mercoledì 1 agosto 2018

LAVORO Rapporto Svimez. Sud, 600mila famiglie senza lavoro. La grande fuga: via quasi 2 milioni di cittadini, più della metà giovani. Intervento pubblico essenziale per la ripresa. L’inutile “decreto dignità”

Alessandro Cardulli, JOBNEWS
02 Agosto 2018


La grande fuga. Un bel film del 1963 che racconta la fuga, o meglio il tentativo di fuga da parte soldati inglesi rinchiusi in un campo di concentramento tedesco. Protagonista Steve Mc Queen, la fuga finì tragicamente, tanti inglesi vennero uccisi dalla Gestapo. In Italia, come in tanti altri paesi, il film, che si rivede spesso sui teleschermi, ebbe un grande successo, decimo per incassi. Chissà perché quando è stata presentata una anticipazione del rapporto 2018 da parte di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, relativo alle condizioni economiche e sociali di questa parte del Paese, subito ci è venuto alla mente il titolo del film e, come a noi, anche altri giornali hanno usato questa parola per descrivere il dramma di milioni di persone che vivono in questa parte del nostro Paese. Un Sud disoccupato dove l’unica soluzione che si offre a uomini e donne è la fuga, una “grande fuga” appunto nel tentativo di costruirsi altrove, non in Italia una nuova vita. Non c’è la gestapo che ti insegue. Ma c’è chi da decenni promette interventi per creare lavoro, nuove condizioni di vita. Ecco, nell’immaginario collettivo, il Sud assume le sembianze di un grande agglomerato dove le condizioni di vita sono insopportabili, le speranze di un salto di qualità dal punto di vista economico e sociale ormai al lumicino, tante sono state le promesse non mantenute, le delusioni. Resta solo la fuga verso un ignoto che, pensano i migranti italiani, sarà sempre migliore del presente. Lo Svimez ci racconta che “il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila)”.

Sacche di crescente emarginazione e degrado sociale
Il rapporto parla “di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche”. Definisce “preoccupante la crescita del fenomeno dei ‘working poors'”, il “lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario”. Non possiamo fare a meno di  raccordare la denuncia dello Svimez con quanto si sta discutendo in Parlamento, quel decreto che Di Maio, ministro e vicepremier, continua a chiamare “decreto dignità” i cui contenuti, a proposito di lavoro, si muovono in senso contrario a quanto, proprio a partire dal Mezzogiorno, sarebbe necessario per dare nuove prospettive  di lavoro, lavoro buono, e non precarietà, basse retribuzioni, sfruttamento. Eppure proprio nelle regioni meridionali gli esponenti del governo gialloverde hanno fatto campagna elettorale promettendo lavoro, sviluppo.

Un drammatico dualismo generazionale, tutto a sfavore dei giovani.
Torniamo al Rapporto. Svimez parla di “un drammatico dualismo generazionale”. “Il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità). Si è profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani”. Non solo. Si parla, lo ha fatto in particolare Renzi Matteo, poi anche Gentiloni, di “crescita dell’occupazione”. Nel 2017  è aumentata di 71 mila unità (+1,2%) e di 194 mila nel Centro-Nord (+1,2%). Non solo, al Sud è insufficiente a colmare il crollo dei posti di lavoro avvenuto nella crisi: nella media del 2017 l’occupazione nel Mezzogiorno è di 310 mila unità inferiore al 2008, mentre nel complesso delle regioni del Centro-Nord è superiore di 242 mila unità. Nel corso del 2017 l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuta quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%) che hanno registrato una brusca frenata. La prova che stanno venendo meno gli effetti degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni al Sud.

Quasi 800 mila cittadini emigrati non sono più tornati
Non c’è più neppure la speranza di un cambiamento. C’è solo la fuga, la grande fuga. “Negli ultimi 16 anni – racconta il Rapporto – hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati”.  Il peso demografico del Sud, ci dice Svimez, non fa che diminuire, ed “è ora pari al 34,2%, anche per una minore incidenza degli stranieri (nel 2017 nel Centro-Nord risiedevano 4.272 mila stranieri rispetto agli 872 mila stranieri nel Mezzogiorno)”. Insieme  alla grande fuga delle persone se ne vanno anche i diritti fondamentali che spettano ad ogni cittadino. Al Sud “sono carenti diritti fondamentali” dalla sicurezza all’istruzione. In particolare, sottolinea Svimez, si avvertono i “divari” nei servizi pubblici rispetto al resto del Paese. Identica situazione nel campo sanitario. Il rapporto parla di “povertà sanitaria”. “Sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie Italiane”. Cosa che si verifica, viene rimarcato, “soprattutto al Sud”.

Una “ripresina” sbilanciata. Un futuro in negativo  Assente l’intervento pubblico.
Il futuro come si presenta? Svimez nota che nel triennio 2015-2017 c’è stata una “ripresina”, dovuta agli investimenti. Quasi assenti intervento pubblico e politiche economiche che fanno capo ai governi. Il Rapporto, a questo proposito, parla chiaro. “Se si manifestasse una grande incertezza nel 2019 – si legge – l’economia del Sud rischierebbe una grande frenata. La crescita nel triennio 2015-2017 ha infatti solo in parte recuperato il patrimonio economico e sociale disperso dalla crisi. È una ripresa, quella del Sud, sbilanciata: trainata dagli investimenti privati, mentre manca il contributo della spesa pubblica”. Gli investimenti privati nel Mezzogiorno sono cresciuti del 3,9%, consolidando la ripresa dell’anno precedente: l’incremento è stato lievemente superiore a quello del Centro-Nord (+3,7%). La crescita degli investimenti al Sud ha riguardato tutti i settori. Ma rispetto ai livelli precrisi, gli investimenti fissi lordi sono cumulativamente nel Mezzogiorno ancora inferiori del -31,6% (ben maggiore rispetto al Centro-Nord, -20%). Preoccupante, afferma Svimez, la contrazione della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017, -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.
Svimez fa presente che nel 2019, “si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud”. Nel 2017, si spiega, “il Mezzogiorno ha proseguito la lenta ripresa” ma “in un contesto di grande incertezza” e “senza politiche adeguate” rischia di “frenare”, con “un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo” nel giro di due anni (dal +1,4% dello scorso anno al +0,7% del prossimo). Per quanto riguarda i consumi totali interni pesano sulla differente dinamica territoriale (+1,2% nel Centro-Nord e + 0,5% nel Sud), in particolare i consumi della Pa, che segnano +0,5% nel Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno. Ma è soprattutto nel 2019 che si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. In due anni, un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo.

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