Greenpeace Italia
2 Agosto 2018
Non è facile comunicare scomode
verità, soprattutto se a essere minate sono le nostre certezze e se siamo
fermamente convinti dell'importanza delle nostre azioni. Si parla molto del
corretto riciclo e della sua efficacia nella prevenzione di una delle emergenze
ambientali più gravi dei nostri tempi: l'inquinamento da plastica nei mari del
Pianeta. C'è chi dice che voler contrastare questo tipo di inquinamento con il
solo riciclo della plastica può essere paragonabile al voler fermare la caduta
di un grattacielo con un solo chiodo. Questo gesto, seppur doveroso, potrebbe
avere un effetto collaterale, ovvero distrarre dal problema principale: perché
l'edificio sta collassando?
Noi riteniamo di sapere il
perché. Il vero problema è riconducibile alla plastica monouso: l'idea stessa
di produrre oggetti di plastica, come una cannuccia o una bottiglia, che usiamo
solo per pochi minuti ma che possono persistere nell'ambiente per mezzo
millennio, è un abuso di tecnologia incredibilmente spericolato e
irragionevole. Incoraggiare gli individui a riciclare di più purtroppo non
riuscirà a contrastare il problema della produzione massiccia di plastica
monouso, che andrebbe neutralizzato sin dal principio. Dunque, una della più
gravi crisi ambientali dei nostri tempi non può essere risolta solo da noi
cittadini. Sin dagli anni Cinquanta le grandi multinazionali dell'alimentazione,
delle bevande e dei prodotti per l'igiene domestico e personale, hanno
letteralmente invaso le nostre vite - e di conseguenza i nostri mari - con
enormi quantità di plastica monouso che, seppur raccolta e separata in modo
corretto, non può essere riciclata in toto.
Lo dimostrano i dati contenuti
nel rapporto "Plastica: il riciclo non basta", da cui emerge che nel
nostro Paese, di tutti gli imballaggi in plastica immessi al consumo, solo il
40% in termini di peso viene effettivamente riciclato, contro un 40% bruciato
negli inceneritori e un restante 20% immesso in discarica o disperso
nell'ambiente. E l'efficacia del riciclo della plastica da imballaggi in Italia
non è nemmeno tra i peggiori a livello mondiale, anzi. A questo punto potrebbe
nascere un leggero senso di impotenza in ognuno di noi: da una parte un
inquinamento sempre più allarmante, dall'altra la consapevolezza che quello che
facciamo sicuramente non basterà. Che fare allora? Sicuramente chiedere
interventi legislativi che vietino numerosi oggetti in plastica usa e getta e
di difficile riciclo può essere un passo importante.
Ma siamo sicuri che vietando
cannucce, piatti, posate o aste per palloncini (così come previsto dalla
proposta di direttiva comunitaria attualmente in discussione) risolveremmo
questo problema? Secondo noi no. Bisogna intervenire a monte, proprio nei
confronti di chi immette sul mercato grandi volumi di plastica usa e getta pur
essendo consapevole della scarsa capacità di riciclo e recupero a fine vita di
questi prodotti. Di chi stiamo parlando? Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Ferrero,
Unilever, San Benedetto, Starbucks, Procter & Gamble, McDonald's, Haribo,
solo per citarne alcune. È ora che queste aziende si assumano le proprie
responsabilità. Fortunatamente lo hanno già capito in tantissimi. Oltre un
milione di persone in tutto il mondo hanno infatti già aderito al nostro
appello, chiedendo ai grandi marchi di ridurre drasticamente l'utilizzo di
contenitori e imballaggi in plastica monouso. Per salvare i nostri mari dalla plastica.
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