Saranno
autorizzate trivellazioni alla ricerca del petrolio nei parchi nazionali.
Dobbiamo dire no ad una economia di morte e sfruttamento!
Linda Maggiori (scrittrice,
blogger, attivista per la pace e l'ambiente)– Peace Link
23 agosto 2018
Zanotelli nel suo appello ai
giornalisti ci chiede di parlare dell'Africa, dei suoi problemi, del saccheggio
che spinge milioni di uomini, donne e bambini a sfidare la morte pur di
scappare.
Una notizia che forse è passata
inosservata a tanti italiani in questo mese di luglio, storditi dal
bombardamento mediatico conto immigrati e ONG, è quel che sta succedendo in
Congo, anche a causa di noi occidentali e del nostro stile di vita. A causa
della nostra infinita sete dell'oro nero: il petrolio. Quello che ci fa muovere
le auto, che ci permette di mangiare su plastica usa e getta.
Dai primi di luglio 2018, il
Governo congolese ha ridotto le porzioni dei parchi nazionali e autorizzato le
trivellazioni alla ricerca del petrolio. I due parchi in questione sono il
Virunga e il Salonga, che fanno parte dei siti naturali Unesco: in particolare
il Salonga è la seconda maggiore foresta pluviale del mondo, habitat naturale
di moltissimi animali, compresi elefanti, pavoni del Congo, bombo (una specie
di primate, decimata negli ultimi anni) e, appunto i gorilla di montagna, una
specie a rischio estinzione.
L'esplorazione petrolifera sarà
autorizzata su circa 4500 km². Bloomberg riporta un totale di 16.700 km². I
rischi ecologici sono notevoli. L’esplorazione e estrazione di petrolio
contribuiranno a distruggere l'habitat di molte specie, distruggeranno le
foreste, metteranno a repentaglio i siti di nidificazione degli uccelli
migratori oltre a inquinare la rete fluviale del fiume Congo e del Nilo.
Inoltre gli scavi rilasceranno nell’atmosfera
enormi quantità di anidride carbonica, contribuendo al surriscaldamento
globale.
Da quando nel 1987 morì Dian Fossey, uccisa dai bracconieri, per
il suo instancabile impegno contro la deforestazione e a a tutela dei gorilla,
il Congo è rimasto terra di sfruttamento e di guerra, non solo ad oprra dei
petrolieri, ma anche a causa delle multinazionali del gas, del legname, delle
attività estrattive di oro, coltan e diamanti oltre alle enormi piantagioni di
cacao, caffè, cotone, olio di palma, tè...tutte
ricchezze che non vengono redistribuite equamente, ma finiscono in mano alle
multinazionali e nei conti esteri dei miliardari locali. Secondo un'inchiesta
giornalistica de l'Espresso, fondata su documenti riservati dei paradisi
fiscali, l'Eni, il colosso del gas e petrolio controllato dallo Stato italiano,
sta dietro all'accaparramento del maxi giacimento di gas nel Congo Brazzaville.
L'Eni da tempo è anche al centro di diverse indagini giudiziarie per gravissime
accuse di corruzione a danno di altre nazioni africane, come Algeria e Nigeria.
L’instabilità e la violenza
regnano ovunque, in Congo, non solo nelle città ma anche nei parchi: gruppi
armati e bracconieri fanno accordi con le multinazionali per saccheggiare il
paese.
Emmanuel de Merode, direttore del Parco
Nazionale del Virunga, fu ferito nel 2014 in un attacco armato perché
denunciava e si opponeva ai piani di bracconieri e petrolieri: la sua
testimonianza è raccolta nel film Virunga.
Nel 2015 un nuovo rapporto di
Global Witness accusa la multinazionale petrolifera britannica Soco, prove alla
mano, di utilizzare le minacce e la violenza per aprirsi la strada per trivellare
il Parc des Virunga, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc).
Con la deforestazione, anche la
sopravvivenza delle tribù locali è minacciata. Malattie, problemi sociali e
povertà sono conseguenze della distruzione delle foreste dalle quali queste
popolazioni dipendono.
19 ONG della provincia del Nord
Kivu hanno allertato il governo sulle conseguenze del declino dei parchi
nazionali a maggio. Ora vogliono mobilitare la popolazione per fare pressione
sulle autorità raccogliendo 100.000 firme attraverso una petizione nazionale.
L'associazione Salviamo La Foresta ha lanciato anche una campagna di firme
internazionale.
Ma firmare un appello non basta:
è necessario che boicottiamo questa economia di morte e saccheggio, in ogni
atto della nostra vita: rinunciamo ai combustibili fossili, alla benzina
(quindi rinunciamo o al limite riduciamo l'uso dell'auto), boicottiamo la
plastica (soprattutto quella usa e getta), i diamanti, il legname non
certificato, l'oro, il coltan che non proviene dal faitrade.
Rovesciando l'ipocrita slogan che
va tanto in voga nei politici nostrani, è la nostra "pacchia" che
deve finire, perché è il solo modo per aiutarli davvero a casa loro.
Nessun commento:
Posta un commento