giovedì 2 agosto 2018

AFRICA Mali, il jihadismo prospera


Uno studio rileva che l’amministrazione americana deve investire più risorse per stabilizzare il Sahel, se vuole arginare la minaccia di al-Qaida e il gruppo Stato islamico. Intanto i gruppi terroristici stanno affinando le loro capacità di colpire.

Marco Cochi Nigrizia
2 Agosto 2018


Domenica scorsa, si sono tenute in Mali le elezioni generali. I risultati dovrebbero sconoscersi entro venerdì 3 agosto. Chiunque sarà scelto a guidare il paese si troverà davanti ad ardue sfide, prima tra tutte quella della sicurezza messa sempre più a repentaglio dai gruppi affiliati ad al-Qaida e al gruppo Stato islamico (Is), che stanno diventando sempre più temibili.
Al tema della sicurezza nel paese saheliano, ha dedicato un nuovo report di Critical Threats (Ct), un centro di analisi geopolitica Usa, il cui focus è sugli obiettivi degli Stati Uniti nel Sahel. Obiettivi che possono essere riassunti così: blocco del terrorismo jihadista, lotta al traffico di esseri umani e gestione delle crisi umanitarie.
Nel raggiungimento di questi tre obiettivi, il progetto CT rileva almeno due criticità. La prima consiste nei tagli alla sicurezza e all’assistenza umanitaria in Africa decisi dall’amministrazione Trump; la seconda è insita nel fatto che per affrontare sfide complesse gli Usa si sono affidati a partner deboli, paesi dell’area, alcuni dei quali sono annoverati tra i più poveri del mondo.
Ci sono poi alcune contraddizioni nei rapporti con questi stati. Prendiamo il Ciad: gli Usa ne addestrano le truppe e forniscono equipaggiamento militare; tuttavia, l’anno scorso il paese è stato inserito nel famigerato travel ban di Trump, la lista dei paesi a rischio terrorismo i cui cittadini non possono avere accesso al territorio americano.
L’analisi rileva che sono in espansione in tutta l’Africa occidentale i gruppi affiliati ad al-Qaida e all’Is, e che ciò sta causando un ampio arco d’instabilità che si estende dal Mediterraneo al Golfo di Guinea e dal Lago Ciad arriva fino al Corno d’Africa. C’è anche da rilevare che i gruppi armati prendono di mira gli interessi occidentali nel Sahel, tra cui le ambasciate, le strutture petrolifere e gli alberghi frequentati dai civili occidentali.
Gli attacchi sferrati dalle formazioni jihadiste sono sempre più sofisticati e letali, rivelando lo sviluppo di capacità tattiche che potrebbero essere impiegate anche negli Usa. Tutto questo determina il rischio concreto che il Sahel, con le sue carenze di governance, i conflitti e lo stato di emarginazione di ampie fasce della popolazione possa diventare una base logistica da dove i gruppi salafiti possono colpire l’Occidente.

Forza regionale G5
La limitata partecipazione occidentale alle operazioni di contrasto all’insorgenza jihadista nel Sahel, e nel Mali in particolare, non consente di invertire questa spirale negativa. Le forze francesi stanno sostenendo l’impegno militare della nuova forza regionale G5 Sahel, comprendente truppe di Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad. Tuttavia, questo comune impegno finora non è riuscito a impedire l’espansione dei movimenti jihadisti. Le numerose offensive militari contro questi gruppi non sono state risolutive perché non hanno cambiato le condizioni di scarsa governance e posto fine alle lotte per il controllo delle risorse e del potere, che da sei anni affliggono il Mali.
L’analisi valuta che un’accresciuta instabilità dopo le elezioni in Mali rafforzerebbe i gruppi estremisti in tutta l’Africa occidentale, consentendo al Gruppo per il sostegno all’islam e ai musulmani (Jnim) e allo Stato islamico nel Grande Sahara (Isgs) di espandersi in nuove aree del paese. Appare inoltre certo, che i due gruppi estremisti continueranno a utilizzare il Mali come base per l’espansione nei paesi limitrofi con il rischio di rafforzare il coordinamento con altri gruppi salafiti nella regione, fino ad arrivare a potenziare i legami preesistenti in Libia e Nigeria. C’è infine da rilevare, che il conflitto civile in Mali potrebbe anche portare a un giro di vite sulle popolazioni emarginate, in particolare la comunità fulani, le cui rivendicazioni sono sostenute dall’Isgs
Dal rapporto di Critical Threats, emerge dunque chiaramente che l’instabilità in Mali può avere gravi implicazioni per la sicurezza degli Stati Uniti e dell’Europa, soprattutto se consideriamo che le autorità di Bamako non dispongono di meccanismi di difesa e controllo efficaci ai confini del paese.

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