ipotesi di una soluzione definitiva ai porti
di sbarco se non illusoria è quanto meno molto difficile. E non è detto poi che
si voglia davvero trovare. Ungheria, Polonia, repubblica ceca e Slovacchia, i
paesi alleati di Salvini che formano il gruppo di Visegrad, alla riunione di
oggi neanche si faranno vedere. Sondata nei giorni scorsi, la Svezia avrebbe
già detto di no alla possibilità di prendere una parte dei 150 migranti
bloccati a Catania. Restano gli altri, sui quali però pesa sia l’irritazione
per il comportamento del governo italiano, sia la stanchezza di dover essere
gli unici a intervenire (anche se poi non mantengono gli impegni presi come è
successo con i migranti sbarcati a Pozzallo). «La solidarietà non può essere
una strada a auna sola corsia», ha spiegato ieri un portavoce del governo
tedesco lasciando capire ben che aria tiri.
Almeno su un punto si sa già da
adesso che Salvini non la spunterà. Le regole della missione europea Sophia,
che prevedono lo sbarco in Italia dei migranti, non verranno cambiate entro il
30 agosto come richiesto invece dall’Italia. La decisione è stata presa ieri a
Bruxelles al termine della riunione del Comitato politico e di sicurezza
(Cops). Spagna Francia, Germania, Irlanda, Olanda e Portogallo hanno chiesto di
rinviare tutto a dicembre, quando la missione Sophia arriverà alla scadenza
prevista. La discussione riprenderà comunque il 28 agosto per essere poi
affrontata al vertice informale dei ministri degli Esteri e della Difesa che si
terrà dal 28 al 30 a Vienna.
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