Intervista.
Parla la 17enne di Nabi Saleh divenuta un simbolo della resistenza palestinese
per gli schiaffi dati a due soldati lo scorso dicembre. «Gli
israeliani mi accusano di essere una ragazza violenta ma la vera violenza è quella che compie l'occupazione che ci ruba
la terra, ci imprigiona e ci nega la libertà»
Michele Giorgio, Il manifesto
01 agosto 2018
Il giardino di casa Tamimi nel
villaggio cisgiordano di Nabi Saleh in questi giorni è una enorme
sala d’attesa per giornalisti, delegazioni, amici e parenti. Tutti, rispettando
una rigida agenda di incontri, attendono il proprio “turno” per
salutare, intervistare o semplicemente per stringere la
mano ad Ahed Tamimi. Il simbolo della
resistenza palestinese, scarcerata domenica da Israele, è tornata a casa dopo otto mesi
in prigione assieme alla mamma Nariman, condannata alla stessa pena detentiva
per aver filmato e postato sui social gli schiaffi dati dalla figlia a due soldati
israeliani lo scorso dicembre. Basem Tamimi, padre di Ahed e noto attivista, è il più attento
ai bisogni dei presenti. Trova comunque il tempo di chiederci informazioni
sulla vicenda di Jorit Agoch, il writer napoletano detenuto dalla polizia
israeliana e poi rimandato in Italia (non potrà ritornare in Israele e nei Territori
occupati per i prossimi dieci anni) perché ha
realizzato sul Muro che divide Betlemme da Gerusalemme un
bellissimo enorme ritratto di Ahed Tamimi. La ragazza,
17 anni compiuti lo scorso gennaio, appare nel giardino qualche minuto dopo. Sul
volto porta la fatica tre giorni passati tra centinaia di persone e sotto i riflettori
di tutto il mondo. Dice di aver dormito poco. Però non
rinuncia ad rispondere alle domande dei giornalisti.
Cominciamo
dal giorno in cui hai preso a schiaffi i soldati israeliani.
Ero molto nervosa per quello che
stava accadendo intorno a me. (Donald) Trump qualche
giorno prima proclamato Gerusalemme capitale di Israele e i soldati israeliani
avevano ucciso o ferito tanti palestinesi durante le proteste (seguite all’annuncio del presidente Usa,ndr). In più mio cugino Mohammed, poco più di un bambino,
era stato ferito gravemente alla testa da un proiettile sparato dai soldati. Cose
avvenute tutte insieme che mi hanno portato a reagire in quel modo nei confronti
di chi occupa la nostra terra. Penso sia una reazione comprensibile da ogni persona
costretta vivere le mie stesse esperienze. Comunque anche se avessi saputo che quel
gesto mi avrebbe portato per mesi in prigione, avrei agito ugualmente in quel
modo.
Le
autorità israeliane ti definiscono una ragazzina aggressiva e con una storia di
violenza.
Violenta piuttosto è
l’occupazione israeliana che priva i palestinesi della libertà, che
prende le nostre terre, demolisce le nostre case, uccide ragazzini o li mette
in prigione.
E ce ne sono tanti in carcere in questo momento in cui sto parlando che scontano
delle condanne molto severe e non dobbiamo dimenticarli. Gli israeliani non hanno
diritto di accusarmi e di accusare altri palestinesi di essere violenti. Allo stesso
tempo penso che la nostra lotta si possa esprimersi in varie forme, anche diffondendo
la nostra cultura, spiegando ai cittadini di altri paesi le ragioni e la storia
del popolo palestinese.
Torniamo
ai giorni successivi all’arresto. Durante gli interrogatori ti è stata assicurata
la protezione che si deve ad una adolescente in stato di detenzione?
Non mi hanno mai trattata come
un’adolescente e neppure come una adulta o come
dovrebbe essere trattato qualsiasi essere umano. Mi hanno messo in cella con detenute
per reati comuni, criminali che mi rivolgevano offese volgari. Durante gli interrogatori
minacciavano di punire la mia famiglia. Non hanno mai permesso ai miei
familiari di essere presenti e nella stanza dove di volta in volta venivo
portata c’erano sempre solo uomini. In nessun caso una
donna è stata presente agli interrogatori.
