Alessandro Cardulli, JOBNEWS
02 Agosto 2018
La grande fuga. Un bel film del
1963 che racconta la fuga, o meglio il tentativo di fuga da parte soldati
inglesi rinchiusi in un campo di concentramento tedesco. Protagonista Steve Mc
Queen, la fuga finì tragicamente, tanti inglesi vennero uccisi dalla Gestapo.
In Italia, come in tanti altri paesi, il film, che si rivede spesso sui
teleschermi, ebbe un grande successo, decimo per incassi. Chissà perché quando
è stata presentata una anticipazione del rapporto 2018 da parte di Svimez,
l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, relativo alle condizioni
economiche e sociali di questa parte del Paese, subito ci è venuto alla mente
il titolo del film e, come a noi, anche altri giornali hanno usato questa
parola per descrivere il dramma di milioni di persone che vivono in questa
parte del nostro Paese. Un Sud disoccupato dove l’unica soluzione che si offre
a uomini e donne è la fuga, una “grande fuga” appunto nel tentativo di
costruirsi altrove, non in Italia una nuova vita. Non c’è la gestapo che ti
insegue. Ma c’è chi da decenni promette interventi per creare lavoro, nuove
condizioni di vita. Ecco, nell’immaginario collettivo, il Sud assume le
sembianze di un grande agglomerato dove le condizioni di vita sono
insopportabili, le speranze di un salto di qualità dal punto di vista economico
e sociale ormai al lumicino, tante sono state le promesse non mantenute, le
delusioni. Resta solo la fuga verso un ignoto che, pensano i migranti italiani,
sarà sempre migliore del presente. Lo Svimez ci racconta che “il numero di
famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è
raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono
470 mila)”.
Sacche di crescente emarginazione
e degrado sociale
Il rapporto parla “di sacche di
crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei
servizi pubblici nelle aree periferiche”. Definisce “preoccupante la crescita
del fenomeno dei ‘working poors'”, il “lavoro a bassa retribuzione, dovuto a
complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time
involontario”. Non possiamo fare a meno di
raccordare la denuncia dello Svimez con quanto si sta discutendo in
Parlamento, quel decreto che Di Maio, ministro e vicepremier, continua a
chiamare “decreto dignità” i cui contenuti, a proposito di lavoro, si muovono
in senso contrario a quanto, proprio a partire dal Mezzogiorno, sarebbe
necessario per dare nuove prospettive di
lavoro, lavoro buono, e non precarietà, basse retribuzioni, sfruttamento.
Eppure proprio nelle regioni meridionali gli esponenti del governo gialloverde
hanno fatto campagna elettorale promettendo lavoro, sviluppo.
Un drammatico dualismo
generazionale, tutto a sfavore dei giovani.
Torniamo al Rapporto. Svimez
parla di “un drammatico dualismo generazionale”. “Il saldo negativo di 310 mila
occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre
mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione
di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita
concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità). Si è
profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani”.
Non solo. Si parla, lo ha fatto in particolare Renzi Matteo, poi anche
Gentiloni, di “crescita dell’occupazione”. Nel 2017 è aumentata di 71 mila unità (+1,2%) e di 194
mila nel Centro-Nord (+1,2%). Non solo, al Sud è insufficiente a colmare il
crollo dei posti di lavoro avvenuto nella crisi: nella media del 2017
l’occupazione nel Mezzogiorno è di 310 mila unità inferiore al 2008, mentre nel
complesso delle regioni del Centro-Nord è superiore di 242 mila unità. Nel
corso del 2017 l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuta quasi
esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%)
mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%) che hanno registrato
una brusca frenata. La prova che stanno venendo meno gli effetti degli sgravi
contributivi per le nuove assunzioni al Sud.
Quasi 800 mila cittadini emigrati
non sono più tornati
Non c’è più neppure la speranza
di un cambiamento. C’è solo la fuga, la grande fuga. “Negli ultimi 16 anni –
racconta il Rapporto – hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila
residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, un quinto
laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono
tornati”. Il peso demografico del Sud,
ci dice Svimez, non fa che diminuire, ed “è ora pari al 34,2%, anche per una
minore incidenza degli stranieri (nel 2017 nel Centro-Nord risiedevano 4.272
mila stranieri rispetto agli 872 mila stranieri nel Mezzogiorno)”. Insieme alla grande fuga delle persone se ne vanno
anche i diritti fondamentali che spettano ad ogni cittadino. Al Sud “sono
carenti diritti fondamentali” dalla sicurezza all’istruzione. In particolare,
sottolinea Svimez, si avvertono i “divari” nei servizi pubblici rispetto al
resto del Paese. Identica situazione nel campo sanitario. Il rapporto parla di
“povertà sanitaria”. “Sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi
costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie
Italiane”. Cosa che si verifica, viene rimarcato, “soprattutto al Sud”.
Una “ripresina” sbilanciata. Un
futuro in negativo Assente l’intervento
pubblico.
Il futuro come si presenta?
Svimez nota che nel triennio 2015-2017 c’è stata una “ripresina”, dovuta agli
investimenti. Quasi assenti intervento pubblico e politiche economiche che
fanno capo ai governi. Il Rapporto, a questo proposito, parla chiaro. “Se si
manifestasse una grande incertezza nel 2019 – si legge – l’economia del Sud
rischierebbe una grande frenata. La crescita nel triennio 2015-2017 ha infatti
solo in parte recuperato il patrimonio economico e sociale disperso dalla
crisi. È una ripresa, quella del Sud, sbilanciata: trainata dagli investimenti
privati, mentre manca il contributo della spesa pubblica”. Gli investimenti
privati nel Mezzogiorno sono cresciuti del 3,9%, consolidando la ripresa
dell’anno precedente: l’incremento è stato lievemente superiore a quello del
Centro-Nord (+3,7%). La crescita degli investimenti al Sud ha riguardato tutti
i settori. Ma rispetto ai livelli precrisi, gli investimenti fissi lordi sono
cumulativamente nel Mezzogiorno ancora inferiori del -31,6% (ben maggiore
rispetto al Centro-Nord, -20%). Preoccupante, afferma Svimez, la contrazione
della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017, -7,1% nel Mezzogiorno,
mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.
Svimez fa presente che nel 2019,
“si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del
prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud”. Nel 2017, si
spiega, “il Mezzogiorno ha proseguito la lenta ripresa” ma “in un contesto di
grande incertezza” e “senza politiche adeguate” rischia di “frenare”, con “un
sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo” nel giro di due anni (dal +1,4%
dello scorso anno al +0,7% del prossimo). Per quanto riguarda i consumi totali
interni pesano sulla differente dinamica territoriale (+1,2% nel Centro-Nord e
+ 0,5% nel Sud), in particolare i consumi della Pa, che segnano +0,5% nel
Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno. Ma è soprattutto nel 2019 che si rischia
un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà
pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. In due anni, un sostanziale
dimezzamento del tasso di sviluppo.
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