Sei
molto giovane, la prigione ti avrà privata di tante cose.
Davvero molte. Prima di tutto gli
affetti della famiglia. Mia madre era nella stesso
carcere ma non potevo vederla perché si
trovava in una sezione dove non potevo
accedere. Mi è mancato passare del tempo
e scherzare con mio fratello. Mi sono
mancate le mie amiche, le passeggiare assieme a loro. Sono state tante le cose
che avrei
voluto fare e non ho potuto. In carcere però ho
studiato per non perdere l’ultimo
anno delle superiori e sono riuscita a sostenere gli esami della maturità (dopo una
serie di proteste negli anni passati, le autorità
israeliane hanno concesso ai detenuti politici palestinesi
di poter continuare gli studi in cella, anche se con modalità e condizioni molto particolari, ndr).
Come
vedi la tua vita di adolescente nell’immediato futuro e da giovane adulta negli
anni che verranno?
Sto vivendo una fase molto
complessa. Ho vissuto un’esperienza dura dalla quale sono
uscita molto provata. In questi giorni mi sento stanca e provo un malessere generale.
Penso che l’occupazione israeliana e
il carcere mi abbiamo preso una parte della
vita e della giovinezza. Ho perduto sul piano personale qualcosa che non riuscirò a recuperare. Questo è il prezzo che tutti noi palestinesi siamo costretti
a pagare a
causa dell’occupazione . Malgrado ciò sono pronta a pagarlo se alla fine di questo
tunnel c’è la liberazione del nostro
popolo.
Credi
che sia ancora possibile una soluzione giusta per i palestinesi?
La soluzione è tornare a prima dell’occupazione
della Palestina quando gli ebrei e i
palestinesi cristiani e musulmani vivevano in pace rispettandosi tra di loro. I
problemi
esistono a causa dell’ideologia
sionista. I palestinesi non sono contro gli ebrei e l’Ebraismo ma contestano il Sionismo e
l’occupazione.
Intendi
che la soluzione è tornare al prima del 1948?
Anche più indietro perché prima
del 1948 c’erano il colonialismo e il Mandato della
Gran Bretagna. Prima di ciò, da
quanto ho letto nei libri e ho ascoltato dai nostri
anziani, esisteva una clima di pace e di ottime relazioni tra tutte le componenti
della società.
Dopo
la tua scarcerazione hai dichiarato che in futuro avrai un ruolo in politica, resterai
indipendente o pensi di entrare in un partito politico?
Continuerò a partecipare
attivamente alla lotta per i diritti del mio popolo ma non
intendo unirmi ad alcuna forza politica. La Palestina e i palestinesi non appartengono
a un partito o a un movimento politico.
Come
giudichi le divisioni tra le forze politiche palestinesi, tra Cisgiordania e Gaza?
In modo del tutto negativo
naturalmente. Queste divisioni e la rivalità non aiuteranno
un alcun modo la nostra causa. Solo l’unità potrà dare ai
palestinesi la libertà.
Proseguirai
gli studi?
Senza dubbio. Non ho ancora
deciso bene ma andrò all’università. Sono orientata a
studiare diritto internazionale, perché credo
che la conoscenza delle leggi internazionali potrà darmi gli strumenti per aiutare il mio
popolo.
Quanto
peserà sul tuo futuro la notorietà e il simbolo della resistenza all’occupazione che oggi rappresenti per tutti i
palestinesi.
Sono la ragazza di sempre, non
sono cambiata ma sento il peso sulle mie spalle di questa
notorietà. Tuttavia è anche
una grande opportunità che mi
viene offerta, quella di diffondere informazioni
su quanto accade nella mia terra, al mio popolo, e di
parlare della condizione dei detenuti (palestinesi) nelle carceri israeliane.
